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Vero, non è come a marzo. È molto peggio.


Carlo Verdelli per il “Corriere della Sera”

Vero, non è come a marzo. È molto peggio. Allora c' era un Paese preso alla sprovvista che, pur pagando un prezzo alto, trovò una compattezza e una compostezza che ci valse la stima del mondo.

Adesso, a parte il premier Conte (forse), non ci crede più nessuno che andrà tutto bene. E questa perdita di fiducia collettiva è l' effetto collaterale più grave di un devastante ritorno di fiamma del virus, certamente, ma anche di una tragica impreparazione sia a prevederlo che a gestirlo .

Un' anestesista racconta, ed è una voce tra mille e mille: «Quello stanzone così pieno, tutti questi malati proni di cui non puoi neanche vedere i volti, 7 mesi cancellati, tutto troppo triste». Qualcosa di più che triste.

Il virus ci sta usando per riprendere slancio, per moltiplicarsi. Ha bisogno che i nostri corpi entrino in contatto con altri corpi, più siamo e meglio è. Per lui. Trasporti pubblici affollati, con la calca per infilarsi in un vagone della metro o sul predellino di un bus? Magnifico. Sciatori in coda per il primo weekend sulle piste? Perfetto. Spostamenti sui treni locali di gruppi di pendolari, per esempio verso Monza, dove c' è un picco tra i più preoccupanti? Benissimo così.

Limitandoci all' Europa, il Sars-Cov-2 è risorto, le Borse affondano, gli Stati arrancano, il nostro purtroppo più di altri. E pensare che avevamo quasi vinto, almeno noi. Il 2 agosto, contavamo 239 nuovi contagi e 8 morti. Eravamo in salvo.

La cura italiana aveva funzionato. E allora, invece di lavorare come matti per rafforzare le difese, ci siamo messi a cantare e ballare, abbiamo rimandato di applicare il tanto che la prima ondata ci aveva insegnato, di colmare le mancanze strutturali che avevano contribuito allo sconquasso.

Le gare per la fornitura di tamponi rapidi e per il potenziamento delle terapie intensive sono partite il 29 settembre e il 2 ottobre, quando i buoi erano già fuori dalla stalla, la burocrazia rallentava il rallentabile, e si lasciava che si spegnesse la già flebile sintonia tra governo centrale e Regioni.

Qualcuno ha chiesto scusa? Non risulta. Qualcuno ha avuto la dignità di guardare negli occhi la nazione per dire «abbiamo sbagliato, non difendiamo l' indifendibile, ripartiamo consapevoli dei nostri errori»? Niente. Soltanto un penoso scaricabarile tra ogni singola parte del variegato mosaico di chi è chiamato a gestire la cosa pubblica. Il risultato è la catastrofe, non solo sanitaria, verso cui ci stiamo speditamente avviando. Le 10 ore di coda per un tampone a Roma sono l' emblema, uno a scelta, di un Paese allo sbando.

Nelle ultime due settimane, il numero dei positivi si è moltiplicato per sei. Adesso i morti superano i 200 al giorno e i contagiati sono oltre 30 mila in più da una sera all' altra, con la curva in costante impennata, la curva peggiore d' Europa.

La pandemia è con tutta evidenza fuori controllo e anche il Paese, per la prima volta, rischia di diventarlo. Da Trieste a Palermo, si moltiplicano e incattiviscono le manifestazioni di tutte le categorie toccate dall' ultimo Dpcm del presidente del Consiglio, il suo dodicesimo dal 23 febbraio, ultimo soltanto in ordine di tempo, perché presto ce ne sarà un tredicesimo, e poi un quattordicesimo, alla disperata rincorsa di un virus che sembra però aver innestato un' altra marcia.

Sono proteste alle quali non eravamo più abituati e tantomeno pronti, figlie di un disorientamento generale e di preoccupazioni anche comprensibili (se adesso ci chiudete, come faremo a sopravvivere, con tutto quello che abbiamo già perso?), alle quali si mischiano la rabbia delle periferie e il calcolo destabilizzante di gruppi di destra fuorilegge e di agitatori manovrati anche da lontano, per esempio da capitali che hanno tutto l' interesse che l' Italia e l' Europa implodano. Italiani angosciati, estremisti di professione, mercenari al servizio di Paesi iena che fiutano l' occasione di addentare una preda indebolita e afflitta: uno scenario delicatissimo, con i primi feriti tra le Forze dell' Ordine chiamate a contenerlo e con il terrore che ci scappi, prima o poi, un incidente simbolo. Povera patria, se dovesse succedere.

Ripartiti a difenderci in grave ritardo, adottando misure che per adesso non frenano il Coronavirus e inevitabilmente danneggiano parti del nostro tessuto economico, viviamo ore in precario equilibrio su un filo sottilissimo. Eppure la consapevolezza della gravità estrema del momento non sembra davvero compresa.

Prevale un tatticismo in ordine sparso, dove un governatore chiude le scuole della sua regione, un altro abolisce l' orario del coprifuoco salvo poi rimetterlo, un leader della maggioranza attacca le decisioni dell' esecutivo di cui fa parte, e dove il leader dell' opposizione va in Parlamento senza mascherina e annuncia che non ci sarà una seconda ondata, mentre la seconda ondata ci sta già travolgendo.

In attesa di un vaccino che non arriverà a dicembre (imperdonabile l' errore di Conte di continuare a promettere l' impossibile: su larga scala non ne disporremo prima dell' autunno 2021), avremmo bisogno come il pane, anzi come l' aria che proprio il virus ci fa mancare, di una strategia chiara e onesta, alla quale contribuiscano tutte le tribù di cui è composta l' Italia, finalmente disposte a disarmarsi per unirsi, almeno il tempo necessario, a scongiurare il peggio che avanza. Chiamatela come preferite: unità nazionale, regia condivisa, concertazione d' emergenza.

La minaccia oscura, incompatibile con il nostro stile di vita, non si dissolverà da sola. E il tempo che ci siamo incoscientemente lasciati per fronteggiarla è molto più corto delle prossime due o tre settimane, che paiono essere diventate la nuova frontiera prima dell' ora x, quale che sia.

Kamala Harris: On the cusp of US election history


Joshua MELVIN,
AFP•October 30, 2020






Kamala Harris: On the cusp of US election history

Kamala Harris is on the verge of what would be a double-dream for US Democrats: becoming the nation's first woman vice president and ending Donald Trump's turbulent rule.

Harris comes into the November 3 election already a repeat trailblazer as California's first Black attorney general and the first woman of South Asian heritage elected to the US Senate.

But winning the vice presidency, a heartbeat away from leading the United States, would be the most significant barrier she has broken yet and a stepping stone to the ultimate prize.

With the 77-year-Biden expected to serve only a single term if elected, Harris would be favored to win the Democratic presidential nomination four years from now.- ADVERTISEMENT -

That could give her a shot at more history-making -- as the first female president of the United States.

"My mother raised me to see what could be, unburdened by what has been," Harris, 56, wrote on Twitter.

Since being tapped as Biden's running mate in August, she has slammed President Donald Trump on his chaotic handling of the Covid-19 pandemic, but also racism, the economy and the president's crackdown on immigration.

Harris was born to immigrants to the United States -- her father from Jamaica, her mother from India -- and their lives and her own have in some ways embodied the American dream.

She was born on October 20, 1964 in Oakland, California, then a hub for civil rights and anti-war activism.

Her diploma from historically Black Howard University in Washington was the start of a steady rise that took her from prosecutor, to two elected terms as San Francisco's district attorney and then California's attorney general in 2010.

However, Harris's self-description as a "progressive prosecutor" has been seized upon by critics who say she fought to uphold wrongful convictions and opposed certain reforms in California, like a bill requiring that the attorney general probe shootings involving police.

"Time after time, when progressives urged her to embrace criminal justice reforms as a district attorney and then the state's attorney general, Ms. Harris opposed them or stayed silent," law professor Lara Bazelon wrote in The New York Times last year.

Yet Harris's work was key to forging a platform and profile from which she launched a successful Senate campaign in 2016, becoming just the second Black female senator ever.

Her stint as attorney general also helped her forge a connection with Biden's son Beau, who held the same position in the state of Delaware, and died of cancer at the age of 46 in 2015.

"I know how much Beau respected Kamala and her work, and that mattered a lot to me, to be honest with you, as I made this decision," Biden said during his first appearance with Harris as running mates.

