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Il tiro al reporter

PHOTO: Jarrod Ramos, 38, of Laurel, Maryland, is seen in this undated mug shot.

Si chiama Jarrod Ramos, 38 anni, un tale di Annapolis, capitale del Maryland, che ieri si è introdotto nella news room di Capital Gazette, il quotidiano locale di proprietà del Baltimore Sun.

Tranquillo come una Pasqua ha estratto alcune bombe fumogene, il solito fucile automatico ed ha sparato su giornalisti e persone che si trovavano in quell'ambiente.

Ne ha fatti fuori cinque ferendone altri.

Nel momento in cui scriviamo il signor Ramos si trova di fronte a un giudice dello Stato del Maryland.

Contrariamente a quanto in genere si verifica subito dopo i 'tradizionali' massacri che si susseguono periodicamente negli Stati Uniti, questa volta le autorità di polizia hanno traccheggiato a lungo prima di dare informazioni su questo ennesimo omicida.

Poi finalmente è venuta a galla la versione ufficiosa e ufficiale secondo cui questo tipo era in lotta con il giornale da tempo per un articolo da lui considerato diffamatorio nei suoi confronti e che aveva innescato azioni legali nei confronti della direzione del quotidiano.
Un personaggio in guerra anche con avvocati e funzionari della citta', giudicato comunque dai vicini di casa un tipo tranquillo con moglie e figli. Nessuna visita da parte di estranei al suo appartamento.

"Fermati lì e non andare oltre", ci dice un collega americano. E già questo suadente invito a non indagare ulteriormente crea qualche sospetto.

Ma solo riferendoci ai commenti sui quotidiani nazionali e sui media televisivi non condizionati da Donald Trump, emerge evidente che questo massacro di giornalisti si inserisce in un clima infuocato dai continui attacchi alla stampa fatti quotidianamente da oltre due anni dall'attuale inquilino della Casa Bianca.

Grazie alla pervicace predicazione anti giornalisti fatta dal presidente degli Stati Uniti, risulta evidente che una larga porzione dell'opinione pubblica americana è convinta che i giornalisti appartengano ad una casta inferiore in quanto tacciati di diffondere fake news, soprattutto contro il palazzinaro-casinaro di New York.

Per molti quindi ce ne fossero ancora di persone come questo Ramos che fanno il tiro al reporter.

Ed anche questa è America

Ciao compie (solo) 200 anni: è la parola italiana più celebre dopo «pizza»


Esaltata dai partigiani e al Festival di Saremo, la sua prima attestazione scritta risale al 1818 (e a Milano)
 di Paolo Di Stefano

«Ciao ciao bambina». Nel 1959 Domenico Modugno vinse a Sanremo con Johnny Dorelli cantando Piove. In realtà quella canzone resterà nella memoria per il ritornello: «Ciao ciao bambina», che presto si diffonderà all’estero nella trascrizione inglese «Chiow Chiow Bambeena», in quella tedesca «Tschau Tschau Bambina», in quella spagnola «Chao chao bambina». Dalida la cantò nella versione francese. Il linguista Nicola De Blasi (nel libro «Ciao», pubblicato dal Mulino) sostiene che la canzone di Modugno e di Dino Verde rappresentò la svolta decisiva nella fortuna internazionale della parola «ciao», la forma di saluto più familiare che si conosca non solo in Italia. In realtà, segnala De Blasi, il termine era già noto oltre i confini nazionali: in un romanzo francese di Paul Bourget del 1893, un personaggio diceva in italiano «Ciaò, simpaticone» e nei primi del Novecento veniva suonato un valzer intitolato «Ciao». Il saluto filtrò ben presto nei film neorealisti e nelle commedie all’italiana nel momento in cui il nostro cinema aveva un successo mondiale.
Dal cinema ai giornali
Nel film di Monicelli I soliti ignoti, del 1958, Gassman saluta l’amico Capannelle ricoverato in ospedale con le parole «Addio, ciao, bello». Insomma, il nostro «ciao» si diffonde nel mondo sulle ali del boom economico come «icona quasi fonosimbolica» e del diffondersi del «tu» nei rapporti personali. Tant’è che nel 1967, l’anno tragico per Sanremo in cui Tenco presenta Ciao amore ciao, la Piaggio decide di battezzare «Ciao» un suo motorino che con lo slogan pubblicitario «Bella chi ciao» punta sul pubblico giovanile. E ai lettori giovani, l’anno dopo, si rivolge anche il settimanale illustrato «Ciao 2001», mentre a grandi e bambini viene proposta la crema al cioccolato «Ciaocrem».
Nelle canzoni
Il ’68 è l’anno in cui sempre a Sanremo Luis Armstrong duetta con Lara Saint Paul cantando Ciao, stasera son qui. L’irresistibile ascesa di «ciao» giunge all’apoteosi nel 1990 con la mascotte eponima dei Mondiali di calcio. E attualmente, dopo «pizza», «ciao» è la parola italiana più pronunciata nel mondo fino a «ciao raga», «ciao neh», «ciaone». «Questa mattina mi son svegliato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao»: va detto che il canto intonato dai partigiani, che si sarebbe imposto molto dopo come inno politico di resistenza e di liberazione, fu lanciato grazie anche a iniziative commerciali prestigiose come il disco di canti popolari italiani interpretati da Yves Montand. Il più celebre etnomusicologo, Roberto Leydi, dimostrò che Bella ciaoè radicata nella tradizione popolare perché risale a un canto piemontese dell’Ottocento dove però manca la parola «ciao», che invece compare in un canto delle mondine anni Quaranta.
Le prime testimonianze
E pensare che l’origine della parola non ha nulla a che fare con la confidenza, se è vero, come è vero, che «ciao» deriva dal latino «sclavum», variante di «slavum» quando a essere ridotte in schiavitù erano le genti di provenienza slava. A partire dal Quattrocento si introduce l’abitudine di salutare qualcuno dichiarandosi suo schiavo (il friulano «mandi» proviene da «comandi»): da qui la parola «ciao» che origina dal veneziano «s’ciavo», schiavo, appunto. Ma c’è un compleanno che quest’anno va festeggiato: è esattamente di due secoli fa la prima attestazione scritta di «ciao» (che naturalmente doveva esistere in forma orale già da un po’), la stessa parolina che immettiamo decine di volte al giorno chattando su Facebook o su WhatsApp. Il 1818 è l’anno in cui il tragediografo cortonese Francesco Benedetti in una lettera accenna alle gentilezze ricevute da una signora che lo conduce alla Scala e dai milanesi in genere: «Questi buoni Milanesi cominciano a dirmi: Ciau Benedettin». D’altra parte un anno dopo la scrittrice inglese Lady Sidney Morgan allude al comportamento di alcuni spettatori che in un palco della Scala si scambiano un «cordial ciavo». Altra conferma del bicentenario arriva da una lettera della contessa veronese Giovanna Maffei, che nel 1818 riferisce al marito i saluti del figlio ancora bambino: «Peppi à appreso a dire il tuo nome, e mi disse di dir ciao a Moti». Oggi la funzione fonosimbolica si è moltiplicata, se al telefono, nella fretta del congedo, non facciamo che ripetere: cià cià cià cià cià cià…



