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Crisi del petrolio? Sotto scacco anche l'Europa


Guido Colomba

Quali effetti può avere il crollo del petrolio sulla politica economica e monetaria europea? Nel 1990 il prezzo del petrolio era pari a 11 dollari (fu la molla che spinse Saddam ad invadere il Kuwait il 2 agosto '90). Lo "shale oil" costituisce il punto di svolta della nuova strategia geopolitica concordata tra Stati Uniti ed Arabia Saudita a danno di Russia, Iran e Iraq. Una svolta a duplice effetto: da un lato, aggrava il peso delle sanzioni in atto contro Russia e Iran (i cui bilanci dipendono al 50-60% dalle entrate petrolifere). Dall'altro, rende del tutto obsoleta la partita a scacchi tra Germania e Francia con buona pace per la lenta politica di espansione monetaria annunciata dalla Bce. A cosa ci riferiamo? I sette anni di crisi, dopo il crack di Lehman nel 2008, hanno reso molto debole l'asse tra Germania e Francia dove la prima (con 280 miliardi di surplus commerciale) esercita una leadership non all'altezza del suo ruolo. Lo dimostra il piano Junker (candidato dalla Merkel) che mobilita in tre anni appena 16 miliardi di capitali europei più cinque garantiti dalla Bei con una leva di 15 volte che dovrebbero generare 315 miliardi di investimenti. Un piano di ingegneria finanziaria, presentato ben sei mesi dopo le elezioni europee, che suscita notevoli dubbi applicativi. Romano Prodi, ex-presidente Ue, ha così commentato questo piano: "Meglio succhiare un osso che un bastone..." Quanto a nuovi progetti è tutto fermo: due economisti, Enderlein e Pisani-Ferry, hanno avuto l'incarico da Berlino e Parigi di preparare un nuovo progetto (riforme, investimenti e crescita) presentato in pompa magna a Parigi. Nel frattempo il crollo del petrolio produrrà due sicuri effetti: (1) riduzione delle esportazioni di merci e servizi Ue; (2) ulteriore deflazione (l'indice dei prezzi in Germania segna ora appena +0,3% rispetto all'obiettivo Bce del 2%) a tutto danno dei consumi. Ecco perchè Draghi ha giustamente messo le mani avanti, ripetendo anche ad Helsinki, che l'austerity si è dimostrata insufficiente e servono "meccanismi di sostegno per il debito pubblico". Proprio quelli che Berlino non approva. Straordinaria l’analisi della situazione europea di papa Francesco. Il suo "j'accuse", il 25 novembre dinnanzi al parlamento di Strasburgo, rivolto ai "burocrati senza volto" ha centrato il problema costituito da oltre 26 milioni di disoccupati e da quella giovanile superiore al 40%. "L'essere umano - ha detto - rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta come un bene di consumo usa e getta". La teoria dello "scarto". Purtroppo i tempi di reazione europei sono lentissimi. Obama, nonostante i problemi interni, annuncia con orgoglio la crescita economica (+3,9% oltre le attese). Un divario imbarazzante per l'Europa. Può sembrare paradossale ma vi sono vantaggi per l'Italia. Innanzitutto dalla caduta del prezzo del petrolio e del gas metano. Poi, il governo Renzi è in grado di massimizzare la credibilità ottenuta a livello internazionale con la sua politica di riforme che cominciano (es. Jobs Act e Patto di stabilità) a prendere forma concreta. La ripresa delle esportazioni in alcuni mercati a grande sviluppo (Usa e Cina) costituiscono una conferma per la politica manifatturiera del "made in Italy". Il surplus in nove mesi di 28 miliardi, ai massimi dal '93, è una eloquente conferma.