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La fuga dalla deflazione.



Guido Colomba 

Il doppio bazooka di Draghi ha ovviamente ottenuto il plauso dei mercati. Ma restano le incertezze di medio periodo poichè Draghi ha ammesso che la situazione globale è peggiorata e che la guerra alla deflazione non sta andando bene. Un risultato purtroppo scontato dopo otto anni di austerità imposta dalla leadership tedesca. Inoltre, alcuni vincoli restano a cominciare dalla "capital key" che obbliga la Bce ad acquisti proporzionali. L'Italia resta marginale in termini di titoli acquistabili a livello di obbligazioni societarie (un mercato di 450-550 miliardi dominato da Germania e Francia). Eguale sorte per gli enti locali poichè di fatto non esistono Buoni regionali, provinciali e comunali acquistabili nel programma Pspp. La stessa Cdp emette pochi bond rispetto alla tedesca Kfw. Dunque, restano solo i Btp dove gli acquisti potranno salire da una media mensile di 7,3 miliardi a 9,8 miliardi. In dodici mesi gli acquisti aumenteranno di circa 30 miliardi. Finora gli acquisti netti in titoli pubblici italiani hanno sfiorato i 100 miliardi rispetto ai 140 della Germania. Il problema vero è che si è giunti ad una logica rovesciata dominata dai tassi negativi aggravando la crisi dei risparmiatori (middle class) che non hanno più entrate finanziarie. Cinque banche centrali applicano tassi sotto zero: Berna, Stoccolma, Copenhagen, Tokyo e Francoforte. Tutto ciò non ha eliminato la bolla finanziaria esistente e i relativi rischi sistemici. Tre cifre illustrano questa situazione: i derivati ammontano a 553mila miliardi di dollari, i mercati azionari valgono 60mila miliardi, quelli obbligazionari 86mila miliardi. Cosa resta da fare? Il bazooka della Bce è ora puntato sull'economia reale con 2200 miliardi di euro sul piatto. Certo non basta regalare soldi alle banche (prestiti a tassi sotto zero) e, al tempo stesso, imporre regole prudenziali sempre più stringenti che limitano la capacità di prestare denaro. La vicenda italiana della (mancata) "bad bank" misura questo paradosso. Ora, per l'Italia vi sono tre strade da percorrere. (1) Meno tasse locali e più produttività attraverso investimenti nei settori primari dell'innovazione. Un programma che può essere di riferimento per l'Italia e l'Eurozona puntando sugli euro-Esm bond fin qui negati da Berlino. (2) Spending review in tema di agevolazioni. Certo se vengono tagliate le agevolazioni di fatto si aumentano le tasse a meno che le risorse risparmiate siano destinate a un fondo per la riduzione delle aliquote con due vantaggi: maggiore equità fiscale e stimolo ai consumi mettendo in circolo decine di miliardi. (3) ridurre il contributo italiano alla Unione europea che presenta un deficit annuo di 5,4 miliardi. Dal 2008 ad oggi ballano circa 60 miliardi. Con una particolarità. La Gran Bretagna, grazie all'accordo spuntato da Margaret Thatcher, ha ottenuto che le vengano restituiti ogni anno i due terzi del proprio contributo. La differenza va a carico in proporzione agli altri paesi membri. Solo nel 2015 questa "tassa di restituzione" é costata all'Italia quasi settecento milioni di euro ("sceso" con il Pil in decrescita dal 2011 al 2014). Forse Mario Monti, che lamenta le critiche all'Europa formulate dal governo Renzi, dovrebbe studiare questo dossier. (Guido Colomba, editor the Financial Review