Translate

Quello che Tremonti ancora non ha detto

(Dal Corriere della Sera)
Dopo la lettera del ministro al «Corriere»

di SERGIO ROMANO

Nella sua risposta al nostro editoriale di giovedì scorso il ministro dell'Economia scrive che le somme settimanali versate per l'appartamento affittato da Marco Milanese sono state calcolate in base alla tariffa degli alberghi in cui aveva l'abitudine di alloggiare prima di trasferirsi in via Campo Marzio. E ha aggiunto che si trattava di un rapporto fra privati cittadini per cui «non era dovuta l'emissione di fattura o vietata la forma di pagamento». Non oso contraddirlo. Giulio Tremonti è stato, quando aveva uno studio professionale, uno dei migliori fiscalisti del nostro Paese e sa bene quali siano le transazioni che non espongono il cittadino italiano alla tirannia dello Stato esattore. Ma se l'inquilino è il ministro delle Finanze, un contratto d'affitto e un bonifico bancario sarebbero stati preferibili.

Qualche tempo fa, dopo essere tornato al potere, il governo Berlusconi revocò una disposizione del governo precedente che prescriveva, per i pagamenti superiori a 100 euro, l'assegno, la carta di credito o il versamento in conto corrente. Era una norma che si proponeva di facilitare la tracciabilità del denaro e di rendere la vita più difficile a corruttori, corrotti, mafiosi, camorristi ed evasori fiscali. Tremonti spiegò la revoca sostenendo che il limite dei 100 euro gli sembrava frutto di una visione poliziesca dei rapporti tributari fra lo Stato e i cittadini. Forse non aveva torto. Si esprimerebbe allo stesso modo se il limite venisse fissato a 1.000?

Nella sua risposta al Corriere il ministro ha scritto che la scelta dell'alloggio di via Campo Marzio fu una questione di privacy e ha chiarito il suo pensiero in altre occasioni dicendo che da qualche tempo, in albergo o nella caserma dove aveva occasione di alloggiare, si sentiva spiato, controllato, in qualche caso persino pedinato. Se in queste parole vi è un velato riferimento alla Guardia di finanza, Tremonti non poteva limitarsi a cambiare casa. Quando diffida di un corpo dello Stato di cui è responsabile, il ministro dovrebbe promuovere una inchiesta, accertare i fatti, informare eventualmente la magistratura. Non lo deve soltanto a se stesso. Lo deve ai contribuenti e a una istituzione che ha bisogno, per operare, della fiducia del Paese.

In questa faccenda vi è poi un altro aspetto che non è forse legale ma certamente etico e politico. È opportuno che un uomo di Stato abbia rapporti di familiarità e scambi favori con una persona che appartiene alla cerchia dei suoi collaboratori, ha responsabilità non chiaramente precisate e tende ad accreditarsi come una sorta di fiduciario? Tremonti è troppo accorto per ignorare che certe amicizie possono essere imbarazzanti. È accaduto al Premier britannico Tony Blair quando ha dovuto rinunciare alla collaborazione di Alastair Campbell, portavoce aggressivo e senza troppi scrupoli. È accaduto a Nicolas Sarkozy nel caso di Eric Woerth, eccellente cacciatore di fondi per la sua campagna elettorale ma troppo coinvolto, anche se indirettamente, nella discussa gestione dell'impero finanziario di Liliane Bettencourt, padrona di Oréal. È accaduto più recentemente a un altro Premier britannico, David Cameron, quando gli è stato rimproverato di avere affidato la direzione delle Comunicazioni ad Andy Coulson, brillante e spregiudicato giornalista della nidiata di Rupert Murdoch. Ed è accaduto, per tornare alla cose di casa nostra, a Pier Luigi Bersani quando ha scelto come capo di gabinetto Filippo Penati. Un uomo politico non si giudica soltanto dai suoi programmi e dalle sue leggi. Si giudica anche dai suoi collaboratori.

No comments:

Post a Comment