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Il fratellastro di Obama in carcere per droga

Obama's half brother arrested on charge of marijuana possession
George Obama, half brother of President Obama, arrested for drug charge
George Obama denies allegations
In memoir, Barack Obama described meeting half-brother as "painful affair"
From David McKenzie
CNN
NAIROBI, Kenya (CNN) -- George Obama, the half brother of U.S. President Barack Obama, has been arrested by Kenyan police on a charge of possession of marijuana, police said Saturday.

Inspector Augustine Mutembei, the officer in charge, said Obama was arrested on charges of possession of cannabis, known in Kenya as Bhang, and resisting arrest. He is scheduled to appear in court Monday, Mutembei said.

He is being held at Huruma police post in the capital of Nairobi.

CNN Correspondent David McKenzie talked with George Obama at the jail where he is being held. Speaking from behind bars, Obama denied the allegations.

"They took me from my home," he said, "I don't know why they are charging me."

George Obama and the president barely know each other, though they have met before. George Obama was one of the president's few close relatives who did not go to the inauguration in Washington last week.

In his memoir, "Dreams from My Father," Barack Obama describes meeting George as a "painful affair." Barack Obama's trip to Kenya meant meeting family he had never known.

McKenzie tracked down George Obama in August 2008 and found him at a small house in Huruma, a Nairobi slum, where he lives with his mother's extended family. His birth certificate shows he is Barack Obama's half brother.

The two men share the same Kenyan father. In the memoir, Barack Obama struggles to reconcile with his father after he left him and his mother when he was just a child.

Barack Obama Sr. died in a car accident when George was just 6 months old. Like his half brother, George hardly knew his father.

George was his father's last child and had not been aware of his famous half brother until he rose to prominence in the Democratic primaries last year.

Unlike his grandmother in Kogela, in western Kenya, George Obama had received little attention from the media until reports about him surfaced in August 2008.

The reports sprung from an Italian Vanity Fair article saying George Obama lived in a shack and was "earning less than a dollar a day." Those reports left George Obama angry.

"I was brought up well. I live well even now," he said. "The magazines, they have exaggerated everything.

"I think I kind of like it here. There are some challenges, but maybe it is just like where you come from, there are the same challenges," Obama said.

Obama, who is in his mid-20s, said at the time that he was learning to become a mechanic and was active in youth groups in Huruma. He said he tried to help the community as much as he can.

Seimila nuovi cittadini americani a Los Angeles


La lettera parla chiaro: la cermonia del giuramento comincia alle 13. Percio' e' meglio arrivare prima. 

Ammaestrato dall'esperienza della mia 'naturalizzazione' sette anni fa a Washington (eravamo in ottanta  nell'aula della seconda sezione della Corte d'appello federale) dico a mio figlio (candidato per ricevere la cittadinanza americana) che basta arrivare dieci minuti prima. Scuote la testa. "Prima di tutto bisogna andare in downtown e questa e' una delle varie ore di punta a Los Angeles. In secondo luogo credo che saremo almeno un centinaio.", mi dice. 

Arriviamo nei pressi del Convention Center. Sulla destra ci sono ampie zone di parcheggio con uomini ad ogni varco che agitano delle bandiere rosse per invitare i candidati e familiari ed amici ad entrare. Tariffa flat 15 dollari da pagare subito.

Si parcheggia e ci dirigiamo verso il centro congressi. Fuori un serpentone articolato di migliaia di persone gia' in attesa di entrare. Sotto il sole che rende quasi grottesca questa fine di gennaio (soprattutto se uno pensa allo snow storm che affligge da giorni il Nord Est) immersi nella folla multietnica ci muoviamo celermente verso l'ingresso. 

Nella grande hall due cartelloni con le scritte: candidati, ospiti. E cosi' vengo separato da mio figlio  e mi avvio verso il recinto degli ospiti le cui sedie sono in gran parte gia' occupate da persone venute chissa' a che ora.

Quanto ai candidati, inseriti in un altro serpentone, sfilano fino a che raggiungono qualcuna delle centinaia di postazioni addossate alla parete sinistra dell'enorme aula del Convention Center. 

Ognuno deve presentare la propria carta verde, come invitano gli altoparlanti e gli verra' consegnato il certificato di naturalizzazione che non deve essere firmato fino a che la cerimonia non sara' completata.Blockquote

Sono le una e 45 e finalmente i candidati hanno trovato il proprio posto a sedere. Un giudice donna, toga nera regolamentare, si avvia al microfono. E spiega ai 5996 (si', avete letto bene!) candidati che cosa significa essere cittadino americano, quali sono i dritti e i doveri di ogni candidato che porta in questa nazione-continente usi, costumi e tradizioni culturali della propria nazione di origine. Di quattro soldati, appena rientrati dall'Afghanistan e dall'Iraq viene letto il nome. Anche loro stanno per diventare cittadini americani. 

Viene letto il giuramento che i quasi seimila ripetono paragrafo per paragrafo. Poi tutti in piedi candidati e ospiti a recitare il 'pledge of allegiance', la dichiarazione di fedelta' alla Bandiera.

I pledge allegiance to the flag 
of the United States of America
and to the Republic for which it stands 
one nation under God,
indivisible,
with liberty and justice for all.

Fa ridere gli italiani molti dei quali sulla bandiera tricolore ci sputano. Ma qui in America la bandiera a stelle strisce e' il simbolo dell'unita' nazionale, il collante di tante genti dalla pelle di colore diverso, di tradizioni, religioni, ateismi diversi. Ma un solo popolo, soprattutto quando si tratta di reagire alle aggressioni, alle tragedie nazionali, allo sconforto generalizzato per i guasti dell'economia causati dall'insipienza di chi governa.