A veteran campaigner, Harris oozes charisma but can quickly pivot from her megawatt smile to her prosecutorial persona of relentless interrogation and cutting retorts.

Clips went viral of her sharp questioning in 2017 of then-attorney general Jeff Sessions during a Capitol Hill hearing on Russia.

"I'm not able to be rushed this fast! It makes me nervous," an exasperated Sessions replied at one point.

Harris also clashed with Biden during the first Democratic debate, chiding the former senator over his opposition to 1970s busing programs that forced integration of segregated schools.

"There was a little girl in California who was part of the second class to integrate her public school, and she was bused to school every day," she said. "And that little girl was me."

That clash didn't stop him from picking Harris, who has brought that feisty energy to Biden's carefully stage-managed campaign.

During her only debate against Vice President Mike Pence, Harris raised her hand as he tried to interrupt her.

"Mr. Vice President, I'm speaking. I'm speaking," she said with a glare, silencing Pence.

Within hours of the debate, T-shirts bearing her words were being offered for sale online.

bur-jm/dw

Papa Francesco: la Chiesa è stata sempre una casta meretrix, una peccatrice.




Gian Marco Chiocci per www.adnkronos.com

Un filo di voce accompagnato dal sorriso. "Buongiorno, benvenuto…". Il Santo Padre mi accoglie così nelle stanze vaticane dove ha acconsentito a rispondere agli interrogativi che tanto stanno scuotendo la Chiesa, preoccupando le porpore, angustiando i fedeli, dividendo gli addetti ai lavori che lo osannano o lo criticano a seconda della parrocchia d’appartenenza. Incontrare un Papa non è cosa di tutti giorni, regala emozioni rare, intense, fortissime anche se il padrone di casa fa di tutto per mettere l'ospite non solo a proprio agio ma – ed è davvero paradossale - sullo stesso piano.

Parlare con Lui in una stanza spoglia, due sedie, un tavolo e un crocifisso, mentre fuori tracima l'apprensione per la pandemia, accresce quel desiderio di speranza e di fede difronte all'ignoto, fede che per alcuni starebbe venendo meno a causa degli scandali, degli sprechi, delle continue rivoluzioni di Francesco e financo del virus, e di questi temi il Papa parlerà nel colloquio con l’Adnkronos.

L'occasione è utile innanzitutto per mettere un punto e tirare la riga sull'annosa questione morale fra le mura al di là del Tevere che il Papa stesso non fatica a definire un "male antico che si tramanda e si trasforma nei secoli", ma che ogni predecessore, chi più chi meno, ha cercato di debellare coi mezzi e le persone sulle quali in quel momento poteva contare. "Purtroppo la corruzione è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a metter fine a questa degenerazione".

Certo, nella vita millenaria della Chiesa non si ricorda un Papa così, tanto coraggioso quanto incurante di inimicarsi la potente curia romana con il mondo affaristico che le scodinzola intorno: Francesco è deciso a fare piazza pulita di ecclesiastici propensi a mettere il denaro ("i primi padri lo chiamavano lo sterco del diavolo e pure San Francesco" dice) prima della Croce.

Coerente col suo dettame francescano il Vicario di Cristo fa quel che nessuno ha mai avuto la forza di fare per una Chiesa che sia davvero una casa di vetro, trasparente, com'era quella delle origini, votata agli ultimi, al popolo. In una Chiesa per i poveri, più missionaria, però – ed è questo il credo di Francesco - non c'è spazio per chi si arricchisce o fa arricchire il suo cerchio magico indossando indegnamente l'abito talare.

"La Chiesa è e resta forte ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli. All'inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: "Qui dentro c'è tutto – disse -, ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso…tocca a te". Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera". Già, Benedetto XVI. Una narrazione tradizionalista e conservatrice racconta di un papa emerito perennemente in guerra con quello regnante, e viceversa: dissidi, dissapori, spigolosità, diversità di vedute su tutto e tutti, trame sotterranee e pettegolezzi.

C'è del vero? Il Santo Padre si prende qualche secondo e poi sorride: "Benedetto per me è un padre e un fratello, per lettera gli scrivo "filialmente e fraternamente". Lo vado a trovare spesso lassù (con il dito indica la direzione del monastero Mater Ecclesiae proprio alle spalle di San Pietro, nda) e se recentemente lo vedo un po' meno è solo perché non voglio affaticarlo. Il rapporto è davvero buono, molto buono, concordiamo sulle cose da fare. Benedetto è un uomo buono, è la santità fatta persona. Non ci sono problemi fra noi, poi ognuno può dire e pensare ciò che vuole. Pensi che sono riusciti perfino a raccontare che avevamo litigato, io e Benedetto, su quale tomba spettava a me e quale a lui".

Il Pontefice riannoda le fila del discorso partito da lontano, ripensa a quando arrivò al soglio di Pietro e di cosa pensava allora dei mali materiali della Chiesa, nulla rispetto a quel che poi ritroverà affondando le mani nella gestione opaca delle finanze vaticane, l'obolo di San Pietro, l'imprudenza di certi investimenti all'estero, l'attivismo poco caritatevole di pastori d'anime trasformatisi in lupi di rendite.

Bergoglio si rifà a Sant'Ambrogio, vescovo, teologo e santo romano, per sintetizzare la sua linea guida: "La Chiesa è stata sempre una casta meretrix, una peccatrice. Diciamo meglio: una parte di essa, perché la stragrande maggioranza va in senso contrario, persegue la giusta via. Però è innegabile che personaggi di vario tipo e spessore, ecclesiastici e tanti finti amici laici della Chiesa, hanno contribuito a dissipare il patrimonio mobile e immobile non del Vaticano ma dei fedeli. A me colpisce il Vangelo quando il Signore chiede di scegliere: o segui Dio o segui il denaro. Lo ha detto Gesù, non è possibile andare dietro a entrambi".

Da Sant'Ambrogio il Papa passa alla nonna dispensatrice di buoni consigli: "Lei, che certo non era una teologa, a noi bambini diceva sempre che il diavolo entra dalle tasche. Aveva ragione". Come aveva ragione quella vecchina incontrata in una sterminata baraccopoli di Buenos Aires il giorno in cui morì Giovanni Paolo II: "Mi trovavo in un autobus – ricorda Francesco - stavo andando in una favela, quando venni raggiunto dalla notizia che stava facendo il giro del mondo.

Durante la messa, chiesi di pregare per il papa defunto. Finita la celebrazione mi si avvicinò una donna poverissima, chiese informazioni su come si eleggeva il papa, le raccontai della fumata bianca, dei cardinali, del conclave. Al che lei mi interruppe e disse: senta Bergoglio, quando diventerà papa per prima cosa si ricordi di comprare un cagnolino. Le risposi che difficilmente lo sarei diventato, e se nel caso perché avrei dovuto prendere il cane. "Perché ogni volta che si troverà a mangiare – fu la sua risposta - ne dia un pezzettino prima a lui, se lui sta bene allora continui pure a mangiare".

Questo pensa la gente del Vaticano? Che la situazione è fuori controllo che può succedere di tutto? "Era ovviamente una esagerazione" taglia corto il Santo Padre. "Ma dava conto dell'idea che il popolo di Dio, i poveri fra i più poveri al mondo, aveva della Casa del Signore attraversata da ferite profonde, lotte intestine e malversazioni".

La lotta pubblica e senza sconti al malaffare vaticano di questi tempi regala l'immagine di un pontefice molto concreto, deciso, risoluto, un eroe solitario osannato dalle folle ma osteggiato da un nemico invisibile. Un Papa che appare solo nei palazzi del piccolo stato, ma che solo non è avendo dalla sua la quasi totalità degli osservanti e dei devoti. Francesco inarca le sopracciglia, allarga lentamente le braccia cercando al contempo lo sguardo del suo ospite. Sono secondi interminabili.

"Sarà quel che il Signore vuole che sia. Se sono solo? Ci ho pensato. E sono arrivato alla conclusione che esistono due livelli di solitudine: uno può dire, mi sento solo perché chi dovrebbe collaborare non collabora, perché chi si dovrebbe sporcare le mani per il prossimo non lo fa, perché non seguono la mia linea o cose così, e questa è una solitudine diciamo… funzionale. Poi c'è una solitudine sostanziale, che non provo, perché ho trovato tantissima gente che rischia per me, mette la sua vita in gioco, che si batte con convinzione perché sa che siamo nel giusto e che la strada intrapresa, pur fra mille ostacoli e naturali resistenze, è quella giusta. Ci sono stati esempi di malaffare, di tradimenti, che feriscono chi crede nella Chiesa. Queste persone non sono certo suore di clausura".

