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Prima di salire sull'aereo un saluto all'India che ho conosciuto per un mese

L'altro giorno ho chiamato un elettricista che mi era stato consigliato. Ha attraversato la citta' e ci ha messo piu' di due ore in autobus. E' arrivato armato solo di un cacciavite e di un rotolo di nastro isolante. Gli ho messo a disposizione il mio trapano e un martello. Ha dato un'occhiata a quello che avrebbe dovuto fare: si trattava di montare un UPS (Uninterruptible Power Supply) un invertitore elettrico che consente di caricare delle batterie (cinque da 150) che quando manca la corrente elettrica (e succede spesso) immettono  nella rete domestica l'elettricita' accumulata quando la rete lavora regolarmente. Unico sistema per garantirsi alcune ore di funzionamento di monitors e computers. A  meno che uno non decida di mettere un generatore di corrente il cui costo e' di molto superiore allo UPS.
Bene: torniamo all'elettricista. A gesti ha detto che si doveva andare nel villaggio vicino a comprare del materiale. Cosi' abbiamo fatto. Rotoli di cavo, coprifilo di plastica, interrutori da 15 amperes, etc. Siamo tornati a casa e ha cominciato a lavorare. Anziche' stendere un nuovo cablaggio per collegare il sistema UPS alla scatola generale dei fusibili, ha preferito utilizzare le canalizzazioni esistenti. Dopo sei ore aveva terminato il suo lavoro. L'ho seguito da vicino illuminando con una torcia il lavoro che stava facendo e mi sono sorpreso per la perizia con la quale eseguiva ogni operazione, senza fare 'piaccicotti', ma curando che i vari collegamenti trovassero una corretta sistemazione. Ha chiesto 7mila rupie pari a circa 150 dollari, ed ha sgranato gli occhi quando la somma gli e' stata data senza alcun tentativo di richiesta di ribasso che sicuramente si aspettava secondo la tradizione indiana.
Dopo due giorni lo UPS ha emesso strani rumori in assenza della corrente primaria. Telefonata alla societa' che produce questo inverter. Hanno detto che avrebbero mandato il giorno dopo un tecnico. Arriva dopo qualche ora   una telefonata: il tecnico sarebbe arrivato il giorno stesso. Dopo qualche ora e' comparso: ha fatto vari controlli, ha verificato che tutto funzionava, ha raccomandato di tenere un interruttore in una certa posizione e se n'e' andato senza chiedere una rupia.
Per molti Lettori queste due ministorie hanno sicuramente scarso significato. Ma per chi scrive  sono il bilanciamento di tanti aspetti deteriori della vita indiana. Dalla spazzatura nelle strade (vedo pero' che anche in Italia a Lecce, Foggia, Palermo, Napoli e presto Roma non si scherza), al traffico orribile.
Ma dopo un mese di Bangalore (la Milano dell'India) si percepisce quasi epidermicamente perche' questo immenso paese, popolato da un miliardo e duecentoquaranta milioni di persone, stia rapidamente scalando le classifiche mondiali dello sviluppo. Una nazione in continuo movimento, dove ognuno ha qualcosa da fare. Ogni formica porta il suo contributo al mantenimento e ampliamento della casa comune. Da chi deve curare le vacche sacre, ai medici e infermieri di alta professionalita', da chi gestisce uno shop nell'electronic market (ed e' in grado di darti in quindici minuti un computer assemblato con tutte le caratteristiche che gli richiedi pagando l'equivalente di 300 dollari), al capitano d'industria che gestisce un impero, a Moton, allievo di uno chef italiano che ha messo su un locale a Cinepolis, uno dei vari Malls di Bangalore, dove serve delle ottime pizze. Il loocale si chiama "In talia" e Moton ne sta aprendo un altro visto che i finanziatori non gli mancano e visto il successo di questa pizzeria inaugurata da pochi mesi.
Questa e' l'india per me, una pentola in continua ebollizione e mutamento, un contrasto quotidiano di tradizioni culturali e religiose, una nazione che non e' seduta sui talloni secondo l'iconografia, ma che  si muove facendo ogni cosa che possa rendere qualcosa a chi ci mette fatica e volonta'. Un esempio per quei paesi occidentali che per decenni si sono avvitati al basso, crogiolandosi in un consumismo esasperato (istigato dai padroni delle ferriere) che intorpidiva la volonta' e riduceva la spinta al fare.

Oscar Bartoli