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Risparmio degli italiani, quattro volte il debito pubblico



Guido Colomba
 
"Capita una sola volta nella vita di poter vendere e guadagnare sui Bund". La frase, attribuita a un noto gestore internazionale, riflette l'eccezionalità del momento attuale caratterizzato da una massiccia vendita di Titoli di Stato con relativo innalzamento dei rendimenti e con l'indicatore Vir della volatilità in netto aumento. Si vive sui paradossi. Le ragioni di scambio sono migliorate (grazie al forte ribasso del petrolio e delle materie prime) per Europa e Usa a svantaggio dei Brics e dei paesi emergenti. Un dato che spiega il grande caos geo-politico di questi ultimi tempi. L'altro paradosso è rappresentato dal Fmi che non solo non condivide l'austerity europea a guida Merkel (tanto da chiedere la ristrutturazione del debito greco) ma definisce eccessivo il ruolo dei mercati finanziari rispetto all'economia reale e lascia intravvedere il rischio di una nuova "bolla". Concetto ripreso dal presidente della Consob, Giuseppe Vegas: "Sui mercati arriva il rischio bolla. L'enorme liquidità ha contribuito a innalzare i valori dei corsi azionari". Significativo il commento di Banca d'Italia: "Concordiamo con la diagnosi della Consob". Il terzo paradosso è l'analisi più obiettiva e più convinta che viene fatta da un numero crescente di economisti sulla crisi dell'eurozona: per fare un'Europa unita non basta una moneta unica ma occorre unificare le condizioni a livello fiscale e normativo. Il "fiscal compact", ingenuamente fatto votare dal governo Monti nel 2012 senza contropartite, riflette la follia dei falchi di Bruxelles che continuano a voler "punire" i Paesi deboli del Sud Europa nonostante i vantaggi ottenuti dalle banche francesi e tedesche . Per il governo Renzi, impegnato a ridisegnare la macchina istituzionale ed economica del Paese, il "fiscal compact" è un autentico freno a mano aggravato dalla sentenza della Consulta sulle pensioni. Una situazione che continua a penalizzare le Pmi, vero motore dell'economia e delle esportazioni. Purtroppo, in Italia, queste aziende sono troppo banco-centriche e non riescono a finanziarsi sul mercato dei capitali (finora le emissioni di minibond sono state un flop). Sta di fatto che dal 2011 la contrazione dei prestiti è stato pari al 10% per le grandi imprese e del 22% per le Pmi. Le sofferenze bancarie continuano ad irrigidire il mercato del credito. A marzo sono giunte a 189,5 miliardi con un "risk ratio" del 44,8%. Rappresentano ben il 14,8% degli attivi. Pesa anche la debolezza strutturale della Borsa di Milano (di proprietà inglese). Nel 2014 è aumentato del 44% l'azionariato estero (posizioni rilevanti sopra il 2%). Potrebbe essere un segnale positivo se non si cumulasse con la preferenza dei gestori a canalizzare quasi il 90% del risparmio gestito degli italiani - oltre 1700 miliardi - verso fondi esteri mentre si è scoperto (re: Mef) che il "project financing" degli ultimi dieci anni è "fittizio" al 71% (cioè appalti mascherati). Due mondi che non si parlano. La ricchezza degli italiani supera di quattro volte il debito pubblico dello Stato ma ben poco di questa ricchezza va a finanziare l'economia nazionale. Ed è questa la vera responsabilità della classe politica italiana e dei superburocrati che ne sono custodi interessati.