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Presidenzialismo alla francese e casino all'italiana

(dal Corriere della Sera)


"Berlusconi nel suo discorso di fine anno ha auspicato una riforma del nostro sistema di governo volendo introdurre in Italia il presidenzialismo; secondo lei questo è fattibile? Potrebbe essere la soluzione dei numerosi problemi che affliggono il nostro Paese?"
Stefano Del Giorgio, stefano1988@gmail.it

Caro Del Giorgio, sembra che il problema, dopo le ultime dichiarazioni di Berlusconi, non sia più all’ordine del giorno. Ma lei chiede se il presidenzialismo possa giovare all’Italia, e la sua domanda merita qualche riflessione. Credo che occorra anzitutto sgombrare il campo da un malinteso. Il presidenzialismo di cui si parla occasionalmente nel dibattito costituzionale italiano è in realtà, quasi sempre, il semi-presidenzialismo adottato in Francia grazie alle riforme costituzionali del generale de Gaulle fra il 1958 e il 1962. È un sistema che potrebbe anche definirsi semi-parlamentare. Il presidente è eletto dal popolo, gode di forti poteri, sceglie il Premier e i ministri, presiede il Consiglio dei ministri. Ma governa pur sempre per mezzo di un esecutivo che deve rendere conto al Parlamento della propria politica e può essere abbattuto da un voto di sfiducia (in Francia: censura). Il semi-presidenzialismo funzionò piuttosto bene con il generale de Gaulle e i suoi due successori (Pompidou e Giscard), così e così con Mitterrand (vi furono due «coabitazioni » quando i socialisti perdettero la maggioranza all’Assemblea), e piuttosto male durante il primo mandato presidenziale di Chirac. Non appena eletto, Nicolas Sarkozy ha cercato di correggere il sistema con qualche riforma a vantaggio del Parlamento di cui non conosciamo ancora gli effetti. Prima di imitare la V Repubblica, l’Italia dovrebbe quindi chiedersi quali siano, cinquant’anni dopo, i vantaggi e gli inconvenienti di un sistema che ha richiesto anche in Francia alcuni adattamenti. Vale la pena di ricordare, inoltre, che anche l’Italia, nel frattempo, ha cambiato il suo sistema politico. Berlusconi non è riuscito a modificare la costituzione, ma ha creato, dapprima con il suo ingresso in politica poi con l’ultima legge elettorale, un bipartitismo incompleto che, nonostante le molte sue imperfezioni, ha semplificato il quadro politico nazionale. E ha recitato la sua parte con atteggiamenti presidenzialisti anche quando, nella realtà, è dovuto venire a patti con gli alleati come tutti i suoi predecessori. A questo punto credo che l’interesse del Paese non sia quello di cambiare totalmente la propria costituzione, ma piuttosto di migliorare e consolidare questa evoluzione. Dovremmo eliminare il bicameralismo perfetto assegnando ai due rami del Parlamento compiti diversi. Dovremmo ridurre il numero dei parlamentari. Dovremmo garantire al Primo ministro il diritto di scegliere e revocare i suoi ministri. E dovremmo assicurare stabilità al governo con l’adozione della «sfiducia costruttiva »: una procedura che consente alla Camera di abbattere l’esecutivo soltanto quando la maggioranza è in grado di proporne un altro. Vi sono altre due ragioni, infine, per cui il semi-presidenzialismo alla francese non mi sembra essere all’ordine del giorno. In primo luogo l’inquilino del Quirinale, da Ciampi in poi, ha corretto i difetti dei governi in carica e ha svolto un ruolo che è stato generalmente apprezzato. Se una istituzione si dimostra utile al Paese così com’è, perché dovremmo modificarne le funzioni? In secondo luogo il semi-presidenzialismo, se adottato oggi, servirebbe anzitutto alle ambizioni dell’attuale presidente del Consiglio. Berlusconi ha certamente il diritto di governare. Ma non credo che la presidenza della Repubblica si addica a una persona che non ha mai sciolto il nodo del proprio conflitto d’interessi e che ha avuto molte traversie giudiziarie. Il Premier ha percorso, in affari e in politica, una strada ora ammirevole, ora discutibile, sempre notevole. Ma non è nell’interesse del Paese che questa strada porti al Quirinale.
http://www.corriere.it/romano/09-01-02/01.spm

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