Viene proiettato un breve filmato commentato da una splendida canzone su gli USA e la cerimonia si chiude in un tripudio di battimani, gridolini e sventolio di bandiere. 

I seimila nuovi cittadini si rimettono in fila ai vari banchi per ritirare le proprie carte e firmare ricevute.
Chiedo a Marco se sia soddisfatto di essere diventato cittadino sotto un presidente come Barack Obama che, si spera, rimettera' a posto le cose del mondo. 

"Ci sono presidenti buoni e presidenti cattivi", mi dice con aria molto seria. "Ma c'e' una sola patria: questa. Da oggi ne faccio parte a pieno titolo."

Rimango di stucco. Noi genitori ci accorgiamo all'improvviso che i nostri figli sono cresciuti.

 

Bipartisan, ma fino a un certo punto...

Il Presidente Obama sta cercando di essere coerente con quanto molte volte ha detto in campagna elettorale: "In momenti drammatici come questo occorre che vi sia una politica con decisioni adottate bipartisan". Ma, come si legge nell'inizio dell'articolo pubblicato da Politco.com (il blog di informazione politica piu' letto in America), i repubblicani non hanno intenzione di dare una mano al giovane presidente anche se formalmente ne apprezzano gli approcci iniziali. A sua volta Barack Obama avrebbe detto in piu' di un'occasione "Ho vinto!", sottolineando che, nonostante la sua buona volonta', andra' avanti per la sua strada forte della maggioranza parlamentare che ha conquistato, se i repubblicani dovessero iniziare uno sbarramento.


Fasci di luce contro i volatili

Trasmetto questo servizio da un Boeing 737 della Alaska Airlines in volo no stop da Washington a Los Angeles. Alaska Arlines, insieme alla australiana Qantas ha installato in via sperimentale un dispositivo luminoso applicato al carrello principale su alcuni dei suoi aerei. Nelle fasi di decollo e atterraggio questo sistema costituito da fari di grande potenza emette fasci luminosi pulsanti e di diverso colore che spaventano gli stormi di uccelli che dovessero trovarsi sulla traettoria del velivolo soprattutto nella delicata fase di decollo. Il miracoloso ammaraggio dello Airbus della Usair sullo Hudson River e il primo rapporto emesso dalla casa costruttrice dell'aereo che conferma la presenza di corpi dei volatili all'interno dei due motori, sono la dimostrazione che molti aeroporti in prossimita' del mare o di fiumi presentano il pericolo della possiblita' di impatto con gabbiani e anatre migranti. Secondo i portavoce della Qantas il dispositivo luminoso installato sugli aerei sta gia' dando risultati molto convincenti con riduzione del numero di collisioni tra i velivoli e gli stormi di volatili. 

Due terzi degli Americani approvano Obama

Poll: Two-Thirds Approve Of Obama's Job
WASHINGTON (AP) ―
Gallup Organization: Barack Obama is enjoying about a two-thirds approval rating for his first days as president, a poll released Saturday found.The Gallup Organization survey found 68 percent of Americans approve of Obama's performance as the nation's chief executive. That's a number near the high end for new presidents, but short of President John F. Kennedy's 72 percent in 1961.The poll also found that 12 percent in the survey disapprove of Obama's job performance, a typical number all presidents face after an election.Among presidents elected to their first term, Kennedy had the highest initial job approval rating, 72 percent, in Gallup polling three weeks after his inauguration. Next were Dwight Eisenhower with 68 percent approval and Jimmy Carter with 66 percent. Every other president elected to a first term since Eisenhower started office with at least majority job approval: Richard Nixon's 59 percent; Ronald Reagan's and George H.W. Bush's 51 percent; Bill Clinton's 58 percent and George W. Bush's 57 percent.Compared with his immediate predecessors, Obama faces fewer Americans who disapprove of his performance. Clinton faced 20 percent disapproval after taking office in 1993, and George W. Bush faced 25 percent disapproval after the Supreme Court delivered him the presidency in 2000.Gallup finds approval ratings improved after about 100 days in office for all recent elected presidents — except Carter and Clinton — as Americans became more familiar with their work.An Associated Press-GfK poll released last week showed Obama with a 74 percent approval during his transition.Obama was sworn in Tuesday. Gallup conducted telephone interviews of 1,591 adults Wednesday to Friday, which cover his first three days in office. The margin of sampling error is plus or minus 3 percentage points.

