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Che brutta aria si respira a Washington...!

Alberto Pasolini Zanelli
È questione di giorni se non di ore. Già oggi o domani potrebbe accadere, a Washington oppure da Washington, almeno una delle seguenti cose. La destituzione del superinvestigatore sulle vicende sessuali e finanziarie del presidente degli Stati Uniti. Oppure l’allargamento ulteriore dei limiti al potere di questo Solone; ma anche, ed evidentemente più importante e più grave, la ripresa di scontri armati fra gli Stati Uniti e la Russia. Nell’attesa si è dimesso il capo della maggioranza repubblicana alla Camera, in segno di impazienza per l’incapacità della Casa Bianca e del partito in generale di portare avanti le riforme economico-finanziarie presentate come il cardine del programma repubblicano. Altre possibili scelte incombono, che sarebbero importanti se non dovessero convivere nell’attesa di eventi di portata internazionale o mondiale.
Cominciamo da quello che è successo: il deputato Paul Ryan, capo della maggioranza repubblicana in questo ramo del Congresso, ha annunciato in tono fermo se non solenne che non sarà candidato alle elezioni di novembre per il rinnovo del Parlamento. Lo ha fatto con tono stizzito, suscitando le irritate reazioni nelle vicinanze della Casa Bianca ma anche raccogliendo un importante consenso: sono già 46 i deputati repubblicani intenzionati a rinunciare alla loro candidatura a novembre e dunque a perdere i rispettivi seggi. Altri posti importanti sono nelle stesse ore in pericolo. In primo luogo quello del “super inquisitore” Robert Miller, quello che ha spedito gli agenti dell’Fbi a perquisire la casa e l’ufficio dell’avvocato personale di Trump alla ricerca di documenti circa un compenso finanziario a una prostituta per una prestazione di dieci anni fa.
C’è però un’alternativa: che il ministro competente licenzi l’Inquisitore (ma anche che licenzino lui), il che susciterebbe un’ulteriore ondata di sdegno ancora più sproporzionata ma di peso sui destini di Trump. Il quale però potrebbe scongiurare la sconfitta con una specie di arma assoluta: in senso proprio, intervenendo militarmente in Siria, lanciando missili su un angolo del territorio di una nazione in guerra da sette anni e mezzo per punirlo di avere usato in un angolo del Paese un tipo di arma chimica vietato dagli accordi internazionali. Washington però non manderebbe soldati, almeno per ora, ma missili, che naturalmente non sarebbero mirati al singolo guerrigliero, bensì alla rotta dei fornitori”, vale a dire alla Russia, con un’azione che le stesse leggi internazionali considerano atto di guerra. I rapporti fra le due Superpotenze tornerebbero così ai livelli precedenti la fine della Guerra Fredda, cancellando l’opera di Ronald Reagan e di Mikhail Gorbaciov, il “miracolo” che portò alla morte del comunismo nel mondo. Trump farebbe probabilmente questo alla sua maniera, cioè non secondo un rigoroso codice militare, bensì in qualche modo a capriccio: senza nascondere che la Russia e non la Siria è il suo vero obiettivo, emettendo pubblici ultimatum tramite Twitter, secondo la sua abitudine, obbligando Putin a minacciare ritorsioni dirette e rispondendogli che lui, Trump, “tirerà dritto”. Senza tenere conto delle forti riserve dei militari americani, che gli fanno presente che il gesto così avrebbe caratteristiche totalmente diverse da una “azione di polizia” in un Paese del Terzo Mondo, bensì accenderebbe o almeno farebbe divenire urgente e imminente uno scontro diretto fra Washington e Mosca. Non si esclude che qualche generale o funzionario del Pentagono si dimetta di conseguenza, ma pare che Trump non sia disposto a tenerne conto, coerente in questo con la sua ultima scelta ai vertici dell’Amministrazione, cioè la nomina di John Bolton, considerato un “bellicista” un po’ da tutti, militari, civili e fondo economico. Egli era già nell’Amministrazione Bush, che però lo licenziò e non è molto popolare neppure adesso. Soltanto i mass media dovrebbero essere di buon umore, perché non hanno mai avuto tante notizie grosse e urgenti in un piccolo numero di ore; ma i commenti sono prevalentemente quasi tutti critici. I titoli contengono espressioni come “abuso di potere”, “risoluzione di guerra”, “decifrare l’indecifrabile”, “intervento in Siria? I rischi abbondano per diplomatici e militari”, “la resa di Ryan”, “militari perplessi, Trump agisce di impulso”. Questa l’atmosfera di Washington vent’anni dopo il miracolo di pace. Qualcuno forse l’aveva prevista. Il giorno del funerale di Ronald Reagan, proprio alla fine dei riti, la vedova Nancy rimase quasi sola con una mano appoggiata sulla bara. Quasi. Perché accanto a lei c’era Mikhail Gorbaciov, con le lacrime agli occhi.