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In memoria di altri due innocenti sacrificati alla ragione di stato.




Lo Porto, Gentiloni riferisce in Aula E ora La Casa Bianca dubita della strategia dei droni
Alberto Pasolini Zanelli
Deve essere stato uno dei momenti più imbarazzanti e più penosi dei sei anni della sua residenza alla Casa Bianca: quello in cui Barack Obama si è visto costretto ad annunciare personalmente, ad ammettere per la prima volta che i droni possono uccidere anche degli innocenti. E ad aggiungere che “quelle morti ci perseguiteranno finché siamo vivi”. Non sono stati i primi, in realtà, a fare delle vittime che hanno un nome e un cognome. Un americano e un italiano, entrambi disarmati, prigionieri, ostaggi in qualche angolo fra l’Afghanistan e il Pakistan, caduti da tempo nelle mani dei talebani. A colpirli sono stati dei missili americani teleguidati dall’altro capo della Terra.
Dai droni, l’arma preferita dell’attuale inquilino della Casa Bianca, quella invisibile e infallibile. La più “umanitaria”, prescelta e preferita dal più “pacifista” tra i presidenti Usa dell’ultimo mezzo secolo. Un’arma, aveva detto più volte Obama, “contro la guerra”. Adottata proprio per attutire, minimizzare i più dolorosi danni bellici. L’arma “invisibile” in contrapposizione alle guerre rumorose e totali volute dal suo predecessore George W. Bush.
Almeno due che Obama aveva ereditato e cercato di evitare, due conflitti “intrattabili”, in Afghanistan e in Irak il giorno che era divenuto presidente e si era messo subito all’opera per concluderle, finirle; lasciando in vita, però, le “sue” guerre, condotte con una escalation di uso dei droni in Pakistan, in Somalia, nello Yemen. Con l’uso di “uccisori” puntuali e precisi, mossi da tecnologie nuove e impiegati nello sforzo di tenere gli Stati Uniti fuori da altri “pantani” e responsabilità. Era buona l’idea di “pizzicare” ad uno ad uno i più pericolosi terroristi senza rischiare vite americane e senza affondare negli oceani di sangue delle guerre convenzionali. “Uccidiamo – aveva detto spesso Obama – quelli che cercano di ucciderci”, proteggendo gli altri. E aveva funzionato, in parte. Centinaia di terroristi, di “militanti”, di jihadisti sono stati “eliminati” da quelle macchine volanti dal cervello così preciso e così distante. Ma non senza costi, umani in ambedue i sensi del termine: perché sbagliare è insito nella natura umana, sia nella conduzione, sia nella pianificazione. In questi sei anni erano venuti crescendo, oltre che i successi, gli errori pericolosi, solo in parte e con grande cautela ammessi. Se migliaia sono stati finora i nemici designati, centinaia sono stati gli innocenti, coinvolti più spesso semplicemente perché vicini, di casa o di sentiero.
Esponendo così l’uomo della Casa Bianca a critiche crescenti da molte parti. Dagli “umanitari” che contano le vittime a dei conduttori della guerra che vedevano accumularsi i danni indiretti o secondari. Intellettuali ma anche militari, repubblicani ma anche democratici, liberali ma anche conservatori. Come Rand Paul, figlio del fondatore del Partito Libertario oggi candidato alla presidenza, che qualche mese fa ha bloccato i lavori del Senato con un ostruzionismo di tredici ore consecutive, senza riuscire a bloccare il programma droni ma rendendo la prosecuzione più difficile e politicamente più costosa. A Washington e nei remoti deserti. Mese dopo mese, la Casa Bianca ha dovuto impegnarsi sempre di più in un’opera paziente di “smacchiatura” dell’onore nazionale, leso dall’idealista Obama, in questo senso quasi quanto dal suo predecessore “guerrafondaio”. E dire che si è impegnato a fondo nel cancellare o sbiancare altre macchie come le prigioni segrete della Cia all’estero e l’impopolare carcere di Guantanamo. I “falchi” sono riusciti finora a impedire a Obama di mantenere la sua promessa del primo giorno, chiudere quella prigione inserita nel territorio di Cuba.
Di risultati, insomma, i droni ne hanno ottenuti, ma ad un prezzo più importante dei successi. Sono serviti a mostrare al mondo che “l’America fa sul serio” (ma sarebbe bastata l’uccisione di Osama Bin Laden). In Paesi come il Pakistan o lo Yemen i “droni” sono anche serviti, ma al nemico, per attirare nuove reclute, suscitare fra la popolazione ondate di odio per l’America, particolarmente negli ambienti musulmani integralisti. Obama mostra adesso di essersene reso perfettamente conto, ma non gli è e non gli sarà facile tornare indietro, eliminare questa spina irritativa. Anche perché i “droni” si sono mostrati in realtà troppo facili da manovrare, agibili in mano a chiunque. Per esempio a quegli ignoti che hanno spedito una di queste macchine volanti ad atterrare sul tetto della residenza del primo ministro giapponese, con un carico di cesio, il materiale radioattivo protagonista dei lutti e del terrore del disastro di Fukushima.