Sua Santità ammette di non sapere se vincerà o meno la battaglia. Ma con amorevole risolutezza si dice certo di una cosa: "So che devo farla, sono stato chiamato a farla, poi sarà il Signore a dire se ho fatto bene o se ho fatto male. Sinceramente non sono molto ottimista (sorride, ndr) però confido in Dio e negli uomini fedeli a Dio. Ricordo di quand'ero a Cordoba, pregavo, confessavo, scrivevo, un giorno vado in biblioteca a cercare un libro e mi imbatto in sei-sette volumi sulla storia dei Papi, e anche tra i miei antichissimi predecessori ho trovato qualche esempio non proprio edificante".

Oggi la miglior difesa dei nemici giurati del Papa è l'attacco a Francesco attraverso i continui richiami a quel che presto, sperano, verrà dopo di lui. Una sorta di liberazione e di resurrezione per un pontificato dato già per archiviato perché troppo divisivo, politicamente scorretto, ideologicamente schierato da una parte sola.

Sul toto-papa che impazza nei passaparola, Bergoglio la prende con ironia: "Anche io ci penso a quel che sarà dopo di me, ne parlo io per primo. Recentemente, nello stesso giorno, mi sono sottoposto a degli esami medici di routine, i medici mi hanno detto che uno di questi si poteva fare ogni cinque anni oppure ogni anno, loro propendevano per il quinquennio io ho detto facciamolo anno per anno, non si sa mai (il sorriso stavolta si fa più generoso, nda)".

Papa Bergoglio ascolta con attenzione l'elenco delle critiche che gli sono state rivolte nel tempo, non fa trasparire insofferenza sulla sortita del cardinal Ruini ("criticare il Papa non significa essergli contro") sembra segnarsele a mente una per una le contestazioni, dalle unioni civili all'accordo con la Cina. Ci pensa su una decina di secondi e infine consegna un pensiero a tutto tondo: "Non direi il vero, e farei torto alla sua intelligenza se le dicessi che le critiche ti lasciano bene. A nessuno piacciono, specie quando sono schiaffi in faccia, quando fanno male se dette in malafede e con malignità.
Con altrettanta convinzione però dico che le critiche possono essere costruttive, e allora io me le prendo tutte perché la critica porta a esaminarmi, a fare un esame di coscienza, a chiedermi se ho sbagliato, dove e perché ho sbagliato, se ho fatto bene, se ho fatto male, se potevo fare meglio. Il Papa le critiche le ascolta tutte dopodiché esercita il discernimento, capire cosa è a fin di bene e cosa no. Discernimento che è la linea guida del mio percorso, su tutto, su tutti. E qui – continua Papa Francesco – sarebbe importante una comunicazione onesta per raccontare la verità su quel che sta succedendo all'interno della Chiesa. E' vero che poi se nella critica devo trovare ispirazione per fare meglio non posso certo lasciarmi trascinare da ogni cosa che di poco positivo scrivono sul Papa".

Il tempo di elaborare la domanda successiva e il Santo Padre anticipa ancor di più la risposta: "Non credo possa esserci una sola persona, dentro e fuori di qui, contraria ad estirpare la malapianta della corruzione. Non ci sono strategie particolari, lo schema è banale, semplice, andare avanti e non fermarsi, bisogna fare passi piccoli ma concreti. Per arrivare ai risultati di oggi siamo partiti da una riunione di cinque anni fa su come aggiornare il sistema giudiziario, poi con le prime indagini ho dovuto rimuovere posizioni e resistenze, si è andati a scavare nelle finanze, abbiamo nuovi vertici allo Ior, insomma ho dovuto cambiare tante cose e tante molto presto cambieranno".

Fatta salva la presunzione di innocenza per chiunque sia finito o finirà nel mirino della magistratura vaticana, è sotto gli occhi di tutti quanto di buono stia facendo Francesco camminando sul filo del dirupo dell'immoralità diffusa in settori precisi della Chiesa. Ci chiediamo, e con un po' di timidezza chiediamo al Santo Padre: ma il Papa ha paura? La replica stavolta è più ponderata. Il silenzio sembra non finire mai, sembra in attesa di trovare le parole giuste. Sembra. "E perché dovrei averne?" si domanda e ci domanda il Santo Padre. "Non temo conseguenze contro di me, non temo nulla, agisco in nome e per conto di nostro Signore. Sono un incosciente? Difetto di un po' di prudenza? Non saprei cosa dire, mi guida l'istinto e lo Spirito Santo, mi guida l'amore del mio meraviglioso popolo che segue Gesù Cristo. E poi prego, prego tanto, tutti noi in questo momento difficile dobbiamo pregare tanto per quanto sta accadendo nel mondo".

Il coronavirus è tornato fra noi, si trascina dietro inquietudine, morti e paura. Il Sommo Pontefice si prende la parola e non la lascia più, e parla quasi tenendoti per mano, come non ti aspetteresti mai dal pastore in terra della chiesa universale. "Sono giorni di grande incertezza, prego tanto, sono tanto, tanto, tanto vicino a chi soffre, sono con la preghiera a chi aiuta le persone che soffrono per motivi di salute e non solo". Il riferimento va ai famosi eroi, i "santi della porta accanto" come ebbe a definirli due settimane dopo l'appuntamento globale del 27 marzo, quand'era solo in piazza San Pietro, sotto la pioggia, in preghiera per la fine della pandemia ai piedi del crocifisso inondato dalle lacrime piovute dal cielo. Padre Santo, gli chiediamo, si prospettano nuovi lockdown, si riparla di restrizioni per il culto, c'è un rischio di ripercussioni per la Chiesa?

"Non voglio entrare nelle decisioni politiche del governo italiano ma le racconto una storia che mi ha dato un dispiacere: ho saputo di un vescovo che ha affermato che con questa pandemia la gente si è "disabituata" – ha detto proprio così - ad andare in chiesa, che non tornerà più a inginocchiarsi davanti a un crocifisso o a ricevere il corpo di Cristo. Io dico che se questa "gente", come la chiama il vescovo, veniva in chiesa per abitudine allora è meglio che resti pure a casa. E' lo Spirito Santo che chiama la gente. Forse dopo questa dura prova, con queste nuove difficoltà, con la sofferenza che entra nelle case, i fedeli saranno più veri, più autentici, Mi creda, sarà così".

L'incontro termina qui, il commiato è semplice e commovente più del benvenuto. Diceva San Francesco che un solo raggio di sole è sufficiente a cancellare milioni di ombre. Nella stanza improvvisamente vuota la luce di speranza dell'unico papa che ha preso il nome dal fraticello d'Assisi resta incredibilmente accesa. E per un istante con l'oscurità del virus si spegne anche il buio del peccato dei consacrati del Signore. 

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Grazie Oscar di questa intensa testimonianza, che racconta tutto di questo uomo meraviglioso che poi è diventato papa. Con un finale che fa chiarezza tra ‘mostrarsi’ dei fedeli ed ‘essere’ dei fedeli.
Un abbraccio a tutti voi (e speriamo tra pochi giorni di toglierci dalle ……. Trump!)
Sandro



Trump non accettera' una sconfitta. Milizie armate pronte a entrare in campo. Chi difende la democrazia ?

 Image: TOPSHOT-US-VOTE-TRUMP

PHOENIX — President Donald Trump has refused to say he’d accept the results of the election in the event that he loses, and in the closing days of the race, some of his supporters have taken his faulty or unsubstantiated claims about voter fraud to heart.

At a packed outdoor rally in this battleground state Wednesday, Trump said the polls that show him trailing the Democratic nominee Joe Biden are “fake,” drawing boos from the crowd and raising their expectations of victory. He also said he feared voter fraud, which studies have repeatedly found to be extremely rare, and in most cases nonexistent.

“The biggest problem we have is if they cheat with the ballots. That's my biggest problem,” he told supporters at the Phoenix Goodyear Airport this week. “That's my only thing — that's the only thing I worry about.”

Followers are echoing his claims.

 

(NBC News)

As Election Day nears, Trump ponders the prospect of defeat

Trailing in the polls and with little time left to change the trajectory or closing themes of the presidential race, President Donald Trump has spent the final days of the campaign complaining that the coronavirus crisis is getting too much coverage - and openly musing about losing.