Eravamo un milione e ottocentomila....tutti entusiasti

Il giovane sindaco di Washington DC, Adrian Fenty, nero pallido come il presidente Obama, moglie bellissima, 38 anni, avvocato ed una carriera politica di tutto rispetto di fronte a se', ha detto che gli americani che hanno affollato il Mall il giorno della inauguration erano un milione e ottocentomila. Il che significa che sul prato che va da Capitol Hill al Lincoln Memorial si si e' adunata una massa di gente pari a tre volte gli abitanti della capitale degli Stati Uniti. L'affermazione del sindaco di Washington si basa sulle riprese dei satelliti e non puo' essere contestata. I giornali, soprattutto il Washington Post, sono pieni delle letteracce scritte da quelli che, pur avendo pagato a caro prezzo il biglietto silver per assistere seduti alla cerimonia, non hanno potuto entrare perche il sistema di sicurezza ha fallito su alcuni varchi. Alcune persone sono riuscite ad imbucarsi e questo ha messo in tilt tutto l'apparato sovraeccitato per il pericolo temuto di attentati. Altri hanno scritto lamentando che all'aeroporto Reagan le file di passeggeri al controllo di sicurezza erano interminabili e molti hanno perduto l'aereo ed hanno dovuto farsi rischedulare su altri voli. Comprendiamo il rammarico ed anche la rabbia di queste poche migliaia di cittadini che sono rimasti fuori del recinto dei posti a pagamento. Ma vista la mala parata avrebbero potuto unirsi alle altre centinaia di migliaia che stavano tranquillamente sul prato a seguire sui Jumbotrones la manifestazione. Oggi siamo andati sul Mall ed e' come se nulla fosse successo. Non una cartaccia per terra, le centinaia di gabinetti mobili spariti, altoparlanti e megaschermi rimessi nei magazzini. I servizi di assistenza hanno funzionato alla perfezione, il metro ha movimentato le centinaia di migliaia di turisti che avevano trovato alloggio in Virginia o in Maryland. Insomma, per farla breve: ancora una volta Washington ha dimostrato con i suoi dipartimenti ed il suo sindaco di saperci fare. C'e' un precedente che molti in Italia hanno voluto dimenticare. Quello della morte di Giovanni Paolo II e dei tremilioni di fedeli che invasero Roma e furono accolti con professionalita' e simpatia. Allora, una psicosi collettiva sollecitata dalla morte di un grande santo. Oggi, una psicosi collettiva determinata dalla voglia di rinascita e di riscatto di una nazione/continente.

Il discorso di Obama di fronte a 1.500mila persone

Questo e' il testo ufficiale del discorso del Presidente Obama in italiano. Come potrete vedere la traduzione e' un po' rozza, ma serve comunque per comprendere lo spirito e le emozioni di chi l'ha pronunciato con decisione e precisione di linguaggio in inglese.

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Concittadini, oggi sono qui di fronte a voi con umiltà di fronte all'incarico, grato per la fiducia che avete accordato, memore dei sacrifici sostenuti dai nostri antenati. Ringrazio il presidente Bush per il suo servizio alla nostra nazione, come anche per la generosità e la cooperazione che ha dimostrato durante questa transizione.

Sono quarantaquattro gli americani che hanno giurato come presidenti. Le parole sono state pronunciate nel corso di maree montanti di prosperità e in acque tranquille di pace. Ancora, il giuramento è stato pronunciato sotto un cielo denso di nuvole e tempeste furiose. In questi momenti, l'America va avanti non semplicemente per il livello o per la visione di coloro che ricoprono l'alto ufficio, ma perché noi, il popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati, e alla verità dei nostri documenti fondanti. Così è stato. Così deve essere con questa generazione di americani.

Che siamo nel mezzo della crisi ora è ben compreso. La nostra nazione è in guerra, contro una rete di vasta portata di violenza e odio. La nostra economia è duramente indebolita, in conseguenza dell'avidità e dell'irresponsabilità di alcuni, ma anche del nostro fallimento collettivo nel compiere scelte dure e preparare la nazione a una nuova era. Case sono andate perdute; posti di lavoro tagliati, attività chiuse. La nostra sanità è troppo costosa, le nostre scuole trascurano troppi; e ogni giorno aggiunge un'ulteriore prova del fatto che i modi in cui usiamo l'energia rafforzano i nostri avversari e minacciano il nostro pianeta.

Questi sono indicatori di crisi, soggetto di dati e di statistiche. Meno misurabile ma non meno profondo è l'inaridire della fiducia nella nostra terra: la fastidiosa paura che il declino dell'America sia inevitabile, e che la prossima generazione debba ridurre le proprie mire. Oggi vi dico che le sfide che affrontiamo sono reali. Sono serie e sono molte. Non saranno vinte facilmente o in un breve lasso di tempo. Ma sappi questo, America: saranno vinte. In questo giorno, ci riuniamo perché abbiamo scelto la speranza sulla paura, l'unità degli scopi sul conflitto e la discordia. In questo giorno, veniamo per proclamare la fine delle futili lagnanze e delle false promesse, delle recriminazioni e dei dogmi logori, che per troppo a lungo hanno strangolato la nostra politica.

Rimaniamo una nazione giovane, ma, nelle parole della Scrittura, il tempo è venuto di mettere da parte le cose infantili. Il tempo è venuto di riaffermare il nostro spirito durevole; di scegliere la nostra storia migliore; di riportare a nuovo quel prezioso regalo, quella nobile idea, passata di generazione in generazione: la promessa mandata del cielo che tutti sono uguali, tutti sono liberi, e tutti meritano una possibilità per conseguire pienamente la loro felicità.

Nel riaffermare la grandezza della nostra nazione, capiamo che la grandezza non va mai data per scontata. Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di scorciatoie o di ribassi. Non è stato un sentiero per i deboli di cuore, per chi preferisce l’ozio al lavoro, o cerca solo i piaceri delle ricchezze e della celebrità. E’ stato invece il percorso di chi corre rischi, di chi agisce, di chi fabbrica: alcuni celebrato ma più spesso uomini e donne oscuri nelle loro fatiche, che ci hanno portato in cima a un percorso lungo e faticoso verso la prosperità e la libertà.

Per noi hanno messo in valigia le poche cose che possedevano e hanno traversato gli oceani alla ricerca di una nuova vita.

Per noi hanno faticato nelle fabbriche e hanno colonizzato il West; hanno tollerato il morso della frusta e arato il duroterreno.

Per noi hanno combattuto e sono morti in posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn.