Per favore, ridateci un partito di centro....

Leggiamo sui giornali italiani del tracollo del partito democratico.

Nei prossimi giorni l'assemblea di questo partito si riunirà per valutare la pessima situazione in cui si è venuta a trovare questa coalizione politica che solo due anni fa aveva raggiunto il 40% dei consensi nazionali.

Additare Matteo Renzi come responsabile di questa frana non solo è ingiusto ma anche illogico: Paolo Gentiloni ha raccolto il testimone del dimissionario segretario del PD e ha lavorato bene, ma i fatti in Italia servono poco.

Ciò che importa è parlare al ventre della gente, farsi megafono degli istinti banali, saltabeccare sulla non sopita voglia fascistoide di avere un'Italia 'caput mundi' quando in effetti la penisola galleggia a malapena.

Del resto niente di particolarmente originale per quanto riguarda il successo della Lega se si tiene conto che, a cominciare dal paese da cui parlo, il sovranismo e populismo sembrano ormai avere completato l'incarognimento delle coscienze, soprattutto di quelli per i quali pensare e decidere in maniera democratica è un peso insopportabile.

Ma osservata da oltre 7000 km di distanza la situazione italiana presenta un interrogativo sul quale sembra non vi sia sufficiente sensibilità.

Dalle elezioni del 4 marzo e dal ballottaggio del 17 marzo emerge uno scenario nel quale si evidenzia la portata del successo di un partito, la Lega, che tutto può definirsi meno che partito di centro.

Affiancato da un movimento politico che in effetti è un'emanazione imprenditoriale di carattere digitale e che sino ad ora ha avuto successo come veicolo dell'intolleranza, delle offese gratuite, del rifiuto di ogni regola democratica di confronto.

Un movimento che ora annaspa oberato come e' di responsabilità governative avendo ormai assunto la precaria posizione di stampella di una Lega impersonificata da quel Matteo Salvini la cui ininterrotta loquela solletica e titilla il marciume totalitarista che esiste in tanta parte della popolazione italiana che auspica il ritorno di un uomo solo al comando che faccia arrivare i treni in orario e al quale dedicare gli ultimi frammenti di una libertà conquistata a caro prezzo 70 anni fa.

Dando uno sguardo allo scenario politico italiano ci si rende conto che manca completamente un partito, movimento, chiamatelo come volete, che sia un punto di riferimento per coloro che vogliono garantirsi con un partito di centro, ma non lo trovano più.

Non possiamo credere che milioni di persone che hanno votato Lega e il Movimento Cinque Stelle siano più che soddisfatte della scelta fatta nelle urne.

In realtà se proprio dovevano votare non avevano altra soluzione che dare il proprio consenso a questi due simboli oppure rinchiudersi in una scettica astensione dal voto.

Ecco perché si rende necessario in Italia in questo momento ripensare profondamente la struttura geopolitica della cosiddetta sinistra ormai completamente scolorita grazie anche alle campagne suicide condotte negli ultimi anni.

C'è voglia di un modello politico sul quale convergere con voti di centro motivati da impegno sociale.

E non si venga a dire che Silvio Berlusconi possa essere considerato la soluzione di questo problema visto oltretutto che la Lega sta rendendo evanescenti gli ultimi rottami di Forza Italia, partito industria, vittima della personalizzazione del potere che lo ha privato di ogni accettabile dialettica interna.

Si è parlato per mesi del cosiddetto partito di Renzi, imitazione del movimento di Macron in Francia.

Non sappiamo se questa potrà essere la soluzione per i mali dello scenario politico italiano.

Ma ci auguriamo che l'Italia, un tempo considerata un raffinato laboratorio politico, sia in grado di risolvere questa pesante distorsione che si è verificata nel giro di due anni nel corpo elettorale e che è foriera, dispiace dirlo, di profonde modificazioni antidemocratiche.

