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L'eurocrisi: Italia e Francia nel tritacarne

di Guido Colomba

(The Financial Review) Dopo il vertice europeo del 23 ottobre, è emerso il senso di urgenza sulla necessità di trovare una soluzione a "una situazione serissima". La percezione di questa situazione era fino a quel momento ampiamente sottovalutata dai leaders europei nonostante le numerose maratone, incontri bilaterali e consultazioni telefoniche incrociate. La Grecia può diventare la Lehman Brothers dell'Egeo? Il crollo dei mercati di oggi e lo spread di 441 basis points sui Btp decennali dell'Italia (pari ad un rendimento del 6,28%) parlano di un pessimismo diffuso acuito dal referendum greco previsto in gennaio. Sta infatti emergendo una nuova ipotesi. Se si arrivasse a un default al 100% di Atene (250 miliardi di euro), scatterebbero i Cds. In pratica, gli emittenti dei famigerati "credit default swaps" dovrebbero pagare cifre da capogiro aggiungendo un effetto domino catastrofico e incalcolabile. L'area euro è sotto scacco; ovunque le grandi banche perdono oltre il 10%. Per Draghi un debutto al vertice della Bce davvero difficile. Se è vero che in Europa il "caso Italia" è sulla bocca di tutti, è altrettanto vero che dietro l'urgenza di queste ore si nasconde la Francia che ha scoperto all'improvviso, dopo tre anni di apparente tranquillità, di essere anch'essa sotto attacco. Tra due giorni ci sarà il G-20. La crisi ha dato risalto alla fragilità delle finanze pubbliche francesi. Tra i paesi a tripla "A" la Francia ha il peggior debito (81,7% del Pil) e il deficit più elevato (7,9%). Ed è dal 1974 che Parigi non registra un surplus di bilancio. A peggiorare questa situazione vi è la forte esposizione delle banche francesi verso i paesi mediterranei. La ragione dei sempre più frequenti vertici tra Sarkorzy e Merkel riguarda proprio la ricerca di una soluzione per neutralizzare i rischi delle banche francesi. Non a caso l'Eurogruppo, per la prima volta, ha fatto appello al Fmi per un suo intervento strutturale che sembra basato su due priorità: a) aumento dei fondi di dotazione (premessa a un ritorno agli "special drawing rights"); b) interventi selettivi in aiuto ai paesi oggetto di attacchi sul debito sovrano. Ciò significa per la Ue "cambiare pelle per salvare l'euro" come ha scritto ieri Stefano Micossi. Era evidente che l'accordo raggiunto al vertice europeo di domenica scorsa non poteva reggere: esso infatti penalizza le banche che fanno credito ordinario e premia le banche che fanno trading e speculazione finanziaria. Ancora una volta i mercati hanno risposto a modo loro per far capire ai leaders europei che l'Unione deve emergere con decisione e tempestività come area di cooperazione attraverso il rafforzamento delle politiche economiche e sempre meno come area di privilegio riservato a pochi, guarda caso concentrati nel Nord Europa. Il 9 settembre il sottosegretario Usa Geithner, intervenuto per la prima volta al G-7 spagnolo, aveva parlato chiaro: "E' interesse degli Usa che l'euro sopravviva. I paesi più forti come la Germania debbono fare quello che devono fare. E' nelle loro possibilità risolvere la crisi" Ed aveva sollecitato i leaders europei ad agire in fretta poichè "il tempo era scaduto". Il G-20 di domani si terrà a quasi due mesi di distanza. E' ragionevole aspettarsi una svolta decisiva.

(Guido Colomba)

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