Ancora e ancora questi uomini e queste donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato fino ad avere le mani in sangue, perché noi potessimo avere un futuro migliore. Vedevano l’America come più grande delle somme delle nostre ambizioni individuali, più grande di tutte le differenze di nascita o censo o partigianeria.

Questo è il viaggio che continuiamo oggi. Rimaniamo il paese più prosperoso e più potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando la crisi è cominciata. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri beni e servizi non meno necessari della settimana scorsa o del mese scorso o dell’anno scorso. Le nostre capacità rimangono intatte. Ma il nostro tempo di stare fermi, di proteggere interessi meschini e rimandare le decisioni sgradevoli, quel tempo di sicuro è passato. A partire da oggi, dobbiamo tirarci su, rimetterci in piedi e ricominciare il lavoro di rifare l’America.

Perché ovunque guardiamo, c’è lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede azioni coraggiose e rapide, e noi agiremo: non solo per creare nuovi lavori ma per gettare le fondamenta della crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche, le linee digitali per nutrire il nostro commercio e legarci assieme. Ridaremo alla scienza il posto che le spetta di diritto e piegheremo le meraviglie della tecnologia per migliorare le cure sanitarie e abbassarne i costi. Metteremo le briglie al sole e ai venti e alla terra per rifornire le nostre vetture e alimentare le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole e i college e le università per soddisfare le esigenze di una nuova era. Tutto questo possiamo farlo. E tutto questo faremo.

Ci sono alcuni che mettono in dubbio l’ampiezza delle nostre ambizioni, che suggeriscono che il nostro sistema non può tollerare troppi piani grandiosi. Hanno la memoria corta. Perché hanno dimenticato quanto questo paese ha già fatto: quanto uomini e donne libere possono ottenere quando l’immaginazione si unisce a uno scopo comune, la necessità al coraggio.

Quello che i cinici non riescono a capire è che il terreno si è mosso sotto i loro piedi, che i diverbi politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non hanno più corso. La domanda che ci poniamo oggi non è se il nostro governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funziona: se aiuta le famiglie a trovare lavori con stipendi decenti, cure che possono permettersi, unapensione dignitosa. Quando la risposta è sì, intendiamo andareavanti. Quando la risposta è no, i programmi saranno interrotti. E quelli di noi che gestiscono i dollari pubblici saranno chiamati a renderne conto: a spendere saggiamente, a riformare le cattive abitudini, e fare il loro lavoro alla luce del solo, perché solo allora potremo restaurare la fiducia vitale fra un popolo e il suo governo.

Né la domanda è se il mercato sia una forza per il bene o per il male. Il suo potere di generare ricchezza e aumentare la libertànon conosce paragoni, ma questa crisi ci ha ricordato che senza occhi vigili, il mercato può andare fuori controllo, e che unpaese non può prosperare a lungo se favorisce solo i ricchi. Il successo della nostra economia non dipende solo dalle dimensioni del nostro prodotto interno lordo, ma dall’ampiezza della nostra prosperità, dalla nostra capacità di ampliare le opportunità a ogni cuore volonteroso, non per beneficenza ma perché è la via più sicura verso il bene comune.

Per quel che riguarda la nostra difesa comune, respingiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali. I Padri Fondatori, di fronte a pericoli che facciamo fatica a immaginare, prepararono un Carta che garantisse il rispetto della legge e i diritti dell’uomo, una Carta ampliata con il sangue versato da generazioni. Quegli ideali illuminano ancora il mondoe non vi rinunceremo in nome del bisogno. E a tutte le persone e i governi che oggi ci guardano, dalle capitali più grandi al piccolo villaggio in cui nacque mio padre, dico: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo, donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo pronti di nuovo a fare da guida.

Ricordate che le generazioni passate sconfissero il fascismo e il comunismo non solo con i carri armati e i missili, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Capirono che la nostra forza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare come ci pare. Al contrario, seppero che il potere cresce quando se ne fa un uso prudente; che la nostra sicurezza promana dal fatto che la nostra causa giusta, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità dell’umiltà e della moderazione.

Noi siamo i custodi di questa eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, possiamo affrontare quelle nuove minacce cherichiedono sforzi ancora maggiori - e ancora maggior cooperazione e comprensione fra le nazioni. Inizieremo a lasciare responsabilmente l’Iraq al suo popolo, e a forgiare una pace pagata a caro prezzo in Afghanistan. Insieme ai vecchi amici e agli ex nemici, lavoreremo senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e allontanare lo spettro di un pianeta surriscaldato. Non chiederemo scusa per la nostra maniera di vivere, né esiteremo a difenderla, e a coloro che cercano di ottenere i loro scopi attraverso il terrore e il massacro di persone innocenti, diciamo che il nostro spirito è più forte e non potrà essere spezzato. Non riuscirete a sopravviverci, e vi sconfiggeremo.

Perché sappiamo che il nostro multiforme retaggio è una forza, non una debolezza: siamo un Paese di cristiani, musulmani, ebrei e indù - e di non credenti; scolpiti da ogni lingua e cultura, provenienti da ogni angolo della terra. E dal momento che abbiamo provato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione razziale, per emergerne più forti e più uniti, non possiamo che credere che odii di lunga data un giorno scompariranno; che i confini delle tribù un giorno si dissolveranno; che mentre il mondo si va facendo più piccolo, la nostra comune umanità dovrà venire alla luce; e che l’America dovrà svolgere un suo ruolo nell’accogliere una nuova era di pace.