Oscar
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Non sone d'accordo....
I 5 stelle stanno riempiendo il vuoto a centro sinistra lasciato dal PD, impelagato coi poteri forti al punto da perdere i riferimenti sociali e di supporto alle fasce deboli della popolazione che storicamente, fino almeno ai tempi di Berlusconi, avevano rappresentato. Quindi preferiscono associarsi al loro opposti (a Trento il PD pur di osteggiare i 5 stelle hanno raccomandato di votare lega al ballottaggio), o avere i 5S associati al loro opposto (rifiutando di accordarsi con i 5 stelle hanno forzato di fatto Salvini al governo), per timore di perdere il confronto sui valori di base...
Clark Misul
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Salve Oscar,
COMPLIMENTI !!!
É possibbile  avere questo tuo ammirevole articolo che favorisce un  partito di centro anche  in inglese?
Peccato che la mia edizione  di Giugno  e ciusa, ma la pubblico  alla prossima EDIZIONE  sui fatti estivi e quindi sara' alla fine Agosto la pubblicazione  del tuo articolo  del ''WASHINGTON LETTER''possibilmente  rivista  dalla esclusiva primo paragrafo che parla  in  questi giorni essento che uscira' in circolazione  inizio settembre sara' preferibile  abbreviare la parte  PROSSIMI GIORNI  rendendone magari in parte  il risultato....
Se  possibble  me lo confermi ma bilingue  e il desiderio  dei miei lettori  centro e nord America.
Mille grazie

Arturo Tridico
Editor
La Voce Euro-Canada & USA
Since 1982
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Caro Oscar,
è una vecchia ispirazione della sinistra politica quella di voler educare il popolo, che “sbaglia”. È un concetto molto strano della democrazia, e guarda caso ad infastidirsi della democrazia sono proprio i cosiddetti “democratici”, in qualsiasi parte del mondo si trovino. A sinistra si ritiene infatti presuntuosamente di essere costantemente dalla parte della ragione, anche quando l’evidenza dimostra il contrario e soprattutto il trasformismo non rende più!
Ma quando sarà che si accettino serenamente i principi fondamentali della democrazia? Se questo sistema non garba, e di difetti se ne possono trovare di grandi e fondamentali soprattutto al giorno d’oggi con lo strapotere dei mass media, è bene si abbia il coraggio di dichiararlo. Nessuno se la deve prendere se a taluni, o a anche a molti, il sistema democratico, soprattutto quello parlamentare, non piace!  
Un abbraccio,
Marco

Oscar risponde:
Caro Marco 
Essere tacciato di 'sinistra' mi fa venire l'orticaria.
Le cicatrici delle botte ricevute in giovane eta' dagli attivisti comunisti a Firenze bruciano ancora.
Sono sempre stato un liberale e continuo ad esserlo anche se il PLI e' sparito da tempo.
Ricambio il caloroso saluto.
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Caro Oscar,
considerato che sino al 1994 (anno infausto per i liberali, come il 1993) sei stato in Italia e che stavi nel PLI, nel quale io ho allora avuto un qualche ruolo, penso che dobbiamo esserci conosciuti, e quindi di poterTi dare del Tu.
Ho letto la Tua ultima lettera da W-DC, come faccio sempre, e l’ho subito condivisa sulla pagina FB di Rete per la Democrazia Liberale ttps://www.facebook.com/democrazialiberale.org/?ref=aymt_homepage_panel), che da anni mi sforzo di tenere in piedi, come ora sto facendo anche col nuovo sito web di D. L. (https://democrazialiberale.org/) in via di costruzione.

Ti scrivo per dirTi che ho trovato nella Tua lettera ciò che da tempo vado sostenendo, e cioè che il declino di Forza Italia (un partito proprietario a cui non ho mai aderito) e la contemporanea comparsa di partiti sovranisti e giacobini  che stanno monopolizzando il panorama politico, rendono evidente l’esistenza di un vuoto politico che toccherebbe ai liberali di ricoprire, riportando alla politica milioni di cittadini che si sono rifugiati nell’astensione non riconoscendosi in nessuna delle offerte politiche del momento.

Ho già creato nella mia Messina, città che ha solide tradizioni liberali, un primo nucleo di liberali che si propone questo obiettivo, e so che ce ne sono tantissimi altri sparsi in tutta Italia, senza che riescano a mettersi insieme e fare rete, mentre chi detiene ancora il simbolo del nostro PLI lo ha conferito all’ammasso della Lega di Salvini.
Non mancherebbero in Italia i liberali, giovani e non, disposti a lavorare per questo obiettivo, manca invece del tutto chi voglia investire le risorse necessarie per fare partire un progetto unificante. 

Penso a ciò che è stato fatto in Austria, per supplire alla deriva estremista del vecchio Partito della Libertà di Heider e poi di Strache (espulso da Liberal International nel 1993); è accaduto che un gruppo di imprenditori, senza entrare direttamente in politica, avvertendo il vuoto di rappresentanza liberale, ha promosso e sostenuto nel 2012 la nascita di NEOS (Das Neue Österreich und Liberales Forum), che ha subito avuto un buon successo ottenendo alle elezioni politiche del 2013 il 4,96% (9 seggi su 183), alle europee del 2014 l’8,14%, e alle politiche del 2017 il 5,24 (10 seggi), essendo membro di ALDE dal 2014.

Un cordialissimo saluto.

