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Tesla Modello S: il futuro e' oggi



L'altra sera e' venuto a cena da noi Mark, comandante di una importante linea aerea americana con la sua splendida consorte.

Mentre attendevamo l'arrivo di altri ospiti in ritardo il discorso e' caduto sul recente acquisto di una Tesla Modello S.

Mark e' un veterano delle Tesla auto completamente elettriche create da quel genio che risponde al nome di Elon Musk, un quarantenne che al suo attivo ha l'ideazione di Pay Pal, Tesla, e Space X azienda che produce razzi che vende alla NASA per il collegamento con la stazione spaziale.

Mark, visto che gli altri commensali non arrivavano, ha invitato il sottoscritto e Ali, noto medico, a provare la sua nuova auto.

Il vostro redattore si e' inserito nel posto passeggero rinunciando alla generosa offerta di Mark di provare direttamente la sua fiammante vettura del costo di 130mila dollari.

Ci ha esposto tutte le funzioni di questa macchina che vanno dalla guida autonoma su autostrada con relativi sorpassi, alla gestione di velocita' e freno in automatismo. E molto altro ancora, ma chi se lo ricorda?!

Ovviamente gli abbiamo posto la domanda cruciale che fa indignare i proprietari di macchine totalmente elettriche: autonomia e ricariche.

Mark ha premuto qualche tasto ipotizzando un viaggio da Washington a Miami e sullo schermo sono apparse le stazioni di ricarica lungo il percorso con i minuti necessari per completare l'operazione (15-20-30). Il tutto assolutamente gratis con un'autonomia di 426 chilometri.

Poi ci siamo mossi e sulla Foxhall, strada nobile di Washington infestata da telecamere della polizia, Mark ha raccomandato ad Ali che sedeva dietro di appoggiarsi allo schienale ed ha premuto l'acceleratore.

Siamo stati schiacciati all'indietro dalla velocita' senza alcun stridio delle gomme.

Un paio di cento metri ma bastavano per capire che questa automobile del 'futuro-presente' raggiunge la stessa velocita' di una Ferrari sui cento KM all'ora: 2.8 secondi.

Il tutto nel piu' assoluto silenzio.


Nuova era per il preservativo?