Al mondo islamico diciamo di voler cercare una nuova via di progresso, basato sull’interesse comune e sul reciproco rispetto. A quei dirigenti nel mondo che cercano di seminare la discordia, o di scaricare sull’Occidente la colpa dei mali delle loro società, diciamo: sappiate che il vostro popolo vi giudicherà in base a ciò che siete in grado di costruire, non di distruggere. A coloro che si aggrappano al potere grazie alla corruzione, all’inganno, alla repressione del dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata della Storia; ma che siamo disposti a tendere la mano se sarete disposti a sciogliere il pugno.

Ai popoli dei Paesi poveri, diciamo di volerci impegnare insieme a voi per far rendere le vostre fattorie e far scorrere acque pulita; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quei Paesi che come noi hanno la fortuna di godere di una relativa abbondanza, diciamo che non possiamo più permetterci di essere indifferenti verso la sofferenza fuori dai nostri confini; né possiamo consumare le risorse del pianeta senza pensare alle conseguenze. Perché il mondo è cambiato, e noi dobbiamo cambiare insieme al mondo.

Volgendo lo sguardo alla strada che si snoda davanti a noi, ricordiamo con umile gratitudine quei coraggiosi americani che in questo stesso momento pattugliano deserti e montagne lontane. Oggi hanno qualcosa da dirci, così come il sussurro che ci arriva lungo gli anni dagli eroi caduti che riposano ad Arlington: rendiamo loro onore non solo perché sono custodi della nostra libertà, ma perché rappresentano lo spirito di servizio, la volontà di trovare un significato in qualcosa che li trascende. Eppure in questo momento - un momento che segnerà una generazione - è precisamente questo spirito che deve animarci tutti.

Perché, per quanto il governo debba e possa fare, in definitiva sono la fede e la determinazione del popolo americano su cui questo Paese si appoggia. E’ la bontà di chi accoglie uno straniero quando le dighe si spezzano, l’altruismo degli operai che preferiscono lavorare meno che vedere un amico perdere il lavoro, a guidarci nelle nostre ore più scure. E’ il coraggio del pompiere che affronta una scala piena di fumo, ma anche la prontezza di un genitore a curare un bambino, che in ultima analisi decidono il nostro destino.

Le nostre sfide possono essere nuove, gli strumenti con cui le affrontiamo possono essere nuovi, ma i valori da cui dipende il nostro successo - il lavoro duro e l’onestà, il coraggio e il fair play, la tolleranza e la curiosità, la lealtà e il patriottismo - queste cose sono antiche. Queste cose sono vere. Sono state la quieta forza del progresso in tutta la nostra storia. Quello che serve è un ritorno a queste verità. Quello che ci è richiesto adesso è una nuova era di responsabilità - un riconoscimento, da parte di ogni americano, che abbiamo doveri verso noi stessi, verso la nazione e il mondo, doveri che non accettiamo a malincuore ma piuttosto afferriamo con gioia, saldi nella nozione che non c’è nulla di più soddisfacente per lo spirito, di più caratteristico della nostra anima, che dare tutto a un compito difficile.

Questo è il prezzo e la promessa della cittadinanza.

Questa è la fonte della nostra fiducia: la nozione che Dio ci chiama a forgiarci un destino incerto. Questo il significato della nostra libertà e del nostro credo: il motivo per cui uomini e donne e bambine di ogni razza e ogni fede possono unirsi in celebrazione attraverso questo splendido viale, e per cui un uomo il cui padre sessant’anni fa avrebbe potuto non essere servito al ristorante oggi può starvi davanti a pronunciare un giuramento sacro.

E allora segnamo questo giorno col ricordo di chi siamo e quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno della nascita dell’America, nel più freddo dei mesi, un drappello di patrioti si affollava vicino a fuochi morenti sulle rive di un fiume gelato. La capitale era abbandonata. Il nemico avanzava, la neve era macchiata di sangue. E nel momento in cui la nostra rivoluzione più era in dubbio, il padre della nostra nazione ordinò che queste parole fossero lette al popolo: “Che si dica al mondo futuro... Che nel profondo dell’inverno, quando nulla tranne la speranza e il coraggio potevano sopravvivere... Che la città e il paese, allarmati di fronte a un comune pericolo, vennero avanti a incontrarlo”.

America. Di fronte ai nostri comuni pericoli, in questo inverno delle nostre fatiche, ricordiamoci queste parole senza tempo. Con speranza e coraggio, affrontiamo una volta ancora le correnti gelide, e sopportiamo le tempeste che verranno. Che i figli dei nostri figli possano dire che quando fummo messi alla prova non ci tirammo indietro né inciampammo; e con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di Dio con noi, portammo avanti quel grande dono della libertà, e lo consegnammo intatto alle generazioni future.

Buon lavoro, Mr. President!

Ci sono voluti 650mila morti e la guerra civile per abolire la schiavitu' negli Stati Uniti.
Ci sono voluti i morti dell'odio razziale che ha fatto seguito alla carneficina domestica.
Ci sono volute le prevaricazioni di cui sono stati oggetto ancora per decenni i neri.Fino al sacrificio finale di Martin Luther King.
E non e' detta l'ultima parola, perche' in questa grande, bellissima Nazione sono purtroppo ancora molti quelli che credono nella supremacy della razza ariana, quelli che omogenizzano neri e ebrei nel loro odio.
Barack Obama riceve in eredita' un Paese in gravissima crisi. Per risollevarsi l'America avra' bisogno di anni, non di mesi. E di tanta energia ad ogni livello, da parte di tutti.
I due milioni di persone che hanno affollato il Mall e tutti quelli che seguivano negli altri stati della Confederazione l'imponente e toccante cerimonia del giuramento sanno che spetta ad ognuno di noi fare la propria parte.
Questa e' l'America e l'atmosfera che si respira e' totalmente diversa da quella di certi paesi europei dove sembra di vivere in una morta gora, senza voglia di rischiare, dove l'energia e' una parola sconosciuta, dove ci si eccita solo per il Grande Fratello, i culi e le tette delle veline che passa il convento televisivo.
Anche qui a Washington si incontrano italiani disincantati che sogghignano quando si parla di Obama e dicono che bisogna vedere cosa sapra' fare. E' la scoperta dell'acqua calda. Criticare, criticare e non fare. Sono gli altri che devono fare.
Auguri, giovane Presidente Obama.