Enzo Palumbo
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caro Oscar,
Non sono certo Leghista o Pentastellato, ma ritengo "eccessiva" la tua analisi. Non vivi giornalmente i ns. fatti e la tua lettura degli stessi è in parte "scolastica". Da noi non esiste più destra e/o sinistra nel senso storico dei termini. Esistono ancora frange estreme di tali raggruppamenti, ma sono marginali ed ininfluenti. Ormai la sinistra ex-PC-DC e la destra ex-Casa delle Libertà-DC si confondono ed overmappano. Però la gente vede bene i disastri che ci hanno prodotto ed il poco di buono che hanno fatto. E' la classe politica che ci ha governato in alternanza da 30 e più anni che deve andare via. Non è spiegabile che il ns. debito pubblico cresca ogni mese a prescindere da chi governa, che la Giustizia non funzioni, che scuola ed università abbiano arretratezze antiluviane, penuria d'investimenti, che i migliori cervelli giovani trovino spazio all'estero, che l'Italia sia (malgrado le grida di Renzi e Gentiloni) all'ultimo posto in Europa come crescita. Se le rivoluzioni nel corso della storia sono servite per dare una scossa ai paesi e cambiare gli "ancien regime", ciò che è avvenuto da noi è qualcosa di simile: una volontà di mandare a casa chi ci ha governato da più di trent'anni e portare alla ribalta volti nuovi. Saranno forse non meglio dei precedenti, incapaci, velleitari, ma la loro gestione del potere, che ha creato speranze, sarà giudicata da un voto popolare e, forse, andranno a casa anche loro. Il restante, cioè i bocciati dal voto (l'ex-Cavaliere, Renzi, Martina e quanti altri), dovrebbero adeguarsi al detto "tutti a casa" e rigenerarsi con volti nuovi. E' stato patetico il fatto che nell'ultima settimana a Siena abbiano fatto campagna elettorale Gentiloni e Veltroni (una brava persona ed un trombato storico), col risultato di perdere in una roccaforte storica con un Salvini come controparte.
Questo governo potrà portare qualcosa di buono soltanto se cambierà la classe politica, se la "professione" di parlamentare si riconfigurerà in quella di "servizio a chi lo ha votato", se lo stipendio dei parlamentari rientrerà nella media europea (portata in alto dall'importo dei ns), se la gente vedrà meno sprechi e ruberie. Basta che cambi qualcosa di tutto questo e questo Governo sarà servito a qualcosa. Al contempo, se resteranno ancora a contar balle gli attuali trombati, non si capisce come e chi dovrebbe dare loro ascolto. Avremo un nuovo partito in copia a quanto fatto dai francesi? Sarà il partito della Repubblica? L'importante è che ci siano volti nuovi. Ormai è chiaro che i populisti (giacchè la ns. maggioranza di voto è questa, con l'aggiunta di un'astensione silente e crescente) vogliono un totale credibile ricambio dell'attuale. Ed io, che ormai sono nella terza età, posso solo sperare per i miei figli che ci sia un vero ricambio e non l'ammuina di Franceschiello fatta dai soliti trombati, i professionisti della politica.  
Un abbraccio
Aldo
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Salve Oscar,
un brevissimo commento. Sono e son sempre stata liberale, fin da giovane. Fortunatamente qui nella mia isola, la Sardegna, riesco ancora a votare ciò che è rimasto dei liberali, ossia il partito dei Riformatori, che sta lottando da molto tempo per il principio di insularità nella costituzione. Tante altre battaglia, liberali, qui si stanno combattendo. 
La cosa che mi ha stupito di più dei rappresentanti politici della sinistra è che nelle loro interviste parlavano di spread, di mercati, di flussi finanziari e quant'altro. Non hanno mai parlato con il linguaggio di una sinistra che combatte per gli operai, per le pensioni, per annullare i privilegi, per le lotte sociali (pensiamo che oggi si vota una delibera dell'ufficio di presidenza all'ordine del giorno, per eliminare  i vitalizi. Ricordiamo che la sinistra fece una legge uguale a questa delibera per abolire tali privilegi, e l'ha bocciata esso stesso. Ma come non sapeva che bastava una delibera? E dopo che ti fai la legge te la bocci?). Il risultato non poteva che essere questo. 
Saluti
Germana Manca

Turchia alle urne: un bivio non solo per Erdogan


La posta in gioco – Turchia, un voto che porterà nuovi equilibri
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 giugno 2018
La giornata di oggi in Turchia non potrebbe esserei più importante: si vota sia per eleggere il Parlamento che il Presidente della Repubblica. Si vota cioè sul futuro del paese e, quindi, in particolare sul destino dell’uomo forte: il Presidente Recep Tayyip Erdogan.
Nel 2002 quando Erdogan arrivò al potere fu salutato da tutta la comunità internazionale come l’uomo che avrebbe completato il processo democratico di Ataturk, garantendo anche il contenimento della forza dell’esercito che in più occasioni aveva prevalso sulle istituzioni democratiche.
Nel suo programma era inoltre prevista un’apertura nei confronti della minoranza curda, una politica estera di alleanza con i paesi vicini e un progressivo avvicinamento all’Unione Europea. A questo si aggiungeva un progetto di modernizzazione e di espansione dell’economia e un programma di poderose opere pubbliche. Si presentava quindi l’ipotesi di un lungo governo di un partito islamico moderato, democratico e moderno.
Le elezioni di oggi si svolgono in un quadro molto lontano dalle speranze di allora. L’economia ha in effetti progredito in modo straordinario, le opere pubbliche e il boom edilizio hanno trasformato (forse anche troppo) il disegno del paese ma sono venuti al pettine alcuni nodi sempre più pesanti e pericolosi.
Dal punto di vista economico lo sviluppo si è, negli ultimi tempi, accompagnato ad un processo inflazionistico che ha causato ad una impressionante svalutazione della lira turca. Tutto ciò, da un lato, ha mantenuto elevate le esportazioni, ma ha pesantemente influito sul costo della vita e provocato crescenti scontenti: è anche per evitare che questi scontenti si tramutassero in ostilità politica che Erdogan ha voluto anticipare la data della consultazione elettorale.
Con le elezioni di oggi la posta in gioco più importante non è tuttavia il futuro dell’economia ma della democrazia turca. In modo progressivo, ma soprattutto negli ultimi anni, la democrazia si è trasformata in autocrazia, mentre i buoni rapporti con i vicini si sono progressivamente deteriorati.
L’obiettivo della politica estera turca non ha più avuto, come priorità, di vivere in pace coi vicini ma di diventare una grande potenza nell’area che si estende dai Balcani all’Asia Centrale, fino all’Africa passando naturalmente per il Medio Oriente. Una politica di autonomia e di ritorno alla gloria ottomana assai poco compatibile con il ruolo che la Turchia aveva sempre svolto nell’ambito della NATO.
Questo processo è stato accompagnato da un progressivo avvicinamento alla Russia. Un’alleanza però che, in futuro, porterà molti problemi, data la difficile compatibilità degli interessi delle due potenze, sia nel Medio Oriente che nel Mediterraneo.
La posta più importante in gioco oggi è tuttavia il futuro della democrazia turca. Il dominio di Erdogan sulla Turchia è sempre più forte e sempre più fuori dalle regole democratiche. Oltre cento giornalisti sono in carcere, centomila fra funzionari, professori e magistrati sono stati epurati e, tra questi, trentamila sono stati incarcerati. Le tensioni con i curdi si sono inasprite fino ad arrivare a continui conflitti. Non siamo perciò sorpresi che, in questo clima, la campagna elettorale abbia visto la figura di Erdogan monopolizzare tutti i media, dalla carta stampata alla televisione e ai social.
Le previsioni sui risultati elettorali sono in prevalenza in favore di una vittoria di Erdogan anche perché egli ha allargato il suo consenso appoggiandosi in modo crescente alla parte tradizionale della Turchia, più nostalgica del passato che fiduciosa nel futuro. Bisogna tuttavia prendere atto che, in questa contesa elettorale, le opposizioni, pur rimanendo ancora separate, hanno aperto un più costruttivo dialogo fra di loro.
Nelle ultime settimane si è inoltre fatto strada un leader più credibile dei precedenti, un ex insegnante, devoto islamico ma anche profondo democratico, che risponde al nome Muharrem Ince, erede della memoria del vecchio partito di Ataturk. Si potrebbe quindi arrivare ad una vittoria di Erdogan alle presidenziali e a una maggioranza delle opposizioni alle elezioni parlamentari, naturalmente a condizione che il Partito Curdo più rappresentativo ottenga almeno il 10% dei voti, pur essendo il suo leader ancora in prigione.
Questo risultato, data l’ampiezza dei poteri presidenziali nelle decisioni politiche ed economiche, non cambierebbe radicalmente il ruolo assunto da Erdogan ma ne attenuerebbe certamente gli eccessi degli ultimi tempi. Un rapido ritorno alla normalità democratica non è però molto probabile, così come sembra essere ormai rinviata a tempi lontanissimi l’adesione della Turchia all’Unione Europea.
È quindi opportuno seguire con molta attenzione quello che sta avvenendo oggi in Turchia perché da queste elezioni deriveranno conseguenze molto importanti non solo per il ruolo economico ma anche per le decisioni politiche e militari che questo grande paese Mediterraneo prenderà in futuro.
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Elezioni in Turchia, Erdogan annuncia il trionfo: «Vittoria della democrazia».  «Dati manipolati> (Corsera)

