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“La gestione della barbarie”



Alberto Pasolini Zanelli
Due ondate “nuove” emergono dall’antico bollore integrale del Mediterraneo. Non è proprio il termine più adatto per definirle, perché sono antiche di secoli. Ma negli ultimi decenni sono diventate ancora più rovinose, minacciose e angosciose. Sta accadendo con due fenomeni più evidenti che mai nella Storia ormai lunga di quest’epoca incompresa che si continua a chiamare Primavera Araba. La deflagrazione è anche nella fuga delle popolazioni, accelerata dal panico, con mille porte d’uscita e mille scogli di ingresso negato. Sta battendo in questi giorni tutti i suoi record di sangue, centinaia in spazi di ventiquattro ore. Si discute sul da farsi, che è poco ma perlomeno è razionalmente concepibile e universalmente riconosciuto, comprese le sue connessioni con un mondo che sembra un altro, percorso da una diplomazia che consiste soprattutto in scambi di ultimatum e di segni di intervento con cause e frontiere da apostoli del terrore.
Il secondo fenomeno, quello di cui si parla meno e di cui ci si dovrebbe occupare con maggiore urgenza, ha invece un bersaglio preciso: i cristiani. La sarabanda “mediorientale” li aveva coinvolti da tempo, ma le loro peripezie si confondevano nelle convulsioni di tre continenti. Adesso i suoi contorni si disegnano ancora più chiaramente degli altri. Nell’era del Grande Disordine emergono forse per caso episodi come l’esecuzione di quei ventotto fedeli etiopi – e dunque copti – assassinati in Libia sulla “base” di una vera e propria sentenza e dalla proclamazione di un “principio”: perché Cristiani. Un verdetto e un principio “firmati” da uno stratega del terrore in quello che è una diagnosi e un programma: “L’Occidente non ha l’energia per una lotta prolungata, neanche l’America, estremo bastione degli Infedeli”. L’unico vero ostacolo sulla via dell’istituzione del dominio di Allah sul mondo intero è costituito da quei musulmani che si concedono delle debolezze e che invece dovrebbero condurre la Jihad con il massimo della forza e della violenza. L’autore di questo “manifesto” ha anche un nome Abu Bakr Naji, uno dei teorici di Al Qaida. Egli lascia in eredità una vera e propria guida dal titolo “Edarat al-Wahsh”,  e nel testo si riferisce agli attentatori di Parigi, negli Stati Uniti, in Canada, a Londra, in Irak e in Siria, in Nigeria. Non parla di “dittatori da combattere” né di regimi da migliorare: solo di infedeli da distruggere. In primo luogo i cristiani.
Che hanno una caratteristica peculiare che li distingue dagli altri infedeli e naturalmente dagli adepti di altre sette islamiche: l’adesione allo Stato. Agli Stati. La religione più universale della Terra consente, a differenza di altre, la lealtà terrena fra cittadini e fra sudditi e regnanti. Non rivendica il monopolio dell’appartenenza. Lo dimostra anche la Storia di questi anni terribili in cui cristiani e “laici” che vivono a distanza continuano a pensare in positivo come una “primavera”. In termini laici questa si chiama lealtà. Quei copti “eliminati” in Libia non si consideravano elementi estranei alla loro patria e neppure nell’emigrazione, nella diaspora europea come in quella nelle terre dell’Islam. Così come non si sentono gli egiziani che sono una minoranza dell’Egitto islamico ma non una “minoranza” di identità. Si proclamano da sempre “egiziani e patrioti”. Il nuovo detentore del potere al Cairo, il generale Sisi, glielo ha nuovamente attestato. È stato il primo a visitare la cattedrale a porgere le condoglianze. Da altre “patrie” in cui erano assai più numerosi i cristiani erano stati scacciati negli ultimi tempi dalle persecuzioni e dalle convulsioni fra i “padroni di casa”. Dalla Siria se ne sono andati 450mila dall’inizio della guerra civile che l’Occidente aveva annunciato come una sua vittoria. In Irak ce n’erano un milione e mezzo al momento in cui arrivò la “guerra americana” contro Saddam Hussein. Nel Libano i cristiani erano addirittura la maggioranza. In Palestina, dove il cristianesimo è nato, i cristiani si sono sempre sentiti e definiti Palestinesi e non una minoranza di ospiti. Una particolarità che va ricordata per definire meglio il loro ruolo e dunque i pericoli insiti nel giudizio diffuso in Occidente, secondo cui la tragedia mediorientale sarebbe anche o soprattutto una conseguenza della creazione di Stati nazionali artificiali e fragili. Lo erano, ma la “liberazione” dagli Stati è un’ulteriore causa di fragilità e rischio.