PS: mentre Barack Obama entrava a Capitol Hill per il giuramento, mio figlio Max mi ha telefonato dicendomi che finalmente gli era stata consegnata dal consolato americano a Napoli la carta verde la cui pratica era stata iniziata dal sottoscritto sei anni fa.
Il 29 Marco, il mio secondogenito, giurera' a Los Angeles per la cittadinanza americana.
Chiedo scusa al Lettore per questa notazione di carattere personale.

Oscar

Lettere alla Letter

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Caro Geova che dovresti essere in ogni luogo ! Se esisti e sei perfetto come molti dicono ,mi spieghi perche esistono le malattie ?

geniodelmedioevo
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Caro Bartoli,

ho visto solo oggi la tua lettera aperta a Dio (in copia, naturalmente) e l'ho trovata bellissima e molto saggia.
Speriamo che tutti questi Dii ('dei' mi sembra un pò antica Roma o antica Grecia) si mettano finalmente d'accordo, almeno sulle grandi linee essenziali per la nostra sopravvivenza e la nostra pace.
Personalmente la valutazione di Bush la lascio alla storia.
Spero anche io in Obama che ha un compito difficilissimo, ma ha dalla sua l'entusiasmo ed è circondato da un grande entusiasmo. Per raddrizzare alcune cose che vanno male da tantissimi anni ci vorrebbero veramente dei miracoli. Speriamo che ce la faccia.

Salutoni

Kathia
Roma

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G.ssimo
Ho letto e poi asoltato il Suo messaggio a dio. Ce l'avrà l'internet? Per LUI niente dovrebbe essere difficile.....Sono residente in Belgio!), devo ringraziarLa. Da tempo Lei mi invia le lettere dall'AMERICA!!! Pero', lei Signor Oscar Bartoli scrive e parla l'italiano!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Com'è bella la nostra lingua. Il sardo è molto più difficile.
Torniamo a dio. Senza maiuscole.
Da tempo leggo le sue NL. Non ho tempo pero'...ho avuto il tempo di leggere INFRA. Non rispondo...perché il volontariato prende più tempo del lavoro rimunerato.
Mio figlio è mezzo sardo e mezzo belga e somiglia più a Obama che a un Vikingo.
Non posso credere che un dio qualsiasi sia al fianco dei nazisti; dei kamikase del tempo passato o odierni o altri pazzi.
Solo l'umano, o gli insetti e tutte le altre specie (non le razze) esistono, ognuno per la sua specie. Non esistono razze umane, solo l'animale umano. Siamo tutti animali e non è un insulto.
Grazie, Oscar Bartoli dalla lontana AMERICA.
MAC

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Gentile Oscar,
complimenti sinceri per la lettera, al di là e oltre il destinatario da Lei individuato.
La speranza risorge quando si leggono parole "umane" come le sue e si crede alla potenza dell'azione umana collettiva e positiva.
Forse in questo momento le vibrazioni positive in America ci sono e crescono!
Che Dio (chiunque esso sia) non le ostacoli e anzi le diffonda.
Ne abbiamo tutti un grandissimo bisogno.
Roberta

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Caro Bartoli,
La sua lettera è notevole. Purtroppo noi europei/italiani siamo "costretti" a credere nella rinascita del suo secondo paese. Ne siamo troppo dipendenti! La ns. unione europea ci vede sempre troppo divisi e mai fermi in una decisione comune di una certa importanza. Siamo forse troppo vecchi di storia e stanchi. Dopo i disastri della precedente Amministrazione, il compito di Obama è arduo. Ciò che sorprende è l'entusiasmo che ha suscitato in un paese in certo declino e da tempo poco amato nel mondo. Tale entusiasmo è sorto anche in tutti noi, forse perchè incosciamente riconosciamo che è l'ultima spiaggia per una ripresa anche europea. Forse Dio, molto pietoso invero, farà ancora un miracolo.
Un cordiale saluto
Aldo Nicolosi
MIlano
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Caro Bartoli,
Interessante la sua lettera a Dio.
Le premetto che sono un cattolico praticante , tempo permettendo, ma spesso mi chiedo come puo’ il mio Dio, il Dio anche degli ebrei e dei musulmani, dire agli ebrei che loro sono il popolo preferito, ai cristiani di perdonare le offese e porgere l’altra guancia ed ai musulmani di uccidere gli infedeli, che poi siamo noi cristiani e gli ebrei?

Saluti
Domenico Mancini
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Open letter to God.