Se ne vada dal mio locale....!


White House press secretary Sarah Huckabee Sanders: President Trump was reportedly angry with the way Sarah Sanders handled questions about Ms Daniels
Sarah Sanders, portavoce del presidente Donald Trump, ha deciso nei giorni scorsi di passare un paio di ore con la famiglia in un ristorante.

Sedutasi ad un tavolo del Red Hen stava attendendo che si liberasse un cameriere da altri clienti per venire a ricevere l'ordine.
Sarah Sanders stava consultando insieme ai familiari il menu quando è stata interrotta dall'arrivo del proprietario del locale il quale con tono fermo l'ha invitata a lasciare immediatamente il ristorante perché persona non gradita.

Anche se con un certo ritardo la storia è venuta fuori e la portavoce di Donald Trump ha dovuto confermare l'episodio con un Twitter, ribadendo che da parte sua ha sempre cercato di usare nei confronti di quelli che sono in disaccordo un metodo ispirato alla cortesia e al rispetto delle opinioni altrui.

Di Sarah Sanders si va parlando da giorni perché viene data in uscita dalla Casa Bianca, decisione questa presa soprattutto dopo lo scandalo innescato da Donald Trump per la separazione dei bambini dalle madri illegalmente arrivate negli Stati Uniti

La notizia può sembrare di poco conto ma è un termometro della crisi profonda che sta avvelenando gli americani.

I comportamenti sociali si sono modificati in misura fondamentale al punto che quando si invita qualcuno a casa per un dinner bisogna ricordare quali sono le simpatie politiche della persona per evitare che, quando il discorso inevitabilmente cadrà sulla situazione politica innescata dalle provocazioni del presidente, la conversazione possa degenerare complice qualche bicchiere di vino.

A chi scrive è già successo diverse volte nel corso degli anni e l'imbarbarimento della convivenza sociale ci è costato l'allontanamento di conoscenti da noi stimati per la simpatia nei rapporti e l'alto livello professionale.

Resta infine da dire che il caos della Casa Bianca sia nei rapporti interni che in quelli internazionali sta rendendo l'immagine dell'America miserrima come possono testimoniare quelli che hanno occasione di viaggiare in altri continenti.

Ma di questo alle decine di milioni di super fan di Donald Trump non gliene può importare di meno perché sono ancorati ad una sottocultura "parrocchiale" all'insegna del: "I really don't care. Do U?' sfoggiato sul parka di Melania in occasione della sua rapida visita ad un alloggio per bambini separati dalle famiglie.

Mala tempora currunt.

Oscar

Il mistero Melania

s095376584 Melania Trump Wears ‘I Really Don’t Care. Do U?’ Jacket Ahead Of Border Visit

Quel parka da 39 dollari sta facendo impazzire l'America ormai esausta per aver versato lacrime di coccodrillo sulle migliaia di bambini separati dalle loro mamme e accolti, si fa per dire, in grandi gabbie.

La giacchetta paramilitare verde indossata da Melania Trump al momento di scendere e risalire sulla scaletta dello Air Force One in Texas sta suscitando valanghe di commenti.

La First-Lady sembra che abbia deciso autonomamente di recarsi in un centro di accoglienza al confine fra il Texas e il Messico per portare la sua solidarietà ai bambini ospitati e al personale di assistenza.

Indossando una sahariana con la scritta: "I really do not care. Do U?", Ovvero: "Realmente non m'importa. E tu?" i media e gli analisti si chiedono quale interpretazione dare a questo esplicito messaggio, inconsueto per una first-lady.

Donald Trump ha immediatamente cercato di mettere una toppa su questa iniziativa autonoma della bistrattata moglie inviando un Twitter nel quale affermava che il il messaggio della fascinosa cinquantenne consorte era indirizzato alle fake news della stampa.