Trump has publicly lamented about what a loss would mean, spoken longingly of riding off into the sunset and made unsubstantiated claims that voter fraud could cost him the election. He has sarcastically threatened to fire state officials if he doesn't win and excoriated his rival Joe Biden as someone it would be particularly embarrassing to lose to.

"If I lose, I will have lost to the worst candidate, the worst candidate in the history of presidential politics," Trump said at an Oct. 17 campaign rally in Janesville, Wis. "If I lose, what do I do? I'd rather run against somebody who's extraordinarily talented, at least, this way I can go and lead my life."

The president, who said at the same rally that "we're not going to lose, we're going to win," has certainly not abandoned his showman's approach to the campaign trail. But his unscripted remarks bemoaning a potential loss - and preemptively explaining why he might suffer one - offer a window into his mind-set as he barnstorms the country in an attempt to keep himself from becoming the one thing he so derisively despises: a loser.

Trump has told rallygoers he had the presidential race won until the pandemic hit, and he has accused media outlets of focusing on the ongoing health crisis to hurt him politically.

"Covid, Covid, Covid is the unified chant of the Fake News Lamestream Media," he tweeted Wednesday. "They will talk about nothing else until November 4th., when the Election will be (hopefully!) over. Then the talk will be how low the death rate is, plenty of hospital rooms, & many tests of young people."

Trump has previously complained that Biden could win the race and then receive the benefit of glowing media coverage for overseeing the implementation of Trump administration policies on the coronavirus and other issues.

The president's comments reflect his long-running failure to shift the nation's focus from the rapidly worsening pandemic in recent months. As he has tried to build his campaign on other themes - including cracking down on racial-justice protests, making unsubstantiated corruption allegations against Biden and attacking the former vice president over energy policy - the coronavirus has continued to dominate American lives and news headlines.

His critics say Trump's own inconsistent handling of the pandemic is one of the main reasons it has remained a key issue in the campaign for several months. With Election Day approaching, the virus is surging across the country, with record cases in recent days and growing hospitalizations and deaths. More than 227,000 Americans have died.

Trump's own hospitalization earlier this month after he was infected not only took him off the campaign trail for several days but also led more Americans to believe he was not taking the deadly virus seriously enough, polls show.

Despite spending four days at Walter Reed National Military Medical Center in Bethesda, Md., Trump quickly returned to the campaign trail and continued holding the kind of mass gatherings that his own health officials have described as "superspreader" events. He has also attacked scientists and journalists for focusing on the deadly virus.

Trump has falsely called media reporting on the pandemic an effort "to change our great early election numbers" and said it "should be an election-law violation."

The rallies have themselves become a symbol of his "reckless" approach to governing, said Guy Cecil, who leads Priorities USA, a liberal group that has blanketed the airwaves with advertisements against Trump on the pandemic.

"He's making people less favorable and less open to voting for him," Cecil said Wednesday. "He is actually hurting himself by traveling around the country holding these rallies."

Trump campaign spokesman Tim Murtaugh attacked public polls showing Trump behind Biden and predicted victory.

"The mainstream media has spent the last four years trying to destroy and defeat President Trump, so no one should put any stock in polls paid for by these same news organizations," Murtaugh said in a statement Wednesday. "We know where he stands in the states that will decide this election and we are confident in his reelection."

Biden, who has eschewed large rallies for smaller events, has sought to contrast his approach to the pandemic with Trump's.

During a speech Wednesday in Wilmington, Del., Biden referenced a Trump rally in Omaha at which thousands of supporters were left stranded waiting for buses in near-freezing weather. He called it "an image that captures President Trump's whole approach to this crisis."

"He gets his photo op, and then he gets out," Biden said. "He leaves everyone else to suffer the consequences of his failure to make a responsible plan. It seems like he just doesn't care much about it. And the longer he's in charge, the more reckless he gets."

Trump has talked about the virus as something that has upended his own political fortunes, while downplaying its impact on the country. At packed rallies in which few people wear masks, he has repeatedly claimed the United States was "rounding the turn" on the pandemic - despite evidence to the contrary.

At his rallies, the president speaks more about the political ramifications of the pandemic than about its devastating impact on millions of Americans.

"You know, until the plague came in from China, I didn't even have a race," he said Tuesday at a rally in West Salem, Wis., describing the election as a choice between a "Trump boom and a Biden lockdown."

But parts of Wisconsin are already facing the prospect of shutting down as the virus circulates at record levels. On the day of Trump's visit, Wisconsin recorded 71 covid-19 deaths, the most of any day since the beginning of the pandemic. The following day, the University of Wisconsin announced it was canceling football-related activities for at least seven days because of an outbreak among students.

Trump's approach may end up hurting him politically in a key state, said David Wasserman, the House editor for the Cook Political Report.

"The president's decision to downplay the severity of COVID at multiple late October rallies in Wisconsin might be the biggest display of tone-deafness I've ever seen, and I cover hundreds of campaigns a cycle," Wasserman wrote Tuesday on Twitter.

Even as he has complained about unfair treatment, Trump has told supporters that he is in strong position to win reelection. The boasts have doubled as a reassurance to his political base and a basis for explaining away a potential loss.

As he has repeatedly brought up losing in recent days, he has said that only external forces could cause such an outcome. With record numbers of Americans voting early and by mail, he has seized on absentee ballots as one explanation for a potential loss.

"Who's sending them? Who's receiving them? Who's bringing them back? Who's signing them? It's ridiculous," Trump said at a rally Monday in Allentown, Pa. "It's the only way we can lose, in my opinion, is massive fraud. And that's what's happening because all over the country you're seeing it. Thousands and thousands of ballots."

There is no evidence of widespread voter fraud, and several Republicans have openly said Trump could lose fairly - with some almost predicting that he will.

During an Oct. 15 committee hearing, Sen. Lindsey Graham, R-S.C., said Democrats "have a good chance of winning the White House." In leaked comments from a phone call with constituents, Sen. Ben Sasse, R-Neb., warned of a "Republican bloodbath" in November and specifically attacked Trump on a number of issues. Speaking to CNBC on Oct. 9, Sen. Ted Cruz, R-Texas, said the GOP could be in for "a bloodbath of Watergate proportions" in which they lose the White House and the Senate.

Public polling backs up the concerns of those Republican senators. Trump trails Biden nationally by a wide margin, and his deficit in several swing states remains significant.

Still, Trump has told reporters that a "red wave" is soon coming that would sweep him into another unexpected victory.

But that hasn't stopped him from considering the alternative - sometimes quite publicly.

"And maybe I'll lose because they'll say I'm not a nice person," Trump told conservative radio host Rush Limbaugh on Oct. 9. "I think I am a nice person. I help people. I like to help people."

During the rally in Allentown, Trump looked over at a truck and mused about hopping in and leaving his presidential life behind.

"I'd love to do it. Just drive the hell out of here," he said. "Just get the hell out of this. I had such a good life. My life was great."

Trump has said his references to losing and leaving the White House are made sarcastically. But they also reveal his insecurities about potentially going down in history as a one-term president, said Amanda Carpenter, a former aide to Cruz and a Trump critic who wrote a book titled "Gaslighting America: Why We Love It When Trump Lies To Us."

"He always tells you what he's thinking, right?" she said. "To him, it is embarrassing if you lose this to Biden in particular because Biden stands for things like empathy, experience and patience - which in Trump's world are considered defects."

Trump, who has openly mocked Biden's mental acuity and political skills, has said losing to him would be especially devastating.

"Could you imagine if I lose? My whole life, what am I going to do?" the president told supporters earlier this month in Macon, Ga. "I'm going to say I lost to the worst candidate in the history of politics. I'm not going to feel so good. Maybe I'll have to leave the country. I don't know."
 

Written By
Toluse Olorunnipa

Le storie di Oscar # 10: Il cimitero di Novodevičij è il più importante cimitero di Mosca


 
Il cimitero di Novodevičij è il più importante cimitero di Mosca, situato presso il monastero di Novodevičij, convento del XVI secolo, patrimonio dell'umanità dal 2004.

Anton Čechov fu uno dei primi personaggi interrati nella nuova necropoli, ed anche Nikolaj Gogol' venne in seguito spostato qui. Durante l'epoca sovietica divenne il cimitero più esclusivo della Russia, grazie alla presenza di Nikita Chruščëv, Sergej Prokof'ev (Wikipedia)




Un pomeriggio ho lasciato il padiglione della fiera a Sokolniki e ho deciso di fare una visita a questo famoso cimitero. Dopo una rapida occhiata alle tombe dei personaggi più importanti sono entrato dentro la chiesa il cui pavimento era coperto di paglia secondo un rituale autunnale ortodosso mentre all'altare tre pope intonavano splendide musiche accompagnati da quattro pinzochere nero vestite.

