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OBAMA E LA RIVOLTA DEL CETO MEDIO



Barack Obama sta facendo il giro d’America. Non è una novità se non per la data. Di regola i presidenti, e naturalmente i loro sfidanti, si dedicano a questo “turismo” nell’imminenza delle elezioni. Per quanto riguarda la Casa Bianca al prossimo appuntamento mancano 1.270 giorni e il presidente in carica non potrà comunque essere rieletto perché avrà compiuto i suoi otto anni di potere, mai rinnovabili. A spingerlo possono essere allora due motivi, due visioni; la prima molto lontana, la seconda più immediata. Obama può pensare già al “giudizio della storia”, come fanno molti inquilini della Casa Bianca durante il loro secondo mandato. Oppure può avere ravvisato una emergenza e quindi il bisogno di una mobilitazione dell’opinione pubblica. Lo fecero, o lo tentarono, diversi fra i presidenti di maggiore successo e di maggiore risonanza storica, da Franklin Delano Roosevelt a Ronald Reagan. Seppero “scaldare” l’opinione pubblica, gli elettori, la “gente della strada” e mobilitarli contro l’inerzia o il “catenaccio” del Congresso. Così “passò” il New Deal, così le riforme liberiste degli anni Ottanta.

Nel 2013 le urgenze non mancano. La situazione mondiale non è delle più tranquillizzanti, la

ripresa economica è reale ma lenta, ostacolata anche dai venti di recessione che soffiano dall’Europa drogata dall’Austerity. E il Congresso, soprattutto la Camera dominata dai repubblicani, è dedito all’ostruzionismo. Sono battaglie estenuanti e frustranti, seguite solo fino a un certo punto dai cittadini, che si perdono (succede anche da noi) nelle selve oscure dei subemendamenti e di una pletora di voti procedurali.

Per svegliare la gente ci vuole, allora, un tema unificatore, che incorpori e trasmetta l’emergenza e collimi con gli interessi della maggioranza. Obama crede di averlo trovato alzando, per la prima volta in modo così esplicito, la bandiera del cento medio. Cercando di risvegliarlo alla realtà, che è quella della sua decadenza di questi anni, non solo e neppure al suo peggio in America; ma è all’America che Obama si rivolge. E racconta le cose come stanno: il declino del ceto medio è una triste realtà che si sta accentuando ad ogni girata di vento, durante le recessioni ma anche adesso in un periodo di ripresa.

Andrebbe precisato, a questo punto, che cosa significa “ceto medio” e quali siano le sue dimensioni e i suoi confini. Le definizioni americane sono in genere troppo elastiche. Da sinistra si definisce “classe media” il 99 per cento dei cittadini, contrapposto all’1 per cento dei “super ricchi”. In Europa “ceto medio” implica che ci sia chi sta meglio e chi sta peggio. Si definisce un’area che quasi ovunque rappresenta almeno il 40 per cento della popolazione. Ma anche negli Stati Uniti i dati statistici confermano le impressioni e disegnano un quadro abbastanza preciso. Nell’ultimo quarto di secolo si è accresciuto molto il reddito nella fascia superiore, è aumentato poco quello dei ceti più disagiati, è calato quello del ceto medio. Non sono affermazioni propagandistiche ma dati sintetizzati di recente in uno studio Michael Spence, premio Nobel per l’Economia, pubblicato dal Council of Foreign Relations. Si constata che le rivoluzioni tecnologiche e la globalizzazione se hanno apportato grossi benefici nei Paesi più poveri dell’ex Terzo Mondo, hanno però avuto pesanti conseguenze negative in America, accrescendo molto la produttività (del 21 per cento dell’economia in generale e addirittura del 44 per cento nei settori “globalizzati” e in quello finanziario, ma i frutti sono andati esclusivamente a quell’1 per cento di ricchezza concentrata, mentre la classe media ha perduto potere d’acquisto, occasioni di lavoro, opportunità di crescita. Se i “poveri” Usa non ne hanno tratto benefici, i ceti medi ne hanno pagato le spese in misura assai grave, con la stagnazione, il restringimento degli orizzonti, un declassamento generale. Il fenomeno lo colpisce a tutti i livelli, incluso quel 10 per cento che costituiva la fascia ricca della popolazione ma al cui interno il top 1 per cento ha succhiato la linfa del 9 per cento.

Ora il campanello d’allarme lo suona il presidente. Lo va a raccontare nel suo giro d’America. Cerca di svegliare l’opinione pubblica, naturalmente anche a fini elettorali, denunciando il rifiuto dei repubblicani di riforme riequilibratrici. La “redistribuzione” della ricchezza non è il frutto di una “congiura” ma la conseguenza della concentrazione degli strumenti e del sapere nelle mani di una ristretta elite. L’antidoto proposto da Obama sono in primo luogo massicci investimenti nella scuola per aumentare il livello di conoscenze dei figli del ceto medio e rimetterli in grado di competere. Il Congresso è contrario. Per questo dalla Casa Bianca ci si rivolge agli elettori per una riforma che sarebbe in primo luogo una “rivolta”. 
Alberto Pasolini Zanelli