Ma vi sono altre interpretazioni:

La first-lady stanca delle notizie sulle porno amanti del marito ha voluto sottolineare che non gliene può fregare di meno anche se il ruolo la costringe a non interrompere una burrascosa convivenza.

Oppure, sedare le polemiche perché Melania indossava una camicetta da 1500 $ per farsi riprendere mentre faceva finta di sistemare l'orto di casa (Casa Bianca ovviamente) o altri costosi abiti da migliaia di dollari esibiti in diverse occasioni.

Il viaggio lampo dicono che sia stato deciso in autonomia dalla first-lady angosciata per il trattamento riservato a migliaia di bambini strappati dalle loro madri illegalmente entrate nel territorio della federazione americana.

Del resto per chiarire quanto questa vicenda abbia profondamente colpito l'immaginazione e la sensibilità della First-Lady basterebbe ricordare la esplicita dichiarazione fatta attraverso la sua portavoce secondo cui oltre al rispetto delle leggi bisogna governare anche con il cuore.

Sarà forse una bestemmia antifemminista ma, dato che viviamo in una società dell'immagine animata dal body language, la signora Trump ci consola con la sua avvenenza, compostezza, rifiuto della mano del fedifrago marito durante le rare cerimonie ufficiali alle quali partecipa, e il grande amore per il già chiacchierato figlio adolescente Baron.

Siamo autorizzati a dirlo perche' siamo vecchi e rincoglioniti.

Ed anche questa è America.

Oscar
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Caro Oscar,
Per te vecchiaia e rincoglionimento vanno in direzioni opposte.
Un abbraccio
A.N.

La Cina (non solo) e' vicina. Ma presto sara' davanti...


Viva le Donne Italiane (magari Judoka !)


Era il 1963, pensate Voi !!
E nella mia assoluta incoscienza di giovane dirigente sono riuscito a ottenere il 'VIA' dal dottor Luigi Orlando, potente amministratore delegato della Societa' Metallurgica Italiana, leader allora europeo del settore metallurgia non ferrosa.
Il mio progetto prevedeva la realizzazione di una palestra di Judo presso il piu' importante stabilimento della societa' a Fornaci di Barga.
E' nato cosi il Judo Club Fornaci che, non certo per merito di chi scrive, ma di un ex allievo, il dottor Ivano Carlesi, ha raggiunto con i suoi atleti i vertici nazionali e internazionali.
Carlesi ha fatto installare nella piazza dell'importante centro Toscano una statua dedicata al Judo, unico esempio in Europa.
Oscar
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L’oro di Marsili accende Glasgow con altri 4 argenti e 11 bronzi

20180616 Glasgow 1Un altro oro con Cristina Marsili (Judo Club Fornaci) , ma anche quattro secondi e undici terzi posti hanno acceso la terza giornata della squadra italiana a Glasgow, nel campionato d’Europa per veterani e, con queste sedici medaglie, l’Italia rimane in quota nel medagliere. Si è trattato di un giornata molto impegnativa, con 388 atleti a disputarsi ben 47 medaglie d’oro per tutte le categorie femminili e le più giovani delle maschili. In queste Francesco Iannone e Francesco Degortes hanno fatto la loro parte, terzi rispettivamente nei +100 kg M2 e nei 60 kg M1, mentre le donne salite sul podio sono state ben 14 per il primo posto di Cristina Marsili, 57 kg F4, i secondi di Cristiana Pallavicino, 70 kg F8, Aurora Calamo, +78 kg F6, Sandra Trogu, 52 kg F6, Lara Battistella, 70 kg F1 ed i terzi posti di Lucia Assirelli, 52 kg F6, Maha Aida Guemati, 63 kg F5, Gianna Sestieri, 57 kg F5, Rosanna Dell Accio, 48 kg F5, Sara Guala, +78 kg F4, Fabiana Fusillo, 78 kg F4, Andretta Bertone, 57 F3, Elen Merelli, 57 kg F2, Alessandra D’Amario, 52 kg F2. “Una bella Italia femminile, come previsto, ha arricchito il nostro medagliere – ha detto il responsabile dei Master azzurri, Giuseppe Macrì – e grazie a Cristina Marsili, anche oggi l'inno italiano si è fatto sentire nello splendido Emirates Arena
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"Family Guy" creator Seth MacFarlane and "Modern Family" co-creator Steve Levitan have denounced Fox News' coverage of President Donald Trump’s policy of separating immigrant children from their parents at the U.S. border.
"It’s business like this that makes me embarrassed to work for this company," MacFarlane tweeted in relation to a Fox News segment in which Tucker Carlson told viewers to believe the opposite of what the media reports. Levitan backed MacFarlane and said he would be leaving Fox after "Modern Family" wrapped up. They were joined by others in the entertainment and advertising industries, including Judd Apatow and Paul Feig, who are questioning their business relationships over the coverage by Fox News.
NBC

“Campi di concentramento per bambini”


Alberto Pasolini Zanelli

Ci voleva una grande democrazia in una crisi di nervi per aprire una nuova forma di repressione: quella definita un po’ rudemente “campi di concentramento per bambini”. Per figli e nipoti di adulti che desiderano rifugiarsi all’estero dalle miserie domestiche. Non c’è niente di nuovo: i dittatori dicono “no” e basta, gli altri ricorrono alla burocrazia. Prolungano i tempi di un consenso di malumore: ai sudditi che se ne vogliono andare si blocca la strada spesso con la vecchia arma della polizia.

