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Lo spettro che sgomenta Varsavia è quello russo



 Warsaw Old Town

Alberto Pasolini Zanelli (da Varsavia)
No, non c’è solo la Grecia ad angosciare gli architetti d’Europa. E neanche solo la Spagna, che pure mostra di voler incolonnare Barcellona e Madrid dietro Atene. C’è anche la Polonia, arrabbiata, preoccupata, angosciata quanto le sue “sorelle mediterranee” ma che esprime il proprio malumore in un modo diverso e in una direzione opposta: i Tsipras e gli Iglesias si buttano tutti a sinistra, i Duda si volgono, altrettanto recisamente, a destra. E non si elidono a vicenda, come potrebbe bastare: si sommano, anzi; mettono assieme un impressionante consenso per gli euro critici, motivati diversamente, in condizioni differenti ma egualmente preoccupati, ingrugnati, angosciati.
I polacchi dovrebbero esserlo, in teoria, meno degli altri, dal momento che nell’Europa cosiddetta unita il malumore prevalente è quello economico. Soprattutto proprio in Spagna e in Grecia (aspettiamo a parlare dell’Italia a urne riaperte), ma anche in Portogallo, in Irlanda, in Belgio, a Cipro, a Malta, magari anche in Francia. Ma mentre a Madrid, a Lisbona, a Roma eccetera si sventolano nelle strade i portafogli vuoti (e magari, come ad Atene, si intrecciano negoziati “alternativi” con Mosca), lo spettro che sgomenta Varsavia è proprio quello russo. Greci e spagnoli domandano rinvii nel pagamento di debiti esorbitanti, i polacchi invocano più armi. Non una ricostruzione industriale, ma un rafforzamento della difesa nazionale. Con fermezza, insistenza, perfino con attenzione eccessiva. Non si limitano a temere di diventare una Ucraina del Nord, ma attaccano questa ansia a quasi ogni sorta di problemi. Negli ultimi giorni, per esempio, agli scandali calcistici. Mentre le società e i tifosi si preoccupano delle conseguenze in area di rigore e l’Fbi coglie un’occasione in più per ribadire che è lei a decidere se un problema riguarda l’America o meno, in Polonia si lancia una crociata per la destituzione del presidente della Fifa, lo svizzero Joseph Blatter, o almeno contro la sua rielezione. E questo non per le bustarelle, a volte corpose, consegnate da qualcuno prevalentemente ai rappresentanti di micronazioni in cambio delle assegnazioni delle sedi dei mondiali, ma per cercare di cancellare dal calendario l’edizione 2020, assegnata alla Russia. L’argomento buttato sul tavolo dai dirigenti sportivi è: i russi hanno invaso un altro Paese e quindi non si meritano di accogliere dei Giochi internazionali.
Il nuovo presidente della Repubblica, il “falco” Andrzej Duda, tiene naturalmente altro linguaggio, molto serio e certamente più fondato: quello che gli è servito ad essere eletto a sorpresa presidente della Repubblica contro i desideri del governo di Varsavia e le previsioni basate sul momento piuttosto felice dell’economia. E riesce a farsi prendere sul serio da Putin, che entra nella polemica, si schiera con il manager-maneggione svizzero e accusa Washington di tirare le fila della manovra per non farlo rieleggere. Il presidente russo, uomo di intensa attività fisica, prende molto sul serio lo sport, pronto anche ad attivare crisi diplomatiche internazionali pur di pervenire a glorie di quel genere e i suoi avversari lo seguono in questo. Pochi hanno dimenticato come nacque la crisi oggi in corso fra Mosca e Washington, la più seria dopo la fine della Guerra Fredda. La lanciarono, ben prima degli eventi in Medio Oriente e della comparsa di Isis, le Olimpiadi invernali a Sochi, nel Caucaso. Gli Stati Uniti e altre nazioni boicottarono la cerimonia inaugurale cui Putin teneva moltissimo perché era una recitazione di glorie nazionali, con la scusa che in Russia erano state introdotte “misure discriminatorie nei confronti degli omosessuali”. Cominciò così lo scambio di sgarbi che si estese fino a far rispuntare in qualche modo ombre da Guerra Fredda, con risonanze immediate nell’opinione pubblica russa e, di conseguenza, nei più russofobi fra i Paesi confinanti. Almeno fino a quando l’infaticabile Segretario di Stato John Kerry intraprese il suo ennesimo viaggio a Mosca e “intiepidì” di nuovo l’atmosfera.
Ma la Polonia è un caso diverso. La sua geografia e la sua storia comportano, giustificano e rendono quasi obbligatori rancori antichi e tenaci con due spettri: Germania e Russia. Ma con la Germania è in corso un riavvicinamento accorato ed accorto, condotto con grande sensibilità perfino dalla signora Merkel. La Russia è tutt’altra cosa, un’altra faccia del destino, contrassegnata anche da sventure della sorte. L’ultima volta che i due popoli cercarono di riabbracciarsi, naturalmente dalle parti di un cimitero, precipitò, prima di atterrare a Smolensk, l’aereo che trasportava, quasi intero, il governo polacco. Duda è uno dei sopravvissuti, da oggi il più potente.
Pasolini.zanelli@gmail.com