Ad un certo punto e' sbucata da una porta laterale una donna anch'essa completamente coperta da un ampio scialle nero. Stringeva al seno un fagotto.

Si è avvicinata ai pope che hanno interrotto i loro canti bisbigliando. Uno di questi ha mormorato qualcosa ed ha impartito una benedizione con l'aspersorio.

Quella donna era una delle tante madri che, rischiando grossi problemi con la polizia, si recavano in quella chiesa per far battezzare i propri neonati. (alcuni decenni dopo Vladimir Putin avrebbe detto di essere anche lui uno dei battezzati segreti).

Mi sono accorto che alla mia destra in una zona quasi completamente oscurata c'era un individuo, un giovane, insaccato in una giacca a vento nera.

"Vuoi scommettere che questo tale è un agente della polizia segreta?!", mi sono detto, mentre il giovane si stava muovendo nella mia direzione.



"Da dove vieni?" mi ha chiesto a bassa voce in francese.

Gli ho detto che ero italiano e a quel punto il suo volto si è rischiarato; ha messo una mano in tasca e ne ha estratto un piccolo libro di fotografie. Erano riproduzioni dei lavori di Raffaello di cui Pietro, questo il suo nome, era un appassionato estimatore.

Siamo diventati amici Pietro ed io ed ogni volta che tornavo a Mosca non mancavo di telefonargli e di passare con lui qualche ora in un ristorante.

Pietro era un cardiologo e guadagnava quanto, se non meno, un capo officina in una azienda statale.



Nella sua stanza in coabitazione in un appartamento di un vecchio edificio, aveva un pianoforte verticale sul quale suonava con grande abilità.


Pietro era sposato con una famosa violinista, costantemente in viaggio per esibirsi nei teatri del mondo occidentale, accompagnata ovviamente dal commissario politico e due guardie del corpo per evitare fughe.

Il mio amico cardiologo si esercitava nelle poche ore libere lasciate dalla sua professione suonando il piano fino a che gli altri occupanti dell'appartamento non ingiungevano di farla finita almeno per quel giorno.

Pietro sperava di poter accompagnare come pianista la moglie in qualche sua esibizione all'estero.

Gli ho chiesto di farmi da guida nella visita della Galleria Tret'jakov.

Di fronte alle icone dei secoli prima dell'800 mi ha detto: "Vedi lo sguardo del Cristo; e' rivolto al cielo. Guarda invece queste icone piene di metallo dell'ottocento. Qui il Cristo guarda in basso perché è come se fosse scoppiata una bomba nucleare…"

 


 

 



Ci siamo fermati davanti a un busto di Stalin e Peter mi ha detto: "Stalin era molto sospettoso perché temeva un attentato alla sua vita. Una sera, mentre tornava a casa, intravide un movimento dietro le tende della sala da pranzo. estrasse la pistola e sparò alcuni colpi uccidendo la giovane sposa che si era nascosta per fargli una sorpresa ... Non si riprese mai da questa storia ... "




Nella sezione del "realismo socialista" sostiamo di fronte ad un grande quadro raffigurante Lenin.



"Questa è una delle ultime immagini di Lenin. Vedi come è emaciato rispetto alle altre pitture di questa sezione della galleria. Ormai la sifilide, arrivata al terzo grado, gli stava mangiando il cervello…"

Nei miei ultimi viaggi a Mosca ho cercato di riprendere contatto con Pietro senza successo. Nessuno dei suoi coinquilini voleva o poteva dirmi dove si era trasferito o dove l'avevano trasferito.

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Per chi preferisce ascoltare e vedere

https://youtu.be/EMnYzT62nX8

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The Oscar's Stories # 8: Moscow ... yesterday for me





1965, the first year of the era of Leonid Brezhnev who would command the Soviet Union for 18 years.

As head of the image and media relations of an important Florentine metallurgical industry, I had the task of coordinating the setting up of a pavilion at an international fair that was to be held in the Sokolniki park.

A very interesting experience for someone like me who was also a city councilor in Florence for the Liberal Party and declared anti-communist.

But having the opportunity to visit the so-called 'paradise' of the Soviet Union live, unlike the Italian comrades who were camouflaged by the section leaders, was a very interesting prospect. Although dangerous.

There was no direct flight to Moscow and you had to stop in Vienna and from there take an Aeroflot Tupolev 104, the one with the windowed nose of military derivation.







On that first trip the hotel was the Ukraine, an integral copy of the Waldorf Astoria in New York in which foreign guests were concentrated to prevent contact with the population. They were building the huge Rossyia just behind the Kremlin.







I go into my room and the phone rings. I pick up the receiver and a woman's voice in almost perfect Italian says to me: "Okay, Oscar, I'm Svetlana. When will we see you?"

This procedure would repeat itself as often as I went to the Soviet Union for work over the next few years.

A way like any other to hook up the foreign visitor in agreement with the hotel reception, to steal information for the KGB who controlled the telephone line of the hotel room.

The female component in the experience of foreign visitors was decisive: the most attractive girls did their utmost (it must be said) to get married by the unwary professionals of other nations who were captured by the Slavic charm.

It had also happened to a well-known political exponent, who had returned from a long visit to Moscow married to an effervescent blonde who, once catapulted to the Italian capital, after a short time had left him to run into the arms of other substantial (in terms of personal wealth) Italian boys.

Your editor, far from marriage plans since he had not yet found a soul mate among the many offers in liquidation, had a nice opportunity to exchange views with a Natasha he met in a Moscow cafe.

One afternoon we were walking in an avenue of birch trees made ultra romantic by the autumn colors; in those days I used to smoke a few cigarillos, just to give me a tone and I didn't like it.

I had pulled out of my pocket a box of Swedish matches with which I had lit the tool and had thrown the unlit match, continuing to talk to Natasha, but she had disappeared from my side.

I turned around and saw her pick up that match from the ground and put it in a small box she had pulled out of her jacket.

I can assure you that I felt like a worm even if the girl had acted automatically without wanting to give a lesson in civics to the unwary and boorish foreign friend.

The secret police required that each stand in the exhibition hall had an interpreter.
A nice girl from Reggio Emilia had happened to us, obviously a member of the Italian Communist Party who had facilitated her presence in Moscow to study at the Lomonosov University.

These interpreters at the end of the day had to draw up a report to the political commissioner telling what they had seen and heard in the eight hours of presence in the stand with the foreign guests.

It was necessary to be very careful and avoid easy jokes about the Moscow disorganization perhaps on the wave of a few glasses of vodka. It was mainly the French who had been expelled from the Soviet Union in a few hours for having said who knows what in their pavilion at the fair.

Our nice spy interpreter from Reggio Emilia told us that the Italian comrades were not much loved by the Soviet population, as they arrived with suitcases full of super-used clothing which they then resold at a high price using the illegal exchange with the ruble.

In the Moscow of those years, everything worked out anyway: if you arrived at a hotel restaurant and maybe it was after nine, you would find doors closed and inflexible managers. But the doors, the managers, the kitchen and everything else would start up again as soon as you loosened a large tip.

Often if you became friends with some Muscovites you were asked to go to one of the various Berioska-birch trees (where foreigners could buy for dollars) to get something they would never find in state shops. And they gave you the dollars to do it.

For those who had to stay in Moscow for a long period of time, life was not very easy.

Foreign journalists were forced to live in the district controlled by military sentry boxes in Kutuzovsky Prospekt.

Those who went to visit them had to issue passports to the policemen at the gate. Inside the apartments it was known that every conversation would be recorded and so it was best to turn the volume on the turntable to maximum.

There were many dramatic stories they told you: every journalist got open air tickets because in case there was some illness it was better to jump out of the Soviet Union.

The women remembered hallucinatory stories of gynecological wards where only a pair of rubber gloves was used for intimate visits to patients. That pair of gloves was used throughout the dormitory.

The toilet paper they had to buy in Helsinki in Finland.
Great success could be had if one got a pack of the Italian singer Celentano records and women's stockings that cannot be found in Moscow.

Every time you went out to buy something you had to get an 'avos'ka', the net bag to make daily barters by exchanging anything with your neighbor. On each floor of the hotel there was an official who checked that no women were brought into the room. Behind the homage of a pair of socks and a Celentano LP, an elephant could also enter the room.



