Translate

Iran, Stati Uniti e Israele



di Alberto Pasolini Zanelli

L’aereo di John Kerry è pronto. Non solo metaforicamente: è già fuori dall’hangar, i reattori scaldati per un volo che potrebbe cominciare ogni minuto. Destinazione Ginevra, dove fra poche ore potrebbe essere raggiunto, e firmato, un “accordo miracolo”, uno dei più difficili e più urgenti per la gestazione della pace nel Medio Oriente e non soltanto. È l’ipotesi estrema nel senso dell’ottimismo, ma contrasta in modo ancor più drammatico con l’impressione diffusa fino a pochi giorni fa, che il fallimento fosse sicuro. Ora diplomatici di sei Paesi sono tornati a sedersi allo stesso tavolo, sulle stesse sedie che hanno scaldato invano per anni.
Preso alla lettera l’accordo sarebbe poco più di una transazione commerciale: tempo contro denaro. Una manciata di miliardi Usa a Teheran contro mesi di sospensione dei lavori nucleari che potrebbero dare all’Iran la superbomba. È quello che temono i critici di questo compromesso e di qualsiasi accordo con il regime dell’ayatollah.
Primo fra tutti naturalmente Israele. Il primo ministro Netanyahu ha intensificato nelle ultime ore il suo sforzo di lobby contro il progetto, che definisce “un regalo all’Iran, senza impedirgli di produrre l’arma nucleare. Era parso sul punto di convincere Washington, ha incontrato resistenze più forti del previsto, ha dato segno della urgenza che lo muove volando l’altro giorno a Mosca per strappare un consenso a Putin.
Non è solo Israele a opporsi. I sauditi e altri regimi conservatori della versione sunnita dell’Islam temono un’accresciuta minaccia da parte dell’Iran sciita. Ed è saltata nel campo dei falchi anche la Francia, definendo “vacuo” il compromesso che si starebbe disegnando. Così Kerry ha avuto l’occasione, anzi il “permesso” di rispondere a Parigi nel suo impeccabile francese di famiglia che si era visto costretto a nascondere per anni durante la sua candidatura presidenziale del 2004 per gli attacchi dei sostenitori di Bush che lo tacciavano di non essere un vero americano. Kerry, fra l’altro, ha frequentato l’università a Ginevra. E ha avuto e ancor più avrà bisogno di tutte le sue facoltà dialettiche e retoriche per convincere i dubbiosi, prima di tutto nel Congresso di Washington ma anche alla Casa Bianca. Ad alcuni consiglieri di Obama il Segretario di Stato pare segua una linea troppo personale, a cominciare dalla prontezza con cui si gettò, poche settimane fa, a far propria una idea di Vladimir Putin su cui nacque l’accordo che ha scongiurato un intervento militare Usa in Siria.
Ma la partita con l’Iran è molto più difficile. L’opposizione al compromesso ventilato e ora rilanciato è intensa. I critici, anche interni, insistono che, se l’accordo si firmerà, sarà “una vittoria dell’Iran e una sconfitta dell’America”, perché Teheran potrà continuare il suo programma nucleare, sia pure rinviandone i tempi, scaricata dal peso delle sanzioni economiche. L’opinione dei “falchi” è che nessun accordo è meglio di un cattivo accordo. Anche perché il possibile riarmo nucleare è in realtà solo uno dei timori e degli argomenti. Gli israeliani, i sauditi e anche qualche Paese europeo ritengono che la Bomba sia solo una delle “manifestazioni allarmanti” di un disegno strategico più complesso da parte dell’Iran, che mirerebbe addirittura al dominio dell’intero Medio Oriente. Sarebbe questa ambizione a indurre Teheran da diversi anni a darsi altri atout politico-militari, fra cui la forza di rapido intervento della Guardia Rivoluzionaria, gli hezbollah attivi nel Libano (dove l’altro giorno è stato compiuto un attentato contro l’ambasciata iraniana), le milizie sciite in Irak e il regime di Assad a Damasco. Per questo i “falchi” in Israele (anche dei regimi sunniti) preferirebbero a un compromesso, una intensificazione degli interventi, anche militari, per distruggere e non “rinviare” i progetti nucleari. Una interpretazione cui Obama ha recentemente opposto la visione di un rischio alternativo: quello di una conflagrazione che potrebbe avere dimensioni ancora maggiori della guerra in Irak.
pasolini.zanelli@gmail.com