Wonderful writing that myself ottantenne condivido.
Sarebbe possibile ottenere la traduzione inglese, per passarla al resto della mia famiglia che non conosce l'italiano??
Grazie.
Piero Grimalda
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Ciao Oscar e complimenti per la sua lettera aperta a Dio. Mi sono permesso di chiedere al nostro webmaster di offrire ai nostri lettori di Punto la possibilità di ascoltarla perché mi sembra un messaggio molto molto importante. Lei e' bravissimo, Oscar.
Spero proprio anch'io che questa ventata di aria fresca e questa ondata di sogni e di speranze ci permetta di dare una risposta migliore ai tanti problemi che affliggono l'umanità.
Ne abbiamo bisogno tutti. Ciao e grazie.
Giovanni Capirossi
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Oscar e’ una buona lettera.
Non si sa chi ci aiuta etc.
Ma e’ sicuro che la lotta del bene e male, del dare e prendere, del giusto e sbagliato, dell’egoismo e della generosita’ sono lotte reali a giornaliere esopratutto eterne.
La polarita’ dei due contrasti e’ l’evento da affrontare giornalmente, con la speranza che trascendiamo con la scoperta ingegnosa e creativa di una nuova soluzione che abbia dimensioni e svolte costruttive [come Jung intelligentemente aveva notato!]
Obama o il pilota Chesley Sullenberger forse hanno avuto un buon “attachment” nei loro primi anni di vita che si cono portati con se' nella loro vita da adulto?
Il pilota che in meno di 2 minuti ha dovuto prendere la decisione e portare l’aereo in salvo e sopratutto lontano dalle zone intensamente abitate, mi fa pensare che al di la’ di un ottimo training, c’e’ anche un grande amore per la vita e per gli altri che spinge il cervello a funzionare nella direzione piu’ costruttiva, in maniera automatica.
Bush non mi ha mai ispirato confidenza, Cheney mi ha fatto sempre paura, lo sento troppo difeso e aggressivo e non mi stimolava. Come mai? Forse perche’ entrambi non hanno amore per gli altri ne’ il vero amore per se stessi?
Tutto questo va al di la’ della conoscenza politica, ma e’ vero che il 99% dei voti sono emotivi e non razionali, tantomeno basati su conoscenza politica.
Noi non possiamo capire perche’ viviamo ne’ perche’ muoriamo [ancora 2 opposti] ma sappiamo che siamo in vita fino a quando pensiamo etc., e allora se capiamo la fodamentale regola [che pare Obama stia mettendo in pratica] che “l’altro” esiste tanto quanto “me”, tutti noi staremmo meglio. [di nuovo un opposto : “io e te”]
E qui il dolore ci aiuta tanto a capire, se puo’ essere dolorosa la nostra azione beh: non farla all’altro!
Semplice ma fondamentale: e'la ragione per cui lei si e' commosso , la speranza di non avere del male dalla sua presidenza. Questo e’ quello che lei ha visto nel treno Obama!
E’ speranza collettiva e l’esperienza di una speranza collettiva commuove perche’ ha potere dentro di noi, anche se non vogliamo commuoverci.
Scusi se ho vagabondato un po’ con pensieri che sono solo miei e che generalmente mi tengo dentro, per non annoiare!
Molti cordiali saluti,
Erminia
Washington DC

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Gentile Dr. Bartoli
Mi è piaciuta la sua lettera al Dio di tutte le confessioni e… speriamo che Obama duri!!!!

Cordiali saluti,
Lucilla Scelba
Roma


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Caro Bartoli,

Le inviamo le nostre condoglianze per la perdita del suo caro amico Massimo Saracini. Non l’avevo mai incontrato, ma ho letto tanti suoi scritti nelle Letter from Washington e ho ammirato l’equilibrio delle sue affermazioni. Credo che fosse piu’ giovane di me e sento una piccola strizza ogni volta che qualcuno che non ha ancora varcato i “ttanta” ci lascia. Che Dio carezzi la sua anima.

Grazie anche di avere scritto a Dio, al mio caro, amatissimo, amico Dio con il quale dialogo giornalmente. Nel seguire la vicenda dell’aereo “atterrato” nell’Hudson ho sentito alcuni passeggeri scampati ad una possibile tragedia parlare di miracolo e ringraziare Dio. Meno male. Che esiste. Che ha ancora pazienza con noi. Che ascolta quando Lo chiamiamo e ci affidiamo a Lui in momenti difficili. E che abbia collaborato a mettere questo Paese nelle mani di Obama e non di Mac/Palin.
Saluti

Anna e Bill Stewart
Washington DC
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Massimo Seracini

Massimo Seracini, il nostro Amico da una vita ci ha lasciato. Ha lottato fino all'ultimo contro il cancro che ormai aveva invaso il suo fisico. Accettava la chemioterapia con il sorriso e lo sgignazzo di chi sa di poter essere superiore con il proprio spirito anche alle situazioni piu' tragiche. Era portato come esempio da tutti i medici per il suo ottimismo. Negli ultimi anni si era avvicinato all'UDC perche' sperava di rendersi utile, soprattuto ai giovani ed agli italiani residenti in America. Innamorato di San Diego era riuscito a creare il Villaggio Firenze. Lo abbiamo intervistato mesi fa e potete trovare il video nel nostro video bar. Fiorentino vero e tenace riusciva a condire i suoi rapporti di amicizia con ironia e tanto affetto.
La sua morte ci lascia molto soli.

Lettera aperta a Dio

Lettera aperta a Dio

Lettera aperta al Dio dei Cristiani (suddivisi in tante confessioni), al Dio dei Cattolici, ad Allah, al Dio dei Buddisti, agli Dei delle confessioni Indiane, al Dio delle decine di migliaia di Religioni piccole e grandi nel mondo.
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Caro Dio:

Per caso hai deciso di mettere a posto le cose in questo mondo pazzo e sei sceso travestito a ridare un po di fiducia alla gente?

