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Donald Trump mantiene le promesse, più controverse sono, tanto meglio.



Alberto Pasolini Zanelli
Donald Trump mantiene le promesse, più controverse sono, tanto meglio. Per lui. Non per i suoi avversari, così impegnati a cercare di linciarlo da dimenticarsi che lui non ha dimenticato le promesse che ha fatto fin dal primo giorno di un’interminabile campagna elettorale e che in poco più di una settimana lo trasformarono da scherzo di cattivo gusto in candidato serio o almeno temibile, leader inatteso del Partito repubblicano, flagello del candidato democratico e presidente degli Stati Uniti. Era parso non dico dimenticarsene ma di essere un po’ distratto dal tumulto dell’ascesa al trono, dei sorrisi e delle dimostrazioni ostili su un vasto terreno, tranne, apparentemente, su quello che aveva dato il via al suo Blitz.
Invece il quarto giorno della prima settimana di Casa Bianca lui le ha ritirate fuori tutte le promesse e gli allarmi. Tutte in poche ore. Aveva esordito promettendo, o minacciando, di far costruire un muro per tenere fuori gli immigrati dal Messico e dintorni. I rivali nelle primarie repubblicane e i commentatori avevano risposto con risate scandalizzate e lui era parso tirarsi indietro. Adesso ha riaperto l’occhio e ha riconfermato: il muro si farà, da un Oceano all’altro e lui cercherà di farlo pagare al Messico. E sarà solo il primo passo in una serie di leggi e regolamenti che dovrebbero, almeno lui dice, non solo spezzare le reni agli immigranti clandestini ma anche limitare drasticamente quelli legali e rafforzare così la sicurezza nazionale. Senza limitazioni né razziali né geografiche: rimarranno fuori anche quelli in fuga dalla Siria o dagli altri Paesi terrorizzati dalla guerra civile e, appunto, dal terrorismo. Non solo con quel muro, ma anche dal ritorno a pratiche da emergenza poliziesca. Per esempio a Guantanamo, che Obama non ha fatto in tempo a chiudere, anche se ha ridotto il numero di quei detenuti senza processo che adesso con ogni probabilità torneranno ad aumentare. Li minacciano anche i Posti Neri, pratiche di detenzione e di interrogazione comprese, pare ovvio, quelle definibili come torture. Lo lascia intendere in un ennesimo Tweet, contemporaneo all’annuncio dell’arrivo a Washington del ministro degli Esteri messicano in preparazione della visita del presidente Enrique Pena Nieto, entro il mese.
La conferma della decisione di murare la frontiera meridionale degli Stati Uniti compare nel testo come distrattamente: “…tra molte altre cose costruiremo il muro”. Pena Nieto dovrebbe pagarne le spese e questo non è detto che accadrà. Ma l’esile annuncio ha suscitato critiche da piazza, con scritte tipo “Accogliamo gli immigranti, deportiamo Trump”. Ma l’appoggio dell’opinione pubblica riprende robusto e non solo per l’angoscia del terrorismo, ma anche per la convinzione che il protezionismo di ogni sorta serva a rilanciare l’economia. Nello stesso filone un altro annuncio: andrà avanti la costruzione degli oleodotti ma, aggiunge Trump dovranno essere costruiti con acciaio americano e non di importazione, anche se così costerebbe un po’ meno. Altro segno è un ulteriore incoraggiamento a Netanyahu per il suo programma di nuovi insediamenti in Palestina. In contrasto con l’accresciuta freddezza nei confronti di Putin, lasciato cadere il suo invito alla partecipazione americana alla conferenza di pace in Kazakistan sulla Siria, declinato a Washington. Politica interna, economia e finanza hanno per ora la precedenza su tutto o quasi, escluse forse la polemica surreale sui voti fasulli nell’elezione presidenziale. Trump adesso precisa che un elettore su sette non sarebbe neppure cittadino americano. Una favola messa in circolazione, per la verità dall’opposizione democratica e mescolata con la favola di un intervento russo nella campagna elettorale.
Fantascienza ma che il nuovo inquilino della Casa pare voler fare propria. Non ci sono molti precedenti per un vincitore che contesta il risultato, ma di bizzarrie da ambo le parti questa competizione ha abbondato fin dalla prima ora. Altri temi possono evidentemente aspettare. Compresa la Siria, relegata per un paio di giorni ai tempi ricalcolati ora per un meteorite che ha fatto piovere sulla terra ed è esploso 466 milioni di anni fa.