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IL DOGANIERE KARZAI



US troops in Afghanistan

La guerra “americana” in Afghanistan sta per finire: addirittura entro l’anno prossimo e pare che oltre alle forze armate Usa si ritiri anche la Cia. Sono in corso, però, due guerre. La prima è quella “afghana”, la guerra civile che era cominciata ben prima dell’arrivo degli americani e promette di continuare, con i talebani all’offensiva quasi ovunque, il che potrebbe indicare che Kabul ha completato il suo salto all’indietro alla situazione del 2001. Come minimo, perché gli esperti rimandano a prima dell’avventura sovietica in Afghanistan e gli storici addirittura a metà dell’Ottocento quando a dissanguarsi fra quelle montagne furono gli inglesi.

L’altra è di questi giorni ed è, invece che tragica, paradossale. È una guerra doganale fra gli Stati Uniti e il governo che gli americani misero in piedi quando occuparono il Paese. Si portarono dietro, come è loro costume e come possono permettersi, quantità enormi di materiale bellico, dai camion ai missili terra-aria e, adesso che se ne vanno, intendono portarseli a casa con sé. E qui sorge il problema: benissimo, dice il governo di Kabul, però dovete pagare la dogana. Il mondo ignorava che gli invasori di un Paese, specie se tecnicamente vittoriosi, dovessero pagare un balzello per ogni arma che si sono portati dietro; ma la burocrazia fa anche di questi scherzi. Per cui quando entrò in Afghanistan, il Pentagono dovette, per evitare le tasse, compilare moduli e stilare documenti con cui si impegnavano a riportarsi un giorno a casa tutte quelle armi in modo da non dover pagare dazio né all’andata né al ritorno.

È però successo che la loro presenza è durata dodici anni e nel frattempo molti di quei preziosi foglietti sono andati persi; cosicché adesso che le file di camion o di carri armati, o di jeep, arrivano ai posti di frontiera in direzione del Pakistan o dell’Uzbekistan, questi papiri non si trovano e allora i “doganieri” esigono il pagamento. Lo reclama, cioè, il governo di Kabul e quello di Washington non gradisce. All’opinione pubblica Usa, poi, l’intera vicenda appare assurda, surreale: “Gli abbiamo portato la libertà e adesso ci fanno pagare il dazio”. Ne consegue una tensione diplomatica, che conosce una rapida escalation, soprattutto da parte di quel curioso personaggio che è il presidente afghano Karzai, già da tempo in rotta con gli Usa che egli accusa addirittura di essere in combutta con i talebani al fine di “spartirsi il Paese” con loro. Egli cercava di lasciare debiti non pagati per centinaia di milioni di dollari. Non solo di dogana, per la verità, ma anche come penalità o perché, dicono a Kabul, tutte quelle armi e quel materiale sono da tempo finiti nel circuito del mercato nero e “distorcono i prezzi e danneggiano la competizione sui mercati”. Non solo, ma il capo dello staff di Karzai, nel denunciare le trattative (in corso da tempo ma ora non più segrete) fra americani e talebani, ha paragonato Washington a Satana e l’ha accusato inoltre di aver arruolato dei guerrieri talebani per spedirli in Siria a combattere il regime al potere, “in combutta con Al Qaida”, deducendone che i talebani “sono al servizio dell’America”.

Tutto, almeno in quell’area del mondo, è molto più complicato di quanto si pensasse quando le cose parevano semplici e chiare. Al Qaida aveva compiuto la strage di tremila civili a New York, Al Qaida agiva da basi in Afghanistan, ospite del regime talebano, dunque l’America aveva il diritto, anzi il dovere, di rovesciare questo regime. Cosa che puntualmente avvenne, dodici anni fa. Da allora una sola cosa davvero importante è accaduta: Bin Laden è stato ucciso. Ci sono stati altri mortie la situazione è tornata al punto di partenza. Le soluzioni imposte da George W. Bush si sono rivelate una volta di più inadatte, in Afghanistan come in Irak se non addirittura peggio che in Irak. Obama, che all’inizio aveva appoggiato quella guerra, ha deciso di terminarla, sia pure gradualmente, sconfessando implicitamente una convinzione cardine della strategia americana nel Medio Oriente, quello delle guerre preventive contro gli Stati portatori di terrorismo. Il terrore, da quelle parti, si muove anche senza l’appoggio di Stati e di governi. Occorrono dunque altri sistemi ed altre idee, ma la trasformazione richiede tempo. E richiederebbe veri alleati. Non come il Doganiere Karzai.                                                 AlbertoPasolini Zanelli