Ma in un grande Paese democratico come gli Stati Uniti il problema è diverso e le cure, in più di un senso, opposte: coloro che vogliono uscire presentano problemi diversi da quelli che vogliono entrare. Non li ostacola un brutale divieto, ma una trafila burocratica che può da lontano sembrare “umanitaria”. Gli aspiranti profughi verso gli Stati Uniti non vogliono semplicemente entrarci, ma diventare cittadini a tutti gli effetti. Per arrivarci devono dunque rispondere a una serie di condizioni, che riguardano loro e i familiari. Sono o dovrebbero essere i preferiti: c’è da fidarsi di più di chi si porta dietro moglie e figli e magari anche qualche suocera. Però queste sono anche scuse per rallentare il procedimento. Per cui la famiglia si presenta compatta ai cancelli di ingresso, ma entra, nella migliore delle occasioni, un pezzetto per volta. E dal momento che non si può mandare i bambini avanti da soli, li si tiene indietro, fuori dall’abbraccio e dal controllo del babbo e della mamma. E li si tiene chiusi in quelle che potrebbero chiamarsi gabbie ma obiettivamente non lo sono. Si avviano con la mamma al cancello, la mamma prosegue e loro rimangono lì. Cosa fanno? Piangono. Sono tanti e così disperati che il rumore arriva fino quasi alla Casa Bianca e al Congresso e non viene ignorato. Si cerca di aiutarli, ma con le vie della burocrazia: le mamme vanno avanti nella Terra Promessa e i bambini rimangono “dentro”.

In questi tempi le loro grida vengono particolarmente ascoltate, anche perché possono servire agli avversari di questo programma per dare corpo alle proprie obiezioni e suggerite soluzioni: ricongiungersi con i genitori e farli affrontare assieme le incertezze e le difficoltà di un esodo che, almeno nei primi tempi, non è molto diverso da un esilio. Hanno trovato uno slogan adesso: “Bambini strappati alla mamma e rinchiusi in campi di concentramento”. La Casa Bianca nega, l’opposizione democratica ribadisce. Qualcuno dà la colpa a un presidente scaduto, Barack Obama, colpevole secondo i repubblicani di averla fatta troppo facile all’indice di una “tolleranza zero” che è impensabile con la firma di Donald Trump. Il risultato è che, giunti alla frontiera del Texas o della California con il Messico, questi bambini vengono separati dai genitori non per qualche ora ma per diversi giorni, se non per settimane. È così che il cammino della speranza diventa un lager. Così definito con vigore esagerato, ma sempre più diffuso.

Negli ultimi giorni hanno trovato quattro voci di mamme o almeno di donne, tutte uscite dalla Casa Bianca: la moglie Bush, quella di Obama, quella di Clinton e, nelle ultime ore e con qualche cautela, anche quella di Trump. Serviranno? Sarebbe necessario. Ne avrebbe bisogno soprattutto l’attuale presidente, già inguaiato dalle sue imprevedibili aperture e chiusure, rotture con gli alleati e strani fidanzamenti con i peggiori dittatori in circolazione.

Fabrizio Bosso and his trumpet




I love it!
Lucilla Scelba

Il saggio e il folle secondo i cinesi

China’s official Xinhua news agency added: 

“The wise man builds bridges, the fool builds walls. With economic globalisation there are no secluded and isolated islands.”

Vento di riconciliazione???


Alberto Pasolini Zanelli

Washington soffia un vento di riconciliazione. O almeno di distensione. Su un terreno limitato ma non troppo, che riguarda le mamme e, naturalmente, i bambini. È una “coalizione” inattesa e improbabile, almeno per quanto riguarda una delle due materne superpotenze. Melania Trump è scesa in campo per aiutare gli ormai famosi e compianti orfani della frontiera, vittime di una legislazione che tende a limitare le immigrazioni da quella famosa frontiera fra gli Stati Uniti e il Messico che viene attraversata per almeno la metà da non messicani ma da pargoli dei piccoli e poverissimi Paesi dell’America Centrale. È un problema antico e difficile, ma reso più acuto dai mutamenti che cominciano ad essere realizzati dall’amministrazione Trump nel tentativo (qualcuno dice “con la scusa”) di migliorare o rendere meno costosa, la legislazione approvata durante la presidenza di Barack Obama. Era stata un’idea molto umanitaria e cercava di proteggere almeno una parte dei migranti, quei bambini che altrove, o anche qui, sono nell’età dell’asilo, in alternativa con le braccia materne.

Era in origine un’idea umanitaria: un “privilegio” per i piccoli per evitare di loro di essere temporaneamente “imprigionati” al momento in cui gli immigranti presentano i loro documenti, ben pochi dei quali in questo momento consentono loro di entrare tranquillamente nella Terra Promessa della ricchezza americana uscendo dalla tenebra della miseria “latina”. Verranno, pare dica la legge, temporaneamente trattenuti mentre i loro babbi, ma soprattutto mamme, regolano la propria collocazione nella burocrazia Usa, diventata più rigida dalla “controriforma” di Trump. Fra le severità ricercate e le imperfezioni di fatto, tanti bambini si trovano a un certo punto lontani dalle madri amorose e troppo vicini ai poliziotti e alle pratiche amministrative di quella che i genitori intendevano fossero ammessi oggi come ospiti e domani come cittadini Usa. La “burocrazia di frontiera” è sempre più complicata dalla ricerca di una soluzione di compromesso, che nei fatti sta diventando una sorta di purgatorio senza uscita. L’opposizione democratica ha trovato ben presto una terminologia imperfetta ma risonante: “Bambini strappati alla mamma e rinchiusi in campi di concentramento”. La Casa Bianca e i suoi sostenitori repubblicani naturalmente negano e affermano invece che la lentezza delle operazioni è dovuta in primo luogo alla necessità di una maggiore cautela dell’immigrazione, da correggere in conseguenza dei “pasticci” causati dalla precedente “soluzione” della legislazione Obama e dai suoi intenti umanitari, che deve essere rivista in armonia con l’intento proclamato e prevalente di una “tolleranza zero”. In pratica, questo significa che, giunti alla frontiera con il Texas o la California, i bambini vengono separati dai genitori non per qualche ora ma per diversi giorni se non settimane. Il risultato è evidentemente l’allarme e la disperazione dei figli e soprattutto delle madri. Una situazione che, ormai a conoscenza di tutti, non manca di creare difficoltà non solo alle guardie di frontiera ma alla stessa Casa Bianca; tanto più che fino adesso non si è trovata una soluzione più pratica di sistemare i piccoli in “campi di transito”, in cui essi perdono le tracce dei genitori.

