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Una proposta per il governo Renzi

Guido Colomba
Una proposta per il governo Renzi (e per il Parlamento). Per battere la burocrazia che blocca l'attività legislativa e paralizza il Paese (478 decreti su 830 ancora non scritti) non basta sostituire quelle cento persone (consiglieri e avvocati di Stato) che hanno in mano il potere effettivo dei ministri. Con l'aggravante di essere sempre le stesse persone che effettuano un incestuoso scambio di incarichi. Occorre, al tempo stesso, guardare l'altra faccia della medaglia. Cioè capire come e quando è nato il "male oscuro" di leggi dello Stato la cui "implementation" è subordinata ai famigerati decreti attuativi. Renzi, annunciando la sua battaglia alla burocrazia, ha affermato che occorre un cambio di mentalità e di cultura. Dunque, andiamo all'origine del problema affidando l'incarico alle Commissioni parlamentari di ottenere dalle Amministrazioni Pubbliche pareri e impegni scritti entro trenta giorni dalle hearing in modo tale che in sede redigente il testo sia già autoapplicativo. Ove in aula maturassero nuove modifiche si dovrà attuare la stessa procedura: chiedere alle Amministrazioni pubbliche, entro 30 giorni, analoghi impegni attuativi che verranno acquisiti nel disegno di legge. Ovviamente il primo soggetto di questo adempimento è la Ragioneria dello Stato (più Direzione Generale del Tesoro) che troppe volte ha mercanteggiato la "bollinatura" costringendo i governi (e commissioni parlamentari) a rovinose retromarce. Il governo dell'economia (re: Panebianco, Corriere 23 feb.) affidato a Padoan, deve partire da questa premessa visto che, a oltre due anni dall'insediamento del Governo Monti, meno del 40% di quei provvedimenti è stato attuato. Il problema si estende alla politica fiscale, una delle tre riforme annunciate da Renzi, dove l'Agenzia delle Entrate recupera solo il 4-5% delle tasse evase nonostante i roboanti annunci al pubblico dei tax payers. Il tema riguarda anche i ripetuti "condoni" che hanno visto entrare nelle casse dello Stato cifre nettamente inferiori a quelle concordate con gli evasori. La retorica contro la burocrazia non serve a nulla se non si prende atto che tutto ciò si traduce in mancati incassi per decine di miliardi che gridano vendetta allo spettacolo offerto dal governo Letta che per dieci mesi ha cercato di trovare 4,5 miliardi per abolire l'IMU. Non è difficile, in questo contesto, comprendere la diffusa ostilità (in prima fila giornali e televisioni) che la casta rivolge al nuovo governo Renzi se non nella percezione tra la "main street" che gli interessi colpiti sono così diffusi da rasentare il panico. Vi è poi il tema delle banche e del credit crunch. Con cinque anni di ritardo si è iniziato a parlare di "bad bank". Altri paesi, come Inghilterra, Spagna ecc, vi hanno fatto ricorso con successo (tra gli esempi storici vi è la Svezia negli anni '90). In Italia, una retorica istituzionale, inutile quanto non veritiera, ha evitato questo strumento ampiamente collaudato nel mondo occidentale. Una debacle per la Banca d'Italia. Sul banco degli imputati la Vigilanza come dimostrano i più recenti episodi di Monte dei Paschi e Banca Marche. Chi paga per questi errori? Nel frattempo il sistema bancario italiano è alle prese con il macigno di 155 miliardi di crediti inesigibili. Il credit crunch, così prolungato, ha queste origini. Un tema reso ancora più complicato dalla necessità di ricapitalizzare le banche più deboli con almeno 8 miliardi di euro entro aprile (Mps sta pagando l'8% di interessi sul prestito statale, non era meglio la bad bank?). Gli appelli di Confindustria restano privi di riscontro: solo 22 miliardi su 100-110 di debiti della PA sono stati rimborsati alle imprese. Silenzio sul cuneo fiscale. Sorprende che il governatore Visco continui a difendere "questa gestione" della finanza pubblica indicandola all'attenzione di Matteo Renzi.  Con l'avvento del nuovo governo, il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, potrà auspicabilmente dare contenuti concreti a cominciare dallo sfoltimento delle oltre 30mila partecipazioni societarie che fanno capo alle amministrazioni pubbliche (si stima con un rosso di 23 miliardi). Di queste 2023 società, partecipate dagli Enti locali, sono in rosso perenne. Stesso discorso per la centralizzazione degli acquisti (ruolo Consip) con la definizione dei costi standard. Se ne parla da anni ma con scarsi risultati (solo per lo Stato centrale almeno 800 milioni di risparmi all'anno). C'è uno Stato da rifare. La pressione fiscale è tale che gli italiani non sono disposti ad aspettare oltre. (Guido Colomba)