One evening, in the hotel, I approached the orchestra stage which obviously played only Russian folk tunes and I started a conversation with the head of the band, a nice saxophonist. When I told him I was a former Italian professional singer he asked me to sing something with them. I asked them if they knew any American standards. He smiled smugly and we agreed on 'The Lady is a Tramp' which we performed together as if we'd been dating for who knows how long. Big applause from the many people present. They played fantastic.

Every time I returned to Moscow I did not fail to bring a box of reeds for his instrument to his saxophonist friend as they were nowhere to be found and he was forced to scratch the old ones in order to continue playing.





In Red Square every day you ran into an endless queue of Soviet citizens who wanted or had to parade in front of Lenin's mummy. To avoid spending a few hours in the Moscow polar cold it was enough to arrive at the police control at the entrance declaring "italijanski delegazia" and they miraculously let you pass.

To enter the Kremlin museum you had to stop in the vestibule to wear canvas overshoes so as not to damage the wooden floors.

In that environment there were some signs with the words: "no smoking". Those signs were written only in Italian.

_______________________________________________________ Oscar:


I'm always fascinated by your lovely stories and realize that our lives have paralleled one another in many ways. I went to Moscow in 1974 when I was an aide to U.S. Senator J. Glenn Beall, Jr. of Maryland. He was on the commerce committee and the U.S. was doing a grain deal with the Soviets at the time. We stayed in the Rossia which was apparently under construction when you were there nearly a decade before. We were watched, followed, and guided every step of the way. At one point I met the director of the Kirov Ballet in a bar, we managed to converse in each other's limited German, and he confessed that his dream was to live in Rome where he believed that the Italian Communists had the right approach. But I had also been a musician before being drafted during Vietnam and did make a point of searching out musical groups to a very limited extent in Moscow. Didn't realize you were also a singer and now I'm back to music playing lead trumpet for two local big band jazz groups where your "Lady is a Tramp" would fit in perfectly. One of these days we'll have to get together if you're ever back in DC and we'll swap stories. Enjoy your blog.

Paul Paolicelli
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Oscar,
What a great read. Thank you.
All the best,
Grant R. Berning
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WOW! You were in Moscow in 1965...
I was there only a few days in August 1991, to take the Trans-Siberian train to Irkutsk (Lake Baikal), and from there the trans-Manchurian to Beijing, for a long journey through the Gobi desert, up to Kazakhstan before returning to Moscow.
Almost 30 years after your trip, it was still very difficult to travel to and across Russia. Individual tourism wasn’t usually allowed, only groups could apply for a visa to cross the country and enter China. We were a couple and after a lot of paperwork (listing in our visa application ALL the places we would stop for a quick visit and get back on board during the long trip), eventually succeeded. Upon landing at the airport we were escorted by the police to a central hotel (of their choice) where the minute we were in our room, the telephone rang and, sure enough, it was a lady who wanted to talk with Andrea, my partner! Just like you described.
The few days we spent in Moscow were quite difficult: in that period the USSR was breaking up and they were starting to pull down lots of statues, first and foremost those of Lenin, with tanks and armored vehicles on the streets.
The day we had to take the train we were escorted from the hotel to the station, and literally put on the trans-Siberian train. The police didn’t leave until the train had left the station (we could see them from the window). During the whole time of interaction, they didn't say a single word. I wonder whether anything has changed since my trip....

Thanks for sharing with all of us your adventures!
Love from Los Angeles,

Emanuela Appetiti 

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caro Oscar 

grazie dei bei ricordi moscoviti che mi mettono malinconia...noi con Bruno abitavamo al famoso Kutusovsky Prospekt con le garitte militari ,felici di aver trovato un miniappatrtamento assegnatoci dal MID dopo lunghi mesi di parcheggio all'hotel Ukraina dove  non c'era la cucina,,accanto a noi abitava nelle stesse condizioni,il Nunzio Apostolico,im perpetua attesa di ottenere un alloggio del suo livello..durante la notte le famose fanciulle di cui parlavi lo importunavano bussando alla porta/anche alla nostra../erano gli anni '90 e vedemmo scendere dal Cremlino la bandiera dell'URSS  sostituita con quella della Russia,,poi una mattina all'alba sotto le nostre finestre sul Kutuzovskij c'erano i carri armati..e arrivo' Eltsin ,tempi difficili ma che ora quasi rimpiango!!speriamo di ritrovarci presto da qualche parte..intanto approfitto per augurarvi un buon Thanksgiving con i ragazzi,,,qui siamo tutti separati e impauriti,un abbraccio a te e Franca 

Renata

«Ho visto tanto dolore


massimo giannini a otto e mezzo 2 massimo giannini a otto e mezzo 2

Simone Pierini per www.leggo.it

, tanta sofferenza e ho visto tante persone morire». È il racconto choc di Massimo Giannini, direttore della Stampa, reduce dalla terapia intensiva dopo esser stato colpito dal Covid. «Ho vissuto settimane dure, sono stato sotto ossigeno».

Giannini, ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La7 è ancora positivo, in isolamento a casa dopo esser stato dimesso dal Policlinico Gemelli di Roma dove è rimasto per tre settimane.

«Adesso sto meglio, posso dire di essere stato fortunato, il peggio è alle spalle - dice il direttore della Stampa - È stata dura, perché effettivamente tre settimane - di cui sei giorni in terapia intensiva, quattro in sub intensiva e tre nel reparto "pulito sporco" - sono state un'avventura molto pesante. Ho visto tanto dolore, tanta sofferenza e tante persone morire e ho deciso di non nascondere questa esperienza perché la testimonianza di chi sta male conti più di tutti i dibattiti che stiamo ascoltando da tante tante settimane».

«Ho cercato di conoscere cosa succede in questi tre gironi danteschi - racconta ancora Giannini - a me è stato per fortuna risparmiato dalla sorte il quarto, il più tremendo, quello della rianimazione. Il reparto "pulito sporco" è quello dopo sono ricoverati i pazienti meno gravi, sono coloro che stanno chiusi nella loro stanza contagiati, positivi, non possono né uscire né aprire la porta.

Quella porta si può aprire solo a orari prestabiliti durante la giornata quando arrivano i medici a fare i controlli, gli infermieri per distirbuire le terapie e gli operatori sanitari per pulire la stanza e rifare i letti, dopodiché entrano tutti bardati, si tolgono tutto, gettano tutto in appositivi contenitori, richiudono la porta e tu non li vedi più fino alla fase successiva».

TANTI GIOVANI RICOVERATI

«La cosa che più mi ha colpito più di tutto è vedere quanti giovani stanno male - ha aggiunto il giornalista - quante persone ricoverate sono in condizioni gravi, e anche la procedura che non conoscevo, la pronazione, un'esperienza che tutti devono conoscere quando parlano del Covid come una semplice influenza, io per mia fortuna non l'ho provata, sono stato solo con l'ossigeno».

L'INCUBO DELLA PRONAZIONE

«I pronati sono quei ricoverati gravi rispetto ai quali l'ossigeno non è sufficiente - spiega Giannini - devono essere intubati, vengono prima sedati, poi intubati nei bronchi e per sedici ore vengono ricoverati sul lettino sdraiati a pancia in sotto. Sedici ore consecutive, in una posizione guidata da un rianimatore esperto.

Dopodiché per le otto ore successive rigirati e messi supini e stanno per otto ore così, poi ricomincia e si può andare avanti giorni così perché i polmoni devono distendersi. Se questo succede a un certo momento verrai estubato, ti sveglierai e potrai dire "sono salvo". In qualche altro caso purtroppo questo non succede e quando vieni estubato te ne sei andato e nessuno ti ha dato l'ultimo saluto».(Dagospia)

Nonna Vivi è la nuova centenaria livornese

27 Ottobre 2020

Usa perfettamente internet e va e viene dagli Stati Uniti

(Livorno Press)

Dina Meriggi, detta ViviLivorno, 27 ottobre 2020

È Dina Meriggi, detta Vivi, la nuova centenaria livornese.

Vivi è nata il 28 ottobre del 1920 a Livorno, da madre ardenzina e padre di Montenero.

Vedova di Giuseppe Savigni, grande sportivo del canottaggio, ha due figlie, quattro nipoti e quattro pronipoti.

Abita a Montenero ma ha passato molti anni a Castagneto Carducci dove aveva un negozio di antiquariato.