A questo punto il “fronte” umanitario ha “aperto il fuoco” rivolgendosi all’opinione pubblica, cioè a tutti gli americani denunciando una “politica” di detenzione e di “concentramento” che imita la pratica dei Paesi più arretrati nel campo dei diritti civili e risveglia ricordi anche europei che si supponeva dimenticati in un’economia mondiale molto migliorata nel suo complesso. La protesta ha questa volta trovato una Voce: la moglie di un presidente. Un ex presidente, naturalmente: Laura Bush, consorte dell’ultimo presidente repubblicano prima di Trump, una “Prima Signora”. Laura Bush è “erede” dell’ultimo presidente della “dinastia”, che ha lasciato un’eredità di intransigenza e aggressività, interamente dovuta alle operazioni militari in Irak, come difesa e rappresaglia contro il terrorismo, condotte con una spedizione in grande stile, quella che in pratica fallì e macchiò la “pagella” di un presidente, George Bush, rimasto nei libri di storia come l’antidoto alla gestione meditata e serena del Bush precedente.

La sposa di quest’ultimo, Barbara, era conosciuta per una sua certa durezza, ma Laura finora non si era espressa in proposito. Lo ha fatto adesso e ha trovato subito una risposta e una “alleata”: Melania Trump, che anche in altri campi si sta a poco a poco distinguendo dal marito anche per le sue preoccupazioni umanitarie. Il suo messaggio dice: “L’America è un Paese in cui si seguono le leggi, ma anche un Paese che governi con un cuore. Le conseguenze che tutti lamentano sono anche il risultato di una legge scritta da democratici, che avevano proclamato una tolleranza zero”. Laura Bush è andata oltre, affermando e lamentando che “questa intolleranza è una politica crudele, immorale e che spezza il mio cuore”. Nella disputa è entrato anche un uomo, un ex presidente, Bill Clinton: “Questi bambini non devono essere uno strumento negoziale. Vanno riuniti alle loro famiglie e ricostituire così il volto umanitario dell’America”. Non poteva mancare la sua sposa, Hillary, che ha aggiunto al messaggio di Bill una sola parola: “Sì!”. Trump non ha ancora risposto in persona, abbandonando per questa volta la sua abitudine.



Per fortuna ci sono le Mogli


Former first lady Laura Bush criticizes the separation of migrant children from their parents






The Washington Post
Laura Bush is a former first lady of the United States.

"On Sunday, a day we as a nation set aside to honor fathers and the bonds of family, I was among the millions of Americans who watched images of children who have been torn from their parents. In the six weeks between April 19 and May 31, the Department of Homeland Security has sent nearly 2,000 children to mass detention centers or foster care. More than 100 of these children are younger than 4 years old. The reason for these separations is a zero-tolerance policy for their parents, who are accused of illegally crossing our borders.
I live in a border state. I appreciate the need to enforce and protect our international boundaries, but this zero-tolerance policy is cruel. It is immoral. And it breaks my heart.
Our government should not be in the business of warehousing children in converted box stores or making plans to place them in tent cities in the desert outside of El Paso. These images are eerily reminiscent of the Japanese American internment camps of World War II, now considered to have been one of the most shameful episodes in U.S. history. We also know that this treatment inflicts trauma; interned Japanese have been two times as likely to suffer cardiovascular disease or die prematurely than those who were not interned.
Americans pride ourselves on being a moral nation, on being the nation that sends humanitarian relief to places devastated by natural disasters or famine or war. We pride ourselves on believing that people should be seen for the content of their character, not the color of their skin. We pride ourselves on acceptance. If we are truly that country, then it is our obligation to reunite these detained children with their parents — and to stop separating parents and children in the first place.
People on all sides agree that our immigration system isn’t working, but the injustice of zero tolerance is not the answer. I moved away from Washington almost a decade ago, but I know there are good people at all levels of government Americans pride ourselves on being a moral nation, on being the nation that sends humanitarian relief to places devastated by natural disasters or famine or war. We pride ourselves on believing that people should be seen for the content of their character, not the color of their skin. We pride ourselves on acceptance. If we are truly that country, then it is our obligation to reunite these detained children with their parents — and to stop separating parents and children in the first place.
People on all sides agree that our immigration system isn’t working, but the injustice of zero tolerance is not the answer. I moved away from Washington almost a decade ago, but I know there are good people at all levels of government who can do better to fix this.
Recently, Colleen Kraft, who heads the American Academy of Pediatrics, visited a shelter run by the U.S. Office of Refugee Resettlement. She reported that while there were beds, toys, crayons, a playground and diaper changes, the people working at the shelter had been instructed not to pick up or touch the children to comfort them. Imagine not being able to pick up a child who is not yet out of diapers.
Twenty-nine years ago, my mother-in-law, Barbara Bush, visited Grandma’s House, a home for children with HIV/AIDS in Washington. Back then, at the height of the HIV/AIDS crisis, the disease was a death sentence, and most babies born with it were considered “untouchables.” During her visit, Barbara — who was the first lady at the time — picked up a fussy, dying baby named Donovan and snuggled him against her shoulder to soothe him. My mother-in-law never viewed her embrace of that fragile child as courageous. She simply saw it as the right thing to do in a world that can be arbitrary, unkind and even cruel. She, who after the death of her 3-year-old daughter knew what it was to lose a child, believed that every child is deserving of human kindness, compassion and love.
In 2018, can we not as a nation find a kinder, more compassionate and more moral answer to this current crisis? I, for one, believe we can." 
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Melania Trump weighs in on border separations

Dichiarazione di Melania Trump attraverso la sua portavoce:

“Mrs. Trump hates to see children separated from their families and hopes both sides of the aisle can finally come together to achieve successful immigration reform," according to a statement from her spokeswoman. "She believes we need to be a country that follows all laws, but also a country that governs with heart.”