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Grecia, geopolitica e macroeconomia


Guido Colomba

C'è sicuramente una convergenza nell'Occidente: la burocrazia è divenuta il peggior nemico dello sviluppo. Se ne paga il conto con l'Unione europea che ha affrontato la bolla del 2008 con un "deleverage" antisociale che ha lasciato solo detriti e macerie. L'esempio greco è il più complicato e, al tempo stesso, il più esemplificativo degli errori commessi negli ultimi sette anni. Lo stesso Barack Obama, non solo Alexis Tsipras, ha posto per primo il problema del salario minimo (aumento dell'ora lavorativa). Ed ha rilanciato con successo il manifatturiero innovativo, con una condanna implicita della finanza speculativa, promuovendo il ritorno in patria delle industrie Usa "delocalizzate". Il risultato è noto: il Pil viaggia verso il +5% e la disoccupazione è scesa sotto il 6,5% (target QE della Fed). Negli Usa è tornata la voglia di investire. Non sorprende che Obama abbia subito offerto il proprio aiuto al neogoverno greco. Tutto ciò porta alla distinzione tra macroeconomia e geopolitica (crisi russo-ucraina, conflitti in Medio oriente e Nord Africa). Krugman, già nel 1998, aveva spiegato perchè il solo stimolo fiscale sia uno strumento debole per la gestione della domanda a breve. Oggi, le prospettive del 2015 sono nettamente espansive anche per l'Europa. Il Qe deciso (ancorchè tardivamente per colpa di Berlino) da Mario Draghi abbassa i tassi di interesse a lungo termine favorendo il finanziamento delle infrastrutture primarie, spinge le valute a deprezzarsi (l'euro è già sceso rispetto ai massimi del 20% sul dollaro), soprattutto allenta la stretta creditizia. Se aggiungiamo il calo, pari al 56%, del prezzo del petrolio si comprende la previsione di Confindustria di un aumento nel 2015-16 del Pil italiano superiore al 2,5%. Un quadro previsionale positivo emerso anche al convegno romano dell'Aiaf dal titolo significativo: "L'Italia fuori dalla crisi nel 2015?" Inoltre, l'information technology si sta saldando con la politica economica se pensiamo che il Tesoro vuole utilizzare il "crowd funding" per finanziare le Pmi. Un tema che dilata le opportunità di investimento e si estendere al finanziamento della cultura (musei, archeologia) e del turismo. Certo, al momento, mancano all'appello in Italia investimenti per circa 80 miliardi.  Qui sta il fatto nuovo, esaltato dalla crisi del debito greco facilmente rimodulabile ove si torni alla distinzione tra credito a breve e credito a lungo termine (come è stato fino agli anni ’90): il riaffacciarsi convinto di investimenti pubblici a lungo termine in grado di ridare fiducia agli investimenti privati. Un circolo virtuoso di natura macroeconomica che ora trova le condizioni per ripartire. E' terminata la fase delle "prede facili" (di qui il rifiuto di privatizzare deciso dal governo Tsipras) cui ha sempre mirato la finanza speculativa. Una presa d'atto che implica una svolta europea nella strategia per l'area Med.