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Un nuovo culto: il multiculturalismo

Da Claudio Antonelli (Montreal) riceviamo e volentieri pubblichiamo

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Invece di proporre l’identità storica del paese d’insediamento come fattore unitario per tutti, compresi i nuovi arrivati, molti oggi propongono, anche in Italia, il multiculturalismo come formula “nazionale”. Taluni arrivano così ad auspicare una pluralità di identità nazionali in ogni paese europeo su cui si rovesciano ondate di immigrati dal Terzo Mondo.

Ma il Paese, la Nazione non è un supermercato che deve adattarsi ai gusti e ai bisogni dei clienti del giorno. Sono invece i nuovi clienti della Nazione che dovrebbero adattarsi a questa. Ciò che non sempre avviene...

L’adattamento, è vero, non è facile quando si arriva in un nuovo paese. Tra certe abitudini e certe regole di vita esiste poi una vera inconciliabilità. E difatti talune abitudini portate dagli immigrati nei loro bagagli si scontrano subito con le regole del paese d’arrivo. Un esempio: gli italiani non appena si installano in Canada devono imparare a rispettare la maniera canadese di far la fila, che è poi la maniera in vigore nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo eccetto l’Italia. Ma il radicalismo soprattutto religioso di certe culture trapiantate non ammette adattamenti e quindi minaccia l’unità del paese d’accoglimento. Bisogna considerare che il trapianto oltreconfine di una cultura, se da un lato provoca un decadimento e un ibridismo, dall’altro, paradossalmente, crea un indurimento e una sclerosi dell’identità di partenza dell’immigrato esasperandone certi aspetti. Ciò si traduce anche nel rifiuto dei valori della società nella quale l’espatriato ha scelto di andare a vivere. Questa reazione è dovuta in parte ad un sentimento di inadeguatezza. Ma a farla nascere è soprattutto un’inconciliabilità di passati: il passato della nazione da cui l’immigrato proviene diverge dal passato della nazione nella quale egli è andato a vivere. Il fenomeno del rifiuto di adeguarsi alla nuova realtà esiste anche tra i figli d’immigrati, nati nella nuova terra. Ciò è da imputare in gran parte proprio al culto del multiculturalismo vigente in certi paesi d’immigrazione. Per i promotori del multiculturalismo, infatti, l’integrazione-assimilazione è un’idea tabù.

Un indubbio risultato positivo per l’individuo che viva a contatto di gente dalla cultura e dalle abitudine diverse dalla sua è un allargamento della propria coscienza con l’accettazione della diversità. La tolleranza insomma. Ciò non impedisce però, alla maggioranza – tanto per fare quest’esempio – di continuare a nutrire pregiudizi o addirittura avversione nei confronti di certe minoranze: vedi la scarsa considerazione che godono gli autoctoni in Canada, e vedi anche i pregiudizi e i luoghi comuni che persistono nei nostri confronti con l’abuso di “pizza” e “mafia”.

La mescolanza di gruppi disparati non è quindi la nuova formula magica, come invece molti sembrano ritenere, per l’armonia e la felicità degli abitanti di un paese. Io ritengo poi che in un paese d’immigrazione, quando i nuovi arrivati provengono da luoghi lontani, come è il caso per il Canada (ma non per gli Stati Uniti per quanto riguarda i messicani e gli altri gruppi ispanici, di qui la vitalità delle culture ispaniche), il multiculturalismo è una fase, lunga sì, ma da considerare come provvisoria. Non dovrebbe essere considerata un traguardo definitivo. Le politiche multiculturali incoraggiano invece i nuovi arrivati a conservare l’identità originaria e a trasmettere ai figli il passato storico del paese d’origine. Nel paese multiculturale i vari gruppi etnici coltivano con amore il proprio passato, sicché coesistono entro gli stessi confini tanti passati, ossia tante solitudini.

Claudio Antonelli (Montréal)

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