Esiste da oltre ottant’anni, e in tutto questo tempo il miglior complimento che abbia mai ricevuto è: «non mi dà poi così fastidio». Il profilattico non piace a nessuno: è scomodo, imbarazzante, costoso. Allo stesso tempo, però, è anche indispensabile per proteggersi dalle malattie sessualmente trasmissibili. E, dati alla mano, questo lo sappiamo bene, anche grazie a decenni di campagne di sensibilizzazione. Eppure il condom continua a essere un ospite sgradito nella camera da letto degli italiani. Secondo la Federazione di Sessuologia Scientifica, nel nostro Paese solo il 39 per cento degli uomini e il 45 per cento delle donne preferisce il profilattico ad altri anticoncezionali. E, stando ai dati raccolti da Durex, nel 2012 solo il 14 per cento degli italiani ne ha usato uno durante ogni rapporto. La ragione? È semplice, almeno per il 45 per cento degli uomini: il condom riduce il piacere. La buona notizia è che la tecnologia potrebbe risolvere il problema. Quella cattiva è che questo potrebbe non bastare.
  TUTTO QUELLO CHE NON CI PIACE DEI PROFILATTICI
Oggi come oggi, la stragrande maggioranza dei preservativi venduti e utilizzati in Italia sono in lattice, un materiale che ha pro e contro: protegge da malattie e gravidanze indesiderate nel 98 per cento dei casi, ma non trasmette bene il calore del corpo del partner, ha un odore sgradevole e, a detta di molti, rende il coito meno naturale. Un altro problema sono le taglie standardizzate. Nel 2010 un team di ricercatori americani ha chiesto a 436 uomini se l’ultimo preservativo di cui si erano serviti era comodo e il 44 per cento di loro ha risposto di no: a volte era troppo stretto, a volte troppo corto, a volte si sfilava. Non è una mera questione di comfort: chi si trova male con il condom è più propenso a rimuoverlo prima della fine del rapporto e a non volerlo usare in futuro. Insomma, per molti fare l’amore con il preservativo è come fare la doccia con l’impermeabile, magari della misura sbagliata. A nulla valgono i più recenti ritrovati dell’industria: condom colorati, profumati, ritardanti o extra-lubrificati. Il fatto è che dagli anni ‘30, quando è iniziata la produzione industriale dei preservativi srotolabili in lattice, di innovazioni sostanziali non se ne sono viste: il profilattico, da allora, è rimasto più o meno lo stesso. E la cosiddetta “condom compliance”, cioè la disponibilità a servirsene in modo sistematico, continua a essere bassa. Con buona pace degli spot e dell’educazione sessuale nelle scuole. Questo significa che sul mercato c’è ampio spazio per un prodotto migliore, e da parecchio tempo. La posta in gioco non è certo bassa: in Italia, nel 2014, sono stati venduti 83 milioni di profilattici, per un totale di 77 milioni di euro.
    UNA NUOVA GENERAZIONE DI PRESERVATIVI
Le idee, questo è chiaro, non mancano. Nel 2013 la Bill & Melinda Gates Foundation ha lanciato un bando per finanziare una «Nuova generazione di condom». Da allora ha attribuito 100.000 dollari di fondi a 22 prototipi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Australia, dal Sud Africa all’India. Il preservativo del futuro potrebbe essere tra loro. Ma sarà poi tanto diverso da quelli che già conosciamo? Danny Resnic, uno dei primi vincitori del bando Gates, è abituato a questa domanda: «Mi sento spesso dire cose del tipo: “Cosa si potrà mai cambiare nei profilattici?”. La gente non riesce a immaginare nulla di nuovo perché non c’è mai stato niente di nuovo». La sua idea di profilattico del futuro si chiama “Origami Condom”, potrebbe arrivare sul mercato americano già alla fine del 2015 e non somiglia a nessun altro preservativo al mondo. Tanto per cominciare, non si srotola: si apre a fisarmonica. E poi è lubrificato internamente e anziché stringere il pene lo lascia libero di muoversi dentro la membrana in lattice, per riprodurre la sensazione di un coito naturale. Resnic ha in cantiere anche un modello interno, da inserire nella vagina o nell’ano prima del coito. Il 67 per cento delle persone che lo hanno testato, nel 2013, ha dichiarato di preferirlo al classico preservativo femminile.

E SE IL FUTURO FOSSE DEI PRESERVATIVI NON IN LATTICE?
Se gli Origami Condom vogliono cambiare tutto, c’è chi si accontenterebbe di cambiare il materiale. E non è cosa da poco. Il lattice è il re quasi incontrastato del mondo dei preservativi da quando l’Hiv ha indotto le istituzioni sanitarie di tutto il mondo a regolamentare in modo più stringente i profilattici. Alla fine degli anni ‘80, una serie di test condotti prima negli Stati Uniti e poi in Europa ha stabilito che il lattice, all’epoca, schermava dalle infezioni sessualmente trasmissibili meglio di qualunque altro materiale. Da allora non c’è stata nessuna vera novità, se non nel comparto “no latex” destinato soprattutto a chi è allergico alla gomma naturale. La sfida è quella di cambiare le carte in tavola servendosi di un materiale completamente diverso. Mark McGlothlin, dell’Apex Medical Technologies di San Diego, punta sul collagene ricavato da tessuti animali di scarto: resistente, ultrasottile e in grado di trasmettere il calore. In India, invece, il dottor Ragupathy di HLL Lifecare sta sperimentando con il grafene, uno dei materiali più resistenti al mondo. Il team guidato da Robert Gorkin dell’Università di Wollongong, in Australia, cerca di produrre un profilattico in idrogel, che oltre ad essere sottile e a trasmettere il calore del partner è anche biodegradabile. «I nostri preservativi non sono ancora pronti per i test di utilizzo veri e propri - spiega il professor Gorkin - ma abbiamo già fatto dei sondaggi sul gradimento del materiale e i primi risultati sono positivi: la maggior parte delle persone si è detta convinta dall’idrogel, che al tatto piace anche più del lattice».
  