Ultimamente il consiglio comunale di Castagneto le ha conferito una benemerenza per la sua attività di valorizzazione del paese.

È aggiornatissima e lucidissima, naviga costantemente su internet, chatta e usa skype, waz e tutto ciò che la tecnologia offre.

Gran parte della sua famiglia vive a Washington DC e quindi Vivi è andata per anni avanti e indietro dagli Usa (almeno una quarantina di volte) non tralasciando durante i suoi soggiorni di visitare altri stati.

L’ultimo viaggio in America, l’anno scorso, ha voluto farlo in nave, imbarcandosi a Southampton sulla Queen Mary.

Nonna Vivi parla, pensa ed interagisce come se avesse 50 anni, è spiritosa ma tremendamente realistica: non le manda a dire… le dice!

I suoi racconti incantano i pronipoti e le sue opinioni sono molto richieste e prese in considerazione dai nipoti, sia quelli livornesi che quelli americani che vengono a trovarla tutte le estati.

“Tutti noi – dicono i suoi parenti – speriamo di avere ereditato un po’ del suo DNA!”.

Il sindaco Luca Salvetti le invia gli auguri più sinceri a nome di tutta la città.

Nella foto Vivi al porto di Southampton l’anno scorso in attesa di imbarcarsi per N.Y.

 

 

 

Stephen Collinson and Caitlin Hu

CNN

'What we're seeing is a real increase'

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The truth is, there isn’t one US election. There are more than 50.


Each state and territory effectively has its own individual vote, a reality that will trigger bitter vote counts, electoral irregularities and court battles but will (hopefully) spit out a President at the end. The fragmented electoral process explains how Hillary Clinton could beat Donald Trump by nearly 3 million votes nationwide in 2016, yet still lose the presidency in the complex Electoral College system. It’s federalism in action.

 

In the US, there is no national standard on how people vote or on what device they register their choices. There is no common rule on when they can cast a ballot. In some states, voting is a breeze. In others, you stand in the rain or cold for hours to exercise the franchise.


Some states, especially those with conservative legislatures, go out of their way to make voting harder -- especially for minorities who tend to vote Democrat. In Texas -- a state bigger than France, by area -- a Republican governor limited early vote collection boxes to one per county. Some states cut off mail-in voting on Election Day. Others will count ballots that arrive several days later.


In many states, it's not even clear who actually runs the election. Secretaries of state are nominally in charge of vote integrity and counting. But America’s politicized judiciary often gets a say. On Tuesday for example, a Michigan judge struck down an order by the state’s Democratic secretary of state barring the open carrying of guns at polling places.


Occasionally, the Supreme Court — with a conservative majority —  gets dragged in. The disputed 2000 election decided by justices for George W. Bush still leaves a bitter taste. Now, America’s top bench seems to be wading into political disputes with little logic. It ruled Monday that a lower court usurped the power of Wisconsin legislators by ruling to extend mail-in voting deadlines. But Wisconsin’s Republican-run legislature, one of the least active in the country, has failed to fix an electoral system overloaded by demand amid the pandemic. More confusing still, that Supreme Court decision appears inconsistent with a previous ruling to allow an extended mail-in ballot deadline in Pennsylvania. 


American democracy might be a miracle, but it’s an increasingly messy one.

Trump l'abbiamo inventato noi italiani

 

 

Telefonata con un caro amico italiano.

"Qui in Italia non è che siamo preoccupati più di tanto per quello che sarà il risultato delle vostre elezioni presidenziali. E lo dico nonostante lo strombazzamento dei media in tutto il mondo… 

Secondo me, come sostiene Fareed Zakaria, il giornalista della Cnn, nel suo ultimo libro '10 lezioni per il mondo della post pandemia' la globalizzazione tra le varie aree economiche e' talmente pronunciata che, nonostante i nazionalismi -America compresa - sarà molto difficile che si possa tornare ad una sorta di autarchia, caratteristica questa delle dittature emergenti."

È proprio questo il pericolo che corriamo qui in America-ribatto-se sarà riconfermato Donald Trump per altri quattro anni alla Casa Bianca, questo personaggio che parla al ventre di almeno il 47% della popolazione americana che lo trova originale e simpatico…

"Anche su Trump bisognerebbe rimettere le cose al loro giusto posto: noi italiani rivendichiamo di aver inventato il modello Trump venti anni prima di Trump con il modello Berlusconi. 

Già proprio così. L'Italia è sempre stata un laboratorio sociopolitico di altissimo livello. 

Ti sembreranno delle provocazioni, ma prova a pensare a Mussolini. Hitler si ispirò a lui, ai suoi scritti e comportamenti prima di prendere poi la sua strada criminale con la quale il nostro dittatore è stato surclassato. Perché Hitler era tedesco e quindi organizzato, mentre Mussolini viveva nel casino.

Prendi per esempio il caso di Berlinguer che riuscì ad inventarsi il distacco dal centralismo sovietico maturando una scissione dogmatica che doveva anticipare di alcuni decenni la drammatica fine del comunismo e della nazione che sul comunismo aveva costruito la sua realtà oscena fatta di milioni di vite sacrificate."

Avevi iniziato a parlare del modello Berlusconi…

"Già proprio lui.. Il modello è stato copiato da Donald Trump in pieno, consapevolmente o forse no, perché si tratta di personaggi che nuotano nella stessa acqua di incultura. 

Non faccio turpiloquio politico se ricordo che Berlusconi e Trump (ai quali puoi aggiungere altri attori emersi nel panorama planetario) sono due sesso-maniaci (come lo sono in gnere tutti gli uomini di grande potere); la definizione di puttanieri non è offensiva dato che hanno dimostrato che sono soliti pagare le prestazioni di signore e signorine disposte a tutto. Il sesso pagato è il rifugio di chi non vuole o non può conquistare biblicamente fanciulle appariscenti a costo zero e senza perdere troppo tempo. 

Berlusconi e Trump sono due maghi della televisione che sanno usare al meglio per raggiungere  quel largo segmento della popolazione che rinuncia a far lavorare il cervello perché è faticoso riflettere mentre è più semplice farsi titillare gli istinti più elementari da chi ha interesse a carpire il tuo voto. 

Ambedue questi personaggi si sono distinti nel cercare di evadere le tasse, corrompere i giudici, predicare falso nazionalismo esasperato allo scopo solo di fortificare la propria base di apprezzamento su cui costruire il potere personale. 

Trump da parte sua si sta distinguendo in questo confronto con l'anziano personaggio italiano perché è riuscito in un tragico momento come l'attuale condizionato dalla pandemia, a mettere sotto il tappeto le precauzioni e gli avvertimenti che avrebbero potuto salvare decine di migliaia di vite giustificandosi col fatto che non voleva creare panico. Al posto del panico ha creato morti."

Come andrà a finire dopo il 3 novembre e le elezioni presidenziali americane…?

"Se Trump sarà riconfermato, voi americani avrete quattro anni tutti da dimenticare. Ma li avremo anche noi europei di conseguenza. 

Se invece gli americani voteranno per 'l'usato sicuro', ovvero Biden, vi troverete di fronte a pericolose incursioni delle milizie armate che già hanno dato dimostrazione del livello della propria preparazione militare. 

Chi scrive sul pericolo di un'altra guerra civile in America non è molto lontano da una farneticante realtà… 

Caro amico ti auguro tutto il bene possibile, ammesso e non concesso che sia.....possibile!"

Oscar

Le elezioni USA e il futuro delle nostre democrazie


Derive estremiste: il voto in Usa e la funzione di garanzia dei partiti

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 25 ottobre 2020

Fra soli nove giorni si svolgeranno le elezioni americane, la più importante sfida democratica del nostro pianeta. Una sfida che avviene dopo un lungo periodo di tempo nel quale l’efficacia e le regole stesse della democrazia sono state messe in crisi ovunque, non solo da parte degli stati totalitari.

Le democrazie, infatti, non muoiono più di colpi di stato, ma vivono in una fase di generale ritirata. Non per una specifica azione di Putin o di Xi Jinping, ma per un progressivo indebolimento delle loro stesse istituzioni. Un indebolimento aiutato spesso dai parlamenti, dai vecchi e nuovi media e dalla fragilità dei corpi intermedi, tradizionalmente dedicati a equilibrare il funzionamento della democrazia.

