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Vento di riconciliazione???


Alberto Pasolini Zanelli

Washington soffia un vento di riconciliazione. O almeno di distensione. Su un terreno limitato ma non troppo, che riguarda le mamme e, naturalmente, i bambini. È una “coalizione” inattesa e improbabile, almeno per quanto riguarda una delle due materne superpotenze. Melania Trump è scesa in campo per aiutare gli ormai famosi e compianti orfani della frontiera, vittime di una legislazione che tende a limitare le immigrazioni da quella famosa frontiera fra gli Stati Uniti e il Messico che viene attraversata per almeno la metà da non messicani ma da pargoli dei piccoli e poverissimi Paesi dell’America Centrale. È un problema antico e difficile, ma reso più acuto dai mutamenti che cominciano ad essere realizzati dall’amministrazione Trump nel tentativo (qualcuno dice “con la scusa”) di migliorare o rendere meno costosa, la legislazione approvata durante la presidenza di Barack Obama. Era stata un’idea molto umanitaria e cercava di proteggere almeno una parte dei migranti, quei bambini che altrove, o anche qui, sono nell’età dell’asilo, in alternativa con le braccia materne.

Era in origine un’idea umanitaria: un “privilegio” per i piccoli per evitare di loro di essere temporaneamente “imprigionati” al momento in cui gli immigranti presentano i loro documenti, ben pochi dei quali in questo momento consentono loro di entrare tranquillamente nella Terra Promessa della ricchezza americana uscendo dalla tenebra della miseria “latina”. Verranno, pare dica la legge, temporaneamente trattenuti mentre i loro babbi, ma soprattutto mamme, regolano la propria collocazione nella burocrazia Usa, diventata più rigida dalla “controriforma” di Trump. Fra le severità ricercate e le imperfezioni di fatto, tanti bambini si trovano a un certo punto lontani dalle madri amorose e troppo vicini ai poliziotti e alle pratiche amministrative di quella che i genitori intendevano fossero ammessi oggi come ospiti e domani come cittadini Usa. La “burocrazia di frontiera” è sempre più complicata dalla ricerca di una soluzione di compromesso, che nei fatti sta diventando una sorta di purgatorio senza uscita. L’opposizione democratica ha trovato ben presto una terminologia imperfetta ma risonante: “Bambini strappati alla mamma e rinchiusi in campi di concentramento”. La Casa Bianca e i suoi sostenitori repubblicani naturalmente negano e affermano invece che la lentezza delle operazioni è dovuta in primo luogo alla necessità di una maggiore cautela dell’immigrazione, da correggere in conseguenza dei “pasticci” causati dalla precedente “soluzione” della legislazione Obama e dai suoi intenti umanitari, che deve essere rivista in armonia con l’intento proclamato e prevalente di una “tolleranza zero”. In pratica, questo significa che, giunti alla frontiera con il Texas o la California, i bambini vengono separati dai genitori non per qualche ora ma per diversi giorni se non settimane. Il risultato è evidentemente l’allarme e la disperazione dei figli e soprattutto delle madri. Una situazione che, ormai a conoscenza di tutti, non manca di creare difficoltà non solo alle guardie di frontiera ma alla stessa Casa Bianca; tanto più che fino adesso non si è trovata una soluzione più pratica di sistemare i piccoli in “campi di transito”, in cui essi perdono le tracce dei genitori.

A questo punto il “fronte” umanitario ha “aperto il fuoco” rivolgendosi all’opinione pubblica, cioè a tutti gli americani denunciando una “politica” di detenzione e di “concentramento” che imita la pratica dei Paesi più arretrati nel campo dei diritti civili e risveglia ricordi anche europei che si supponeva dimenticati in un’economia mondiale molto migliorata nel suo complesso. La protesta ha questa volta trovato una Voce: la moglie di un presidente. Un ex presidente, naturalmente: Laura Bush, consorte dell’ultimo presidente repubblicano prima di Trump, una “Prima Signora”. Laura Bush è “erede” dell’ultimo presidente della “dinastia”, che ha lasciato un’eredità di intransigenza e aggressività, interamente dovuta alle operazioni militari in Irak, come difesa e rappresaglia contro il terrorismo, condotte con una spedizione in grande stile, quella che in pratica fallì e macchiò la “pagella” di un presidente, George Bush, rimasto nei libri di storia come l’antidoto alla gestione meditata e serena del Bush precedente.

La sposa di quest’ultimo, Barbara, era conosciuta per una sua certa durezza, ma Laura finora non si era espressa in proposito. Lo ha fatto adesso e ha trovato subito una risposta e una “alleata”: Melania Trump, che anche in altri campi si sta a poco a poco distinguendo dal marito anche per le sue preoccupazioni umanitarie. Il suo messaggio dice: “L’America è un Paese in cui si seguono le leggi, ma anche un Paese che governi con un cuore. Le conseguenze che tutti lamentano sono anche il risultato di una legge scritta da democratici, che avevano proclamato una tolleranza zero”. Laura Bush è andata oltre, affermando e lamentando che “questa intolleranza è una politica crudele, immorale e che spezza il mio cuore”. Nella disputa è entrato anche un uomo, un ex presidente, Bill Clinton: “Questi bambini non devono essere uno strumento negoziale. Vanno riuniti alle loro famiglie e ricostituire così il volto umanitario dell’America”. Non poteva mancare la sua sposa, Hillary, che ha aggiunto al messaggio di Bill una sola parola: “Sì!”. Trump non ha ancora risposto in persona, abbandonando per questa volta la sua abitudine.