DAL LABORATORIO ALLO SCAFFALE: UN LUNGO PERCORSO A OSTACOLI
Tutti i profilattici selezionati dalla Gates Foundation negli ultimi due anni promettono grandi cose. Ma nella maggior parte dei casi si tratta di prototipi che non arriveranno sul mercato in tempi rapidi: anche quando saranno stati perfezionati in laboratorio, prima di poter essere venduti dovranno essere approvati dagli organismi competenti. Nell’Unione Europea, una direttiva classifica i profilattici come dispositivi medici e stabilisce che possono essere commercializzati solo se ottengono il marchio CE da parte di appositi enti notificati. Per averlo, bisogna dimostrare che il materiale utilizzato è biocompatibile, idoneo a schermare dalle malattie e capace di impedire gravidanze indesiderate. Non solo, i profilattici devono essere sottoposti a test di utilizzo, cioè trial clinici controllati in cui a delle coppie viene chiesto di utilizzarli e di riportare eventuali incidenti, come rotture o fastidi. Infine, ci sono le prove fisiche. I preservativi devono passare a pieni voti ben tre test: quello elettrico; l’«air bust», in cui vengono gonfiati con aria, e infine il «rolled water», che serve per verificare se ci sono fori. L’iter è lungo - dura almeno due anni - e non certo a buon mercato: i test necessari per ottenere il marchio CE costano decine di migliaia di euro. E se i nuovi modelli dei classici condom srotolabili in lattice non incontrano particolari difficoltà, la strada di quelli che si smarcano da questa formula è tutta in salita.

NON SOLO LATEX
Nell’attesa, chi ha sempre detestato i condom può dare una chance a quelli no latex, che raccolgono sempre più consensi anche da parte di chi non ha problemi di allergie: nel 2014, in Italia, mentre il valore delle vendite dei profilattici in lattice è calato del 5 per cento, quello dei concorrenti in altri materiali ha segnato un 30 per cento in più. Tra questi prodotti nel nostro Paese domina “Skyn”, il condom in poliisoprene prodotto da Ansell. Stando al sito ufficiale del marchio, questo profilattico assicura «una sensazione vicina a non indossare niente». In realtà da un punto di vista chimico il poliisoprene somiglia tantissimo al lattice: ha le sue stesse virtù e i suoi stessi difetti, con il vantaggio di essere anallergico. Diverso è il caso del poliuretano, che con il lattice non ha nulla a che fare: anche se al tatto non è granché, i preservativi realizzati in questo materiale sono più sottili e trasmettono meglio il calore. Nel corso degli anni diversi studi hanno rilevato che percentuali significative di uomini li preferiscono a quelli in lattice. Attenzione, però: i condom in poliuretano si rompono un po’ più facilmente, quindi ci vuole maggiore cautela nell’indossarli. Un’altra ipotesi è provare a cambiare il proprio rapporto con i profilattici puntando a una variabile diversa dal materiale: la misura.
  