Caro Dio: io sono un vecchietto, ancora arzillo e pieno di energia. Ma dopo anni di mestiere nel mondo della comunicazione, comunque articolata e aggettivata, mi sono riempito di cinismo professionale fin sopra i capelli.
Non c'e nulla che mi smuova o commuova piu' di tanto, perche' in ogni iniziativa ci vedo sempre lo zampino di chi lavora per trapanare il cervello e il cuore dela gente.
E cosi' quando ho acceso il televisore per seguire l'Obama Express, il viaggio in treno del presidente eletto da Philadelphia a Washington DC mi sono armato del mio solido e inossidabile atteggiamento di chi il lavoro lo fa da tanti anni.
"Ma guarda che si sono inventati, questi qui", ho cominciato a dire a me stesso non senza riconoscere che la trovata del treno funziona a meraviglia: sono riusciti a coagulare tutti i notiziari televisivi per ore sulle soste e i discorsi che Barack Obama andava facendo a folle di decine di migliaia di persone. E dove lo metti il saluto dal terrazzino del vagone presidenziale a cittadini dei paesini toccati dalla ferrovia? Tutti al freddo polare per ore ed ore.
Ed in piu' hanno annullato i tentativi patetici di Bush e compagnia di far parlare di se' negli ultimi giorni prima della loro sparizione dalla scena.

Ed a un certo momento, caro Dio, mi sono sentito sciogliere dentro. Vedi: forse sara' l'eta (tutti i vecchi hanno la lacrima facile e la prostata difficile).

Oppure che dirti? sara' che dopo tanto cinismo sento anche io il desiderio di smontare il mio ancestrale rifiuto di credere nell'autorita', un rifiuto che fa parte dei miei geni come Italiano.

Perche' da millenni siamo abituati a servire il potente o il prepotente di turno. Lo serviamo, ma non lo amiamo. Anzi lo disprezziamo. Salvo ogni tanto buttarlo fuori dal proscenio a bastonate come fanno Arlecchino e Pulcinella. Ma come Arlecchino e Pulcinella non siamo capaci o, meglio, non vogliamo assumerci repsonsabilita'. E applaudiamo il nuovo padrone che viene a comandarci.

Ragionando invece con lo spirito americano, caro Dio, qui le cose sono diverse: negli sguardi dei giovani e nelle lacrime delle donne che seguivano Obama parlare al microfono ho ritrovato la risposta alla domanda perche' l'America riesce sempre a risorgere dalle sue ceneri.

Mettila pure come vuoi: l'operazione Obamamania e' in corso: sentimenti, voglia di riscatto, speranza per il futuro, desiderio imperioso di lasciare alle spalle un passato di otto anni lastricato di vittime ed errori, tutto e' stato posto nel frullatore dei massmedia e sta funzionando alla grande.

E funziona anche su un anziano come me, incallito conoscitore delle menzogne mnediatiche.

Insomma: caro Dio di tutte le genti (di qualsiasi colore e confessione) forse hai deciso di metterci Tu una pezza (a colore) e di fare il miracolo.

Un segno l'hai dato l'altro giorno salvando 155 persone nell'aereo USAir che e' riuscito a planare sullo Hudson River senza morti ne' feriti gravi. Un'impresa giudicata impossibile tecnicamente da tutti gli esperti. Ma il comandante Sullemberger ce l'ha fatta. Gli hai guidato tu la mano?

Tutto il mondo (e non solo noi americani) si augura che questa ventata di giovanile e folle ottimismo espressa dal presidente Obama possa maturare e cambiare davvero l'America e il resto del globo.

Insisti, caro Dio: abbiamo bisogno del tuo aiuto perche' da soli non ce la facciamo.

E cosi sia.

Collective Intelligence (CI)

Richard P. O’Neill is President of The Highlands Group, a consulting and analysis network. In 1994 he created and still directs The Highlands Forum, an internationally recognized forum of leaders from industry, academia, government, the arts and the professions, supporting the Secretary of Defense . Dick leads a research group that informs government leaders and conducts Highlands Forum meetings to further high-level government policy and strategy development. Highlands maintains broad interests but particularly focuses on information and information technologies and their impact on international relations, economics, and security. He has since established similar forums for other U.S. government agencies as well as ministerial departments of other nations. Dick previously served in government, in his last position as Deputy for Strategy and Policy in the Office of the U.S. Assistant Secretary of Defense. He graduated from Holy Cross College, receiving a Bachelor of Arts in Political Science and holds Masters degrees from Georgetown University, the Naval Postgraduate School and the Naval War College. Mr O'Neill gave a lecture invited by Oskar's Cafe' in Washington DC on January 11.
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Complex global problems may be too large for any single nation or even group of nations to solve, however we may be able to make a new start in fixing the future through collective intelligence. The broadest definition of collective intelligence (CI), as it applies today, is, “Groups of individuals acting collectively in ways that seem intelligent.” CI is about sharing knowledge, not merely creating it; about getting knowledge out of channels and onto a network; and about creating an “ecosystem of knowledge.” The best CI is organic in nature. New information technologies enable dramatic new possibilities for de-centralized CI. The key question for users of CI, though, is, “How can people and computers be connected so that they act more intelligently – collectively – than any one person, group, or computer ever has ever done before?” The possibilities range from low tech to high tech information sharing, but the key is collaboration across all means.

In the past two decades we have seen a democratizing of the tools of production (the PC); lowered costs of consumption (the Internet); and the ability to connect consumers to interesting niche products and elevate those goods (Google, YouTube, FaceBook); along with the key phenomenon of user-generated content (Wikipedia). This shifts the power balance in remarkable ways from institutions to individuals. Peers end up trusting peers more as peers convey authenticity; “ants have megaphones”. Institutions cannot control the conