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L'assalto degli italoamericani alle metropoli americane

Alberto Pasolini Zanelli
L’America, anche quella politica, resta un contenitore di novità, ovvero anche di mode. L’ultima non è del tutto priva di precedenti, però lontani, ciò che le dona anche una certa tinta di nostalgia. È l’assalto degli italoamericani alle grandi e significative metropoli. Bill de Blasio ha appena conquistato New York. Alla grande, con il 73 per cento dei voti. E adesso David Catania ci prova  con Washington, la capitale d’America. Se ce la facesse, sarebbe senza precedenti. de Blasio non ha fatto in fondo che riallacciarsi alla tradizione interrotta dopo la sfilza di vittorie di Fiorello La Guardia e di Rudy Giuliani, “condita” dalla candidatura di Geraldine Ferraro alla vicepresidenza degli Stati Uniti e dalla ascesa di Nancy Pelosi alla presidenza della Camera. Nipoti e pronipoti della grande immigrazione italiana negli Usa, culminata pressappoco un secolo fa.
Che a Washington non c’è mai stata. La capitale degli Usa aveva conosciuto fino a poco tempo fa una sola immigrazione, molto diversa: quella dei neri dal Sud fino a poco prima ancora schiavista. Cercavano, oltre che pane come i nostri immigrati, emancipazione e libertà nella capitale che vietava agli usi dei due Stati da cui è stata “ricavata”: Virginia e Maryland, entrambi “schiavisti”. Con il risultato che fino a un quarto di secolo fa tre abitanti su quattro del Distretto Federale erano di pelle nera ed eleggevano sindaci dello stesso colore, senza eccezione e per di più “targati” tutti nel Partito Democratico. Catania è bianco, non è mai stato democratico, ha anzi un passato di repubblicano, addirittura come consigliere e stretto collaboratore di George W. Bush. Adesso si presenta come indipendente. Evita così la fatica ancora oggi inutile di vincere la “primaria” democratica, il mese prossimo, in una città in cui i repubblicani praticamente non esistono. Come indipendente, Catania guarderà dal di fuori le lotte intestine fra una dozzina di aspiranti alla candidatura democratica, incluso il sindaco attuale Vincent Gray, coinvolto in uno scandaletto dozzinale tipo Mani Pulite. Catania intanto si riposa, raccoglie fondi e aderenti e, se i conti torneranno, si presentera’ alla “finale” d’autunno. Gli esperti dicono che potrebbe farcela e i sondaggi lo confermano. Catania e Gray sono preferiti ciascuno, in questo momento, dal cinquanta per cento degli elettori.
Dicono che lo sfidante abbia una robusta personalità e molta esperienza. Si è distinto nel promuovere cause che riguardano i poveri, vale a dire soprattutto di pelle nera, ultimamente soprattutto nel campo scolastico. In più è un campione dei diritti degli omosessuali, una minoranza sempre più “ascoltata” dai politici. Egli stesso si proclama tale e proprio sul tema del matrimonio gay egli ruppe con Bush. Ma le sue qualità, le sue peculiarità e le sue clientele ideologiche non basterebbero a rendere Catania un candidato credibile se la città che egli aspira a guidare non fosse tanto cambiata. Soprattutto sotto il profilo etnico-razziale. Rispetto a un quarto di secolo fa Washington è diventata molto più “chiara”. Gli abitanti di pelle nera sono ora giusto la metà del totale. Il motivo è l’afflusso di nuovi immigrati un po’ da tutto il mondo, compresa l’Africa, ma soprattutto asiatici e latinoamericani. Adesso la “torta” demografica è divisa equamente e in più cresce il numero dei neri disposti a votare per qualcuno che non appartenga al Partito Democratico. Non sono molti, non si spingono fino a votare per un repubblicano (Barack Obama ha ottenuto a Washington il 93 per cento dei suffragi), ma per un indipendente sì.
Anche se ha un caratteraccio come quello attribuito a David Catania. Famoso per la “franchezza” del suo linguaggio nei dibattiti in consiglio comunale. Franchezza è un eufemismo: uno scambio di opinioni con lui si trasforma spesso in zuffa. Il livello delle argomentazioni si abbassa ma in compenso sale il volume della voce dei contendenti. Catania lo ammette. “Per portare avanti discorsi seri a volte è necessario spaccare dei piatti”. I suoi amici, più benevoli, lo paragonano al Lone Ranger, un mitico eroe texano dei Giorni della Frontiera. Niente di più estraneo alle condizioni di Washington. Ma quando si cambia, si cambia.

pasolini.zanelli@gmail.com