QUESTIONE DI TAGLIA
Quando si tratta di preservativi, le dimensioni contano eccome: trovare il condom più adatto al proprio pene può fare la differenza. Ma, proprio come avviene per i numeri di scarpa, a volte quello che c’è sullo scaffale ci calza, ma non è perfetto: il 38 va bene, ma un 38 e mezzo sarebbe stato meglio; la lunghezza è giusta, ma se questo modello fosse un po’ meno stretto saremmo più comodi e così via. I profilattici disponibili in Italia coprono diverse taglie, ma sono standardizzate: il modello XL di Control, ad esempio, è largo 57 millimetri e lungo 195; ma cosa succede se un uomo ha bisogno di un profilattico della stessa larghezza ma un po’ meno lungo? Il problema è noto da tempo, e negli ultimi anni qualche azienda è riuscita a trasformarlo in un’opportunità. In Italia è possibile acquistare online i profilattici “MySize”, disponibili in 7 taglie diverse. Ma c’è anche chi si è spinto un po’ più in là: il marchio britannico “TheyFit” ne commercializza ben 95, che combinano larghezze e lunghezze diverse per andare incontro alle esigenze particolari di ogni uomo. Come si fa a sapere la propria taglia? Con un kit stampabile che si può scaricare dal sito e che permette di stabilire se si è una B55 o una S17 nella privacy della propria casa. Poi basta ordinarli online: i TheyFit arrivano in un pacco anonimo. Il problema è sempre il prezzo: anche loro costano un po’ di più dei profilattici delle grandi marche (anche se la differenza scende se si acquistano confezioni grandi).

SCHERZARE COL FUOCO SAPENDO DI FARLO
Senza profilattico, ci si espone al rischio di contrarre clamidia ed herpes, ma anche sifilide, gonorrea, Hiv: in tutta Europa le malattie sessualmente trasmissibili sono in crescita. Le infezioni di gonorrea hanno segnato un +79 per cento dal 2008 al 2013, e in molti Paesi dell’Europa occidentale le diagnosi di sifilide sono aumentate del 50 per cento. In Italia, oggi, ogni 10 nuove infezioni di Hiv, più di 8 sono state causate da un rapporto non protetto. Che senza preservativo si corrano dei rischi non è cosa nuova: il problema non è la mancanza di informazione, ma il fatto che anche chi conosce la teoria continua a scegliere di rischiare. Il dato più preoccupante è quello relativo ai giovani, come dimostra un’indagine del 2013 sulle abitudini di 664 studenti del Nord Italia. Tra questi, chi ha partecipato a lezioni di educazione sessuale è più informato sui rischi che derivano dai rapporti non protetti, ma tra le lenzuola non si comporta diversamente dagli altri.
  
EDUCARE ALLA PREVENZIONE
«Il problema è il passaggio dalla conoscenza alla consapevolezza», dice la dottoressa Roberta Rossi, presidente della Società Italiana di Sessuologia Scientifica. Secondo lei nel nostro Paese si continua a fare sesso senza protezioni perché il modello su cui si basano le campagne mediatiche e l’educazione sessuale nelle scuole è quello informativo, che da solo non è sufficiente. «È un po’ come avviene per il fumo - spiega - sappiamo tutti che fa male, ma questo non basta per riuscire a smettere. L’educazione sessuale deve riuscire a coinvolgere non solo il livello cognitivo, ma anche l’emotività: per questo diciamo che ci vuole un approccio olistico alla questione della prevenzione». Ma è vero che il preservativo riduce il piacere? «Il mio consiglio è sempre quello di non arrendersi al primo tentativo: bisogna provare diversi tipi di condom per trovare quello più adatto, e con il modello giusto le sensazioni migliorano». Il piacere, però, non è l’unica variabile quando si tratta di scegliere se usarlo oppure no. «A volte a fare la differenza è più che altro il fattore emotivo: in molti casi chi insiste per usare il preservativo viene accusato dal partner di non fidarsi abbastanza o di sospettare della sua fedeltà. Il ricatto emotivo che ne deriva spinge tanti a rinunciare agli iniziali buoni propositi e a non proteggersi durante i rapporti». Quindi è inutile sviluppare preservativi migliori? «Al contrario, anche se non è sufficiente è comunque importante cercare di andare incontro al gradimento delle persone: se un preservativo piace, anziché dare fastidio, verrà usato più spesso e più volentieri». E da una cosa del genere avremmo tutti da guadagnarci. 

