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Cosa dice (e non dice) Giorgio Napolitano su Europa, Matteo Renzi e Angela Merkel



 Stefano Cingolani

L’intervista di Giorgio Napolitano al Corriere della Sera è una vera e propria messa a punto della politica europea dell’Italia e si rivolge direttamente al governo, non solo per la tiratina d’orecchi a Matteo Renzi sulle sue intemperanze, per quanto comprensibili, al vertice di Bratislava. L’ex presidente della Repubblica dice, attribuendolo agli amici socialisti francesi, che si confrontano due visioni dell’Unione: quella intergovernativa prevalsa a Bratislava basata su continui compromessi tra governi che esprimono interessi sempre più divergenti, e quella federalista che spinge per nuovi e continui passi avanti verso una maggiore integrazione.
Delle tre istituzioni della Ue, il Consiglio, la Commissione e il Parlamento, il Consiglio rispecchia la visione intergovernativa, il Parlamento vorrebbe rispecchiare la seconda, ma non ha né il coraggio intellettuale né la forza di farlo, la Commissione si barcamena, anche se Napolitano apprezza i passi avanti che legge nel discorso di Juncker sullo stato (penoso) dell’Unione. Ebbene, e questo è il messaggio politico, l’ex presidente invita caldamente Renzi ad abbracciare la strategia dei passi avanti, con il piglio e il taglio degasperiano ricordato dal recente discorso di Mario Draghi il 13 settembre a Trento nel ricevere il premio De Gasperi. Ecco, l’invito e la proposta che Napolitano manda a Renzi, è di seguire le indicazioni di Draghi, senza farsi prendere da eroici quanto controproducenti furori.
Che cosa ha detto il presidente della Bce? Lo ricorda Napolitano: “Si tratta di “coniugare efficacia e legittimazione”, mettendo in comune “soltanto lo stretto indispensabile” (parole di De Gasperi) “per la realizzazione dei nostri obbiettivi più immediati”, ciò significa che ci si deve “concentrare sugli interventi che portano risultati tangibili e immediatamente riconoscibili” per recuperare fiducia tra i cittadini”.
Qui c’è un discorso sul metodo (“Si tratta di un’opera di tessitura, urgente e delicata, di cui l’Italia deve farsi protagonista piuttosto che lasciarsi tentare dal “fare da sola”) e sul merito: “Gli interventi necessari dell’Unione debbono “essere visibilmente connessi ai timori immediati dei cittadini”: tra i quali rientrano in particolare i settori dell’immigrazione, della sicurezza e della difesa”. Napolitano (così come implicitamente ha fatto Draghi) invita Renzi a mettersi al lavoro con proposte concrete, appoggiandosi su Juncker senza bacchettare gli altri capi di governo.
Questo europeismo pragmatico è un esempio di come si possa mettere insieme fedeltà ai principi e capacità di fare politica. Ma il presidente ha trascurato (e non è naturalmente un caso) la questione più spinosa, quella che davvero divide non solo le forze politiche italiane, ma anche lo stesso Partito democratico: il rapporto con Angela Merkel, variante concreta e immediata della più generale questione tedesca. De Gasperi riconosceva alla Germania la sua centralità nella costruzione europea. Gli italiani e lo stesso Renzi oggi sono restii a farlo. Il realismo di Napolitano invita a tornare sulla via maestra. Questo non vuol dire asservimento.
Prendiamo Draghi: in tutti questi anni ha battagliato con la Bundesbank, ha cercato e trovato il sostegno della Merkel alla quale ha anche espresso i suoi punti di vista spesso dissenzienti, ha parlato in numerose occasioni ai banchieri, agli industriali, ai parlamentari, agli studenti tedeschi esponendo le sue posizioni. Li ha convinti? Alcuni sì (la stessa Buba riconosce i vantaggi di una politica monetaria espansiva e si limita a un invito a non esagerare soprattutto con i tassi negativi), la maggior parte forse no. Ma ha seguito una posizione coerente, senza colpi di teatro e senza piegarsi. Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, ha ammesso anche recentemente di essere rimasto in minoranza, lo ha fatto con l’orgoglio di chi è convinto delle proprie posizioni e le difende, ma senza mai prendere cappello.
Una linea chiara, la tenacia e la forza intellettuale di difenderla, un confronto continuo. Se non si vuole “fare da soli”, come ammonisce Napolitano, è l’unico metodo corretto ed efficace. Il dissenso va fatto sentire, non può restare nelle segrete stanze (da questo punto di vista Renzi ha fatto bene ad alzare la voce a Bratislava), ma con una strategia politica in mente (e questa manca al governo italiano).
L’ultima notazione riguarda proprio la Merkel. Chi non condivide le sue posizioni e critica i suoi zig zag opportunistici, non può non riconoscere che la Cancelliera rappresenta una Germania non revanscista, ancorata all’alleanza occidentale e non è scontato tanto meno nella Germania odierna (come ricordava Thomas Mann, i tedeschi mostrano sempre una fascinazione nostalgica che li spinge a Oriente), ferma nei suoi valori liberal-democratici (lo ha dimostrato sull’accoglienza) e pragmatica abbastanza da non diventare schiava delle proprie convinzioni (anche questo non è così usuale nell’Europa luterana). Non esistono leader alternativi, anche se un quarto mandato sarebbe eccessivo per chi crede nell’alternanza; non lo sono i socialdemocratici sbandati e senza una linea chiara; non c’è nessuna figura nazionale nuova nella Cdu; tutto il resto è, direbbe Totò, “birra e salsicce”.