Superpotenze in crisi: l’assenza di dialogo agevola le guerre
Superpotenze in crisi – L’assenza di dialogo che agevola le guerre
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
Il conflitto che ha avuto inizio con la sanguinosa azione di Hamas e che prosegue con la distruzione di Gaza, sta producendo conseguenze tragiche non solo in tutto il Medio Oriente, ma in un orizzonte mondiale.
La tensione israeliano-palestinese ha ulteriormente peggiorato la vita in Cisgiordania, indurendo i già drammatici rapporti fra i coloni israeliani e la popolazione arabo-palestinese. Ha inoltre moltiplicato le incursioni degli Hezbollah nel vicino Libano e, soprattutto, ha messo in crisi il disegno americano di regolare il futuro del Medio Oriente attraverso un progressivo avvicinamento dei Paesi del Golfo e di Arabia Saudita con Israele.
Già oggi, in tutto il Medio Oriente, le posizioni radicali assumono infatti un rilievo sempre maggiore, non solo cancellando i disegni dei nuovi equilibri che si cercava di costruire, ma aumentando ulteriormente le precedenti posizioni anti occidentali.
L’onda dei conflitti e delle tensioni si è estesa poi dal Medio Oriente a tutto il mondo quando gli Houthi, intervenendo nel Mar Rosso, hanno paralizzato l’intero commercio fra Est e Ovest, costringendo un numero sempre crescente di navi a circumnavigare l’Africa, con tempi e tariffe di trasporto moltiplicate.
Tutto questo sta già danneggiando le nostre attività economiche e sta incidendo pesantemente sul costo della vita.
Questa violazione del grande principio della libertà del commercio nel mare e i gravissimi danni economici che ne conseguono sono frutto dell’azione degli Houthi, noti per la loro capacità di combattere, ma non certo forniti di un potenziale militare di grande rilevanza.
Eppure si tratta di una violenza molto difficile da arginare proprio perché gli Houthi colpiscono le navi, oltre che con qualche missile, soprattutto con droni e armi poco costose ed elementari.
Tuttavia, avendo le loro basi nello Yemen, non possono essere messi interamente fuori gioco se non con un intervento di truppe di terra: operazione del tutto irrealistica e politicamente inconcepibile.
Necessaria appare invece la protezione navale che, partita da Stati Uniti e Gran Bretagna, vede oggi un probabile coinvolgimento di unità navali dell’Unione europea, Italia compresa. Un intervento che, proprio perché in difesa della libertà di navigazione (e quindi opportunamente denominato Aspide, cioè scudo), appare necessario, anche se potrà essere solo parzialmente efficace per fare riprendere il traffico marittimo.
Il transito delle navi ha infatti bisogno di una sicurezza totale che difficilmente può essere messa in atto quando le basi, dalle quali partono le offensive degli Houthi, sono mobili e difficilmente eliminabili senza l’impossibile azione terrestre.
E’ indubbiamente degno di riflessione il fatto che queste operazioni militari siano tutte originate da organizzazioni non statuali (Hamas, Hezbollah e Houthi), anche se evidentemente appoggiate da strutture statuali che trovano un comune punto di riferimento nell’Iran. Questo paese sta infatti estendendo la propria influenza non attraverso interventi diretti, ma fornendo a questi soggetti (non regolati da alcun vincolo territoriale o giuridico) i mezzi necessari per provocare danni e terrore.
Tutto questo è possibile a causa della mancanza di un’autorità mondiale e della sostanziale inesistenza di un necessario dialogo fra le grandi potenze. E’ la situazione nella quale ci troviamo in questo anno di incertezza politica americana e di crescenti tensioni fra Stati Uniti, Cina e Russia.
Stiamo vivendo un tempo in cui sembrano essere impossibili le mediazioni necessarie per la prevenzione e la soluzione dei conflitti.
Non può essere inoltre sottovalutato che tutti questi soggetti che sconvolgono gli ordinamenti internazionali sono sostanzialmente unificati da un comune atteggiamento anti occidentale e anti democratico. Il conflitto arabo-israeliano ha infatti accentuato enormemente la polarizzazione fra noi e il resto del mondo (West contro Rest). Uno scontro che dobbiamo evitare se vogliamo sperare in una tollerabile evoluzione della convivenza mondiale e nella sopravvivenza della democrazia.
Non resta quindi che moltiplicare ogni sforzo per porre fine al conflitto arabo – israeliano che da 75 anni sta destabilizzando il Medio Oriente, e non solo il Medio Oriente.
Ovviamente la soluzione non è alle porte perché esige da un lato un’autorità palestinese credibile e capace di dettare regole ad Hamas e, dall’altro, la fine di un governo israeliano che, per bocca di Netanyahu, ha dichiarato che vi sarà sicurezza in Israele solo quando avrà il pieno controllo dell’intera Palestina.
Siamo quindi ben lontani da un credibile processo di pace a cui ci possiamo avvicinare solo con un’azione imposta dal necessario accordo fra gli Stati Uniti e i paesi del Golfo.
Non sarà però facile per gli Stati Uniti convincere un qualsiasi futuro governo israeliano a porre un limite all’avvenuta colonizzazione della Palestina, come peraltro previsto da tutti i precedenti accordi internazionali.
Così come non sarà facile dare finalmente vita a un governo palestinese efficace e responsabile.
Teniamo però in conto che, senza questa grande visione, avremo ancora decenni di tragedie, con la simmetrica autodistruzione del popolo ebraico e palestinese.