Polonia e Ucraina erano, forse sono tuttora....



Alberto Pasolini Zanelli
La Polonia e l’Ucraina erano, forse sono tuttora, i due Paesi più affratellati d’Europa. Al punto da confondere i propri destini e, qualche volta, le proprie scelte. Polonia e Ucraina, questa volta, si sono comportate da sorelle che prendono strade apparentemente opposte, obbedendo ad impulsi analoghi. Non è propriamente un caso che siano andati alle urne lo stesso giorno, intera la prima nella sua orgogliosa sovranità, frantumata la seconda nella lotta per mantenerla ora che è di nuovo minacciata. Varsavia rinnovava il Parlamento, Kiev la sua forma analoga e abnorme. I polacchi avevano oscillato nelle loro scelte, dopo il recupero dell’indipendenza da un dominio di Mosca che non era stato soltanto quello sovietico ma si estendeva all’indietro fino a una conquista russa risalente agli anni precedente alla Rivoluzione Francese. L’Ucraina l’indipendenza e la sovranità non le aveva in pratica mai godute in pace, se non durante qualche guerra civile. In forme diverse, erano rimaste nel ventre di Mosca, zarista o comunista. Su di lei si erano abbattute rivolte e repressioni. Fino il giorno del miracolo, al crollo dell’Impero sovietico, all’occasione nazionale. E Varsavia era ridiventata capitale di frontiera, ma non più sola come negli anni fra le due guerre, bensì antemurale dell’alleanza militare almeno teoricamente più potente della storia del mondo con l’America e l’Europa alle spalle.
Doveva essere abbastanza per tenere a freno la Russia, ma così non è accaduto. Da entrambe le parti dell’ex Muro si è giocato probabilmente troppo al rialzo, ciò cui ha contribuito il “revanscismo” prevalentemente propagandistico di Vladimir Putin e da parte occidentale la tentazione di continuare la Guerra Fredda o almeno ad assorbirne i frutti. Così si è parlato di installazioni di missili e di altre forme di riarmo in connessione con la crisi siriana ma anche e soprattutto, su scala minore ma molto più “intima”, di quella in Ucraina. Che è più complicata, se si vuole, ma anche per ora sotto un maggiore controllo. L’Occidente è più compatto in tale contesto che non nel Medio Oriente, ma è tuttavia divisibile fra visione americana e una europea. L’Europa predilige quasi sempre i compromessi, anche e soprattutto quando il gioco delle forze e delle aspirazioni è particolarmente complesso. È così che una nazione come la Polonia, fra le più compatte d’Europa come sentimenti, si trova ad essere perfino lei divisa da contrasti tattici. Che la portano, a differenza che su posizioni tradizionalmente concilianti, a una dura dialettica contraddittoria: dieci anni fa Varsavia fu conquistata e retta dall’estrema destra. Poi venne una oscillazione in senso moderato, quasi centrista. Adesso, quando si è tornati a fare i conti, il tentativo di Ewa Kopacz all’insegna del “semplice buon senso di una donna polacca”, ha trovato i suoi limiti e l’estrema destra ha avuto la sua rivincita in misura compatta e indiscutibile. Aumenteranno dunque le pressioni da Varsavia per un rafforzamento militare nell’area e nei Paesi direttamente confinanti, soprattutto l’Ucraina ma anche la Lituania: le regioni prese in esame già anni fa sotto la presidenza Bush per l’installazioni di missili antimissile teoricamente giustificati con un pericolo di attacco improbabilmente diretto dell’Iran nell’area baltica.
Il voto contemporaneo degli ucraini è stato meno compatto e più solcato da preoccupazioni anche contraddittorie. I polacchi hanno votato quasi tutti uguali da Varsavia a Lublino, da Cracovia a Lodz. Gli ucraini hanno “confessato” anche nell’immettere la scheda nell’urna di essere diversi. I più hanno scelto nelle aree critiche, quelle in cui da qualche tempo non si spara quasi più ma si potrebbe ricominciare in ogni momento, la via “moderata” o perfino savia dell’astensione, soprattutto su freschi campi di battaglia come Donetsk. I filorussi (che sono poi per prima cosa russofoni e poi definiti anche dall’identità religiosa) vi hanno mostrato comunque la propria forza. I nazionalisti ucraini, particolarmente attorno alla capitale Kiev, hanno seguito appassionatamente la linea nazionale. Le altre minoranze, alcune del mainstream come l’europeissima Leopoli, già austro-ungarica e soprattutto, forse esemplarmente, la poliglotta Odessa, capitale letteraria dell’Ucraina, fatta crescere per ordine di uno zar da coloni di tanti Paesi fra cui tanti italiani e tanti ebrei, guidata nei suoi primi passi da un governatore di nome francese quanto Richelieu e immortalata, in quel gioiello cinematografico di Eisenstein, La corazzata Potemkin, nell’angoscia della carrozzina di bimbo che rotola giù per la scala “rivoluzionaria”.
Pasolini.zanelli@gmail.com