Spesso, proprio coloro che si trovano al vertice di un sistema democratico, usano le sue istituzioni per indebolirlo. Un arretramento sempre più descritto dagli studiosi (penso ad esempio al libro di Levitsky e Ziblatt, pubblicato in Italiano da Laterza) e sempre più messo in pratica in un crescente numero di paesi.

Molteplici e diversi sono i segnali di questo arretramento.

Il primo è quello di rigettare o limitare le regole del gioco democratico non accettando i risultati delle elezioni politiche, oppure organizzando l’opinione pubblica per screditarle. A questo si accompagna l’attacco continuo, diretto e brutale nei confronti degli avversari, mettendo in dubbio la loro stessa legittimità, in quanto presunti agenti di potenze straniere o ipotetici criminali inadeguati a partecipare al gioco politico.

A ciò si aggiunge il progressivo screditamento dei numerosi e necessari arbitri che operano nel sistema democratico, a partire dalle autorità di regolamentazione per finire con la Magistratura.

Si tratta in questi casi di una vera e propria violazione delle regole, alle quali si accompagna spesso l’abbandono delle tradizionali consuetudini della vita democratica, come la separazione tra gli affari pubblici e quelli privati, l’inserimento di parenti nelle cariche pubbliche o il sistematico cambiamento dei collegi e delle leggi elettorali, in modo da favorire la propria fazione. Quando non si arriva ai casi, oggi frequenti non solo nei paesi africani, nei quali la Costituzione viene abbandonata nel momento in cui essa pone un limite alla durata del mandato di chi detiene il potere.

Naturalmente questi processi di arretramento della democrazia sono resi possibili quando si è di fronte a un crescente distacco fra i cittadini e chi esercita il potere, anche se con pieno mandato democratico. L’enorme aumento delle disparità e la crescente emarginazione della classe media prodotta dalla precedente crisi, e purtroppo esaltata dalla pandemia in corso, hanno progressivamente accelerato questo distacco.

Per non parlare della sfiducia provocata dalla ripetuta violazione delle promesse elettorali. Tutto il mondo è quindi entrato, con diversi gradi e con diversa intensità, in un processo di “recessione democratica”: dalle Filippine alla Thailandia, dalla Turchia alla Russia per arrivare al Brasile, toccando anche gli Stati Uniti. Solo l’Europa, con l’importante ma non decisiva eccezione di Polonia e Ungheria, ha posto fino ad ora un serio freno a questo arretramento, anche se ovunque si stanno indebolendo i tradizionali argini di difesa del sistema democratico, ossia i partiti politici.

Sono infatti i partiti che hanno la responsabilità di isolare le forze estremiste, di suonare il campanello d’allarme contro la violazione delle regole e, soprattutto, di selezionare con metodo democratico coloro che concorreranno alle cariche pubbliche. Sotto questi aspetti la progressiva ritirata dei partiti è un evento comune alla totalità dei paesi. Come se si volesse fuggire dalla complessità della democrazia per rilassarsi sotto le ali, apparentemente protettive, dell’autoritarismo. Sappiamo tutti che la democrazia è fatica. Essendo figlia di compromessi, negoziati e concessioni esige temperanza e autocontrollo, fino ad arrivare, in molti casi, a non dovere nemmeno usare fino in fondo il proprio potere e le proprie prerogative.

Le elezioni americane non saranno quindi importanti solo perché decideranno sulla politica interna e la politica estera del più potente paese del mondo: esse saranno anche un importantissimo indicatore della futura evoluzione di tutte le nostre democrazie.

Fino ad ora la campagna elettorale americana non ci aiuta ad essere ottimisti. Il suo svolgimento ci ha messo di fronte a tutte le potenziali involuzioni dei sistemi democratici che abbiamo in precedenza elencato, fino all’aperta minaccia del presidente Trump di non accettare gli eventuali risultati elettorali a lui non favorevoli.

Credo quindi che dobbiamo seguire con molto interesse gli ultimi giorni di questa grande sfida, anche come occasione per meditare sulla nostra democrazia, non certo immune dai rischi di involuzione che abbiamo elencato in precedenza.

Mai cosi' tanti votanti dal 1908


US 2020 election could have the highest rate of voter turnout since 1908

Data from the US Elections Project predicts a record 150m ballots, representing 65% of eligible voters, for this election

Voters wait in line on the first day of in-person early voting in Durham, North Carolina.
Voters wait in line on the first day of in-person early voting in Durham, North Carolina. Photograph: Jonathan Drake/Reuters
, and agencies (The Guardian)

More than 50 million Americans have cast ballots in the US presidential election with 11 days to go in the campaign, a pace that could lead to the highest voter turnout in over a century, according to data from the US Elections Project on Friday.

The eye-popping figure is a sign of intense interest in the contest between Republican Donald Trump and Joe Biden, his Democratic challenger, as well as Americans’ desire to reduce their risk of exposure to Covid-19, which has killed more than 221,000 people across the United States.

Many states have expanded in-person early voting and mail-in ballots ahead of election day on 3 November, as a safer way to vote during the coronavirus pandemic.

The high level of early voting has led Michael McDonald, the University of Florida professor who administers the US Elections Project, to predict a record turnout of about 150 million, representing 65% of eligible voters, the highest rate since 1908.

In Texas, the level of voting has already surpassed 70% of the total turnout in 2016. In Georgia, some have waited in line for more than 10 hours to cast their ballots. And Wisconsin has seen a record number of early votes, with 1.1 million people having returned their ballots as of this week. Voters in Virginia, Ohio and Georgia have also seen long lines at early voting sites.

Tonya Swain votes in Norwalk, California, while wearing a coat that mimics one worn by Melania Trump in 2018 which read, “I really don’t care. Do u?”
Tonya Swain votes in Norwalk, California, while wearing a coat that mimics one worn by Melania Trump in 2018 which read, ‘I really don’t care. Do u?’ Photograph: Frederic J Brown/AFP/Getty Images

The pandemic has upended campaign traditions and its effects are still being felt. Americans may find themselves waiting days or weeks to know who won as election officials count tens of millions of mail-in votes. Democrats are encouraging supporters to vote early – either in person or by mail – amid fears that the United States Postal Service (USPS) may not have the capacity to deliver mail-in ballots to election officials on time.

Ongoing Republican efforts to restrict which votes are counted and how have also worried voting rights advocates. This week, the supreme court allowed Alabama officials to ban curbside voting. The Iowa supreme court also upheld a Republican-backed law that could prevent election officials from sending thousands of mail-in ballots, by making it more difficult for auditors to correct voter applications with omitted information.

Michael Herron, a government professor at Dartmouth and Daniel A Smith, a political scientist at University of Florida, calculated that thousands of ballots in the swing states of Florida and North Carolina have been flagged for potential rejection due to signature defects. “Racial minorities and Democrats are disproportionately more likely to have cast mail ballots this election that face rejection,” they wrote in the media outlet the Conversation.

Trump and Biden met on Thursday night for a final debate ahead of election day, with Snap polls taken afterwards showing a majority of viewers believed Biden had the better showing.

Lagging in national polls, the president has been keeping a busy schedule of rallies, although with many voters having cast their ballots already, it’s unclear what effect the push will have.

On Friday, the president held events in the battleground state of Florida, where opinion polls show a tight race and over 4 million votes have already been cast, approaching half the total four years ago.

When Trump asked the crowd how many had voted, “nearly every hand” went up, reported NBC’s Shannon Pettypiece, who was at the event.

Boxes of vote-by-mail ballot envelopes await processing at the King county election headquarters in Renton, Washington.
Boxes of vote-by-mail ballot envelopes await processing at the King county election headquarters in Renton, Washington. Photograph: Ted S Warren/AP

Next week Trump will head to Pennsylvania, Michigan, Wisconsin and, somewhat surprisingly, Nebraska. He won Pennsylvania, Michigan and Wisconsin by less than 1 point in 2016, and recent polls show Biden pulling several points ahead in the battleground states.

Biden, meanwhile, delivered a speech in his home state of Delaware on his plans for leading a recovery from the pandemic. Biden’s speech comes as the US has hit its highest single-day coronavirus case count since late July, reporting 71,671 new cases yesterday.

“This president still doesn’t have a plan,” Biden said. “He’s given up. He’s quit on you. He’s quit on America.”

Echoing his comments during Thursday night’s debate, Biden said he would not shut down the country in response to the coronavirus pandemic.

“I’m not going to shut down the country. I’m not going to shut down the economy. I’m going to shut down the virus,” Biden said in Wilmington.