Il Pd eviti la tentazione del partito unico. Macron apprendista stregone

L’ex premier: Macron apprendista stregone, complicato fare un governo
Intervista di Paolo Valentino a Romano Prodi su Il Corriere della Sera del 11 luglio 2024
“La particolarità della situazione italiana è che il Pd ha un ruolo speciale rispetto agli altri alleati, avendo più del doppio dei consensi del secondo partito della possibile alleanza. Però deve capire che una coalizione ha le sue regole e che non ci deve essere la tentazione del partito unico o dominante. Si tratta di una consapevole assunzione di responsabilità. Certo non ci può essere spazio per radicalismi e ali estreme”. In questa intervista esclusiva al Corriere , Romano Prodi ragiona a tutto campo sull’esito delle elezioni in Francia, la sinistra in Italia, il futuro dell’Europa e il ruolo di Giorgia Meloni nei prossimi assetti dell’Unione.
Professore, partiamo dal risultato francese. Qual è la sua lettura?

Detto questo, è un voto che ci fa tirare un sospiro di sollievo in Europa. È d’accordo?
“Io sono contentissimo del risultato, ora però bisogna vedere che governo ne verrà fuori. Quale programma può mettere insieme questa nuova Francia? Il programma precedente, quello di Macron, non mi soddisfaceva ma lo capivo. Ora c’è grande confusione. Le Monde ha proposto un gioco ai lettori, costruire la loro maggioranza preferita, un puzzle quasi impossibile.

Si discute in questi giorni se dal voto in Francia venga una lezione per la sinistra italiana. È così?
“No. Non dobbiamo copiare i modelli altrui. In Italia abbiamo un altro cammino da percorrere. C’è una forza riformista notevole e io vorrei che questo riformismo diventasse abbastanza grande da avere un ruolo di governo. Bisogna allargare, avere grandi ali e soprattutto un programma riformista condiviso”.
E quali sono i suoi cardini?
“Su casa e sanità esiste una naturale identità di vedute, su scuola e fisco si può trovare una linea comune perché la direzione è la stessa. Il Paese è spaccato per quanto riguarda la distribuzione del reddito, ormai intollerabile. Perfino il governatore della Banca d’Italia dice che dobbiamo aumentare i salari perché così le famiglie non reggono. Siamo al di là di ogni immaginazione. Credo sia possibile un lavoro serio, interpellando anche la base: non esistono più le discussioni nei partiti e invece bisogna ripristinarle.

Condiviso anche sulla politica estera, dove invece la sinistra registra profonde divisioni, a cominciare dall’Ucraina?
“Le divisioni della sinistra sulla politica estera, dall’Ucraina all’Europa, sono infinitamente inferiori a quelle della destra che ci governa. Che in una coalizione ci siano differenze anche importanti, è normale. Ma nella maggioranza attuale ci sono addirittura linee opposte. Sull’Ucraina mi pare che le differenze a sinistra siano più componibili di quella a destra: sul diritto all’indipendenza e alla sovranità di Kiev il centrosinistra è d’accordo”.
In Europa è in corso la partita delle nomine, si sta consolidando il cordone sanitario verso l’estrema destra. È la strada giusta? E come giudica l’azione di Giorgia Meloni?

Parla per esperienza personale?
“Certo. Io conoscevo benissimo la faccia di chi non mi avrebbe mai votato nell’elezione per la presidenza della Repubblica. Ecco, questo tipo di franchi tiratori non voterà mai la von der Leyen. E poi ci sono i franchi tiratori che pensano a soluzioni alternative. Questi dovrebbero diminuire dopo le elezioni in Francia. In linea teorica, le candidature proposte dovrebbero essere votate dalla maggioranza che le ha espresse. Se ciò avviene, Giorgia Meloni che si è astenuta su von der Leyen, è fuori gioco. La sua scommessa potrebbe darle più forza solo se il suo voto fosse necessario”.
Fuori gioco significa che l’Italia peserebbe meno nella divisione degli incarichi fra i commissari?
“No. Che l’Italia abbia un commissario di peso è ovvio. Lo ha sempre avuto. Poi sarà Meloni a spingere per Economia, Concorrenza, Bilancio o Agricoltura. Su questo piano non vedo rischi di emarginazione. Vedo invece il rischio che l’Italia non si segga ai tavoli delle decisioni informali insieme a Francia e Germania, fatto indispensabile perché quelli sono sempre stati i due motori trainanti”.
Anche se in questa fase girano a vuoto.

Nel frattempo, abbiamo un problema Orbán in Europa.
“Quando si fanno regole folli, si paga il fio. La regola dell’unanimità e la presidenza a rotazione appartengono al postmoderno. Oggi ne paghiamo le conseguenze: quello è il presidente e fa gli affari suoi. È una cosa orrenda, non è democrazia. Orbán usa il ruolo e il potere che gli abbiamo dato per andare in giro a dire le cose che ha sempre detto e che sono in totale rottura con l’Europa. Ma la colpa è nostra. Fino a quando non la finiremo con l’unanimità, avremo sempre degli Orbán in casa, che approfittano della nostra follia. Inutile girarci attorno: voto a maggioranza, difesa comune, atteggiamento francese sull’arma nucleare e seggio all’Onu, aumento del bilancio europeo, completamento del mercato unico, queste sono le cose che dobbiamo affrontare. Ma ci rendiamo conto che discutiamo sul 2% delle spese per la difesa, senza realizzare un’industria e un esercito comuni?”.
Lei condivide il pessimismo di Joschka Fischer, secondo il quale “se perdiamo questa Europa, perderemo noi stessi”?

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Romano Prodi, classe 1939, laurea in Legge, fondatore e leader dell’Ulivo, è stato presidente del Consiglio dal ‘96 al ‘98 e dal 2006 al 2008 e presidente della Commissione europea dal ‘99 al 2004. Già docente di Economia e Politica industriale all’Università di Bologna, è stato ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato nell’Andreotti IV, presidente dell’Iri dall’82 all’89 e dal ’93 al ’94. Nel 2008 è stato nominato presidente del gruppo di lavoro Onu-Unione Africana sulle missioni di peacekeeping in Africa e nel 2012 Inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per il Sahel.
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