L’Ultima Cena.

tradizioni, da <b>Caltanissetta</b> all’Expo la vara “L’<b>ultima</b> <b>cena</b> ...

 Rosario Amico Roxas

L’ultima Cena, una delle “vare” più simboliche che completa la teoria di “vare” che, a  loro volta, completano l’esposizione del Giovedì Santo di Caltanissetta, opera dei fratelli Biangardi, è andata a fare bella mostra di sé all’Expo di Milano. Potrà apparire paradossale che proprio
“L’Ultima cena” sia andata a rappresentare la nostra città all’Esposizione universale sull’alimentazione. Sembra proprio che quella cena  sia diventata una icona alimentare che andrebbe a mettersi in concorrenza con i vari prodotti alimentari che rappresentano degnamente le specialità italiane  e mondiali.
Ma quella cena rappresentata nella “vara” fu  tutta particolare, certamente non vocata a pubblicizzare  le pietanze che in quella occasione vennero servite, secondo la tradizione ebraica: agnello, erbe amare, pane e vino. Il transito dalla cena di Mosè, che anticipò il passaggio miracoloso del Mar Rosso, alla cena di Cristo segna una separazione netta nella spiritualità religiosa, al punto che, in parecchie occasioni, ho voluto identificare la cena di Cristo come “La prima cena del popolo cristiano”, quando Gesù fornì ai suoi seguaci la possibilità concreta e tangibile di “essere” in comunione con Dio, attraverso l’Eucarestia che in quella cena venne esaltata.
Sono le risultanze del sinodo che confortano una nuova e diversa strada per comprendere la dimensione spirituale  della Transustansazione, cioè della trasformazione del pane e del vino in corpo mistico e sangue
di Gesù, attraverso la Fede, che diventa un valore inalienabile.
Dal sinodo emerge una apertura che finora non era neppure intuibile, cioè di poter somministrare la particola della “Comunione” anche ai divorziati risposati, affidandone ai sacerdoti la discrezionalità.
Ciò significa che è superata l’affermazione che abbiamo usato circa il “fare la Comunione”, che diventa “essere in Comunione”, attraverso una manifestazione di Fede  che esclude la partecipazione esibizionistica per diventare la più alta manifestazione di Fede. Quanti, divorziati e risposati, andranno ad assumere la particola per mero esteriore esibizionismo, non faranno altro che ingurgitare un impasto di farina e acqua, commettendo anche un sacrilegio, perché solo la Fede permette a quella particola di generare una sintesi di Fede che nessuna altra religione concepisce.
In quella cena, che continuo ad identificare come “La Prima cena del popolo cristiano”, si è manifestata interamente la doppia natura di Gesù, con i suoi timori umani e con la testimonianza divina di Fede; tutto secondo la superiore volontà di Dio.
La “vara” dell’Ultima Cena” saprà esprimere ai visitatori il messaggio spirituale che porta con sé, ben al di fuori di una esibizione formale in una manifestazione internazionale sull’alimentazione ?


Hot dogs, bacon cause cancer, World Health Organization declares


hot dog with mustard and onions

The report by the influential group stakes out one of the most aggressive stances against meat yet taken by a major health organization, and it is expected to face stiff criticism in the United States.

I nuovi mestieri nella filiera della bellezza e della moda.



Exotic Swimsuit Models – Photo Gallery
Guido Colomba

Tre notizie simboleggiano la crescente "riscoperta" della cultura, della bellezza e dell'arte. La prima riguarda l'inaugurazione a Roma, dopo un mega restauro, del Palazzo della Civiltà all'Eur, uno dei simboli dell'architettura italiana del secolo scorso. La maison Fendi vi ha trasferito la propria sede e ha già organizzato una mostra, "Una nuova Roma", che resterà aperta fino al 7 marzo. Seguiranno altri eventi culturali per il quali è stato dedicato un intero piano. Il Palazzo a sei piani, conosciuto anche come Colosseo quadrato, fu inaugurato nel 1940 ma non fu mai utilizzato complice la seconda guerra mondiale. "Oggi, se dovessimo costruire un palazzo così, spenderemmo circa mezzo miliardo di euro" ha chiosato Pietro Beccari, ceo e presidente della maison del gruppo Lvmh. La seconda notizia si ricava dal portale "Fashionjobs" che segnala i nuovi mestieri generati dal mondo "fashion, bellezza e lusso". Ben 109 posizioni aperte per professioni ibride ripartite tra punti di vendita e attività on line. Una filiera nell'industria della bellezza che tende a promuovere il connubio con il retail e il mondo della comunicazione. Ed è interessante notare che le offerte spaziano dagli addetti alla vendita ai make up artist, dai contabili agli specialisti nel settore marketing, fino agli agenti di vendita sul territorio. Le aree più dinamiche sono due, il segmento marketing-prodotto e la comunicazione. Nel primo caso vengono preferiti laureati in economia con esperienza almeno biennale nel settore commerciale. Per la comunicazione digitale si ricercano persone per ricoprire posizioni corporate. La terza notizia riguarda la globalizzazione nel mondo degli artisti, delle gallerie e delle case d'asta. Si va affermando la corsa ai "lasciti" degli artisti. Per le gallerie gestire lo stock di opere di un artista rappresenta il nuovo orizzonte operativo. E' chiamata la guerra degli archivi poichè implica una collaborazione attiva con gli eredi dell'artista, dalla gestione materiale e morale del lascito dell'opera fino alla frequenza sul mercato (quante opere e a che prezzo). Basti pensare che l'eredità di Andy Warhol è stata valutata 510 milioni di dollari dopo la sua morte e le sue opere da allora hanno superato un miliardo di dollari nelle vendite all'asta. Ovviamente l'autenticatore gioca un ruolo chiave, che spesso rappresenta l'anello debole del settore. Di qui la nuova norma, proposta dallo Stato di New York e già approvata al Senato, per drenare le frequenti controversie. La proposta di riforma è stata sostenuta da importanti istituzioni come il MoMa, il Guggenheim, l'International Society of Appraisers, la New York State (and City) Bar Association. Un parterre de roy che indica l'importanza per gli investimenti finanziari in questo settore (dove sono ormai presenti da anni banche, fondi di investimento e fondi specializzati). Secondo gli addetti ai lavori, questa nuova disciplina fornisce per la prima volta a livello legislativo un esplicito riconoscimento a favore dell'autenticazione, sorretta da codici di autodisciplina e di autorevolezza deontologica destinata a proiettarsi sui grandi centri dell'arte sia in Europa che in Asia attraverso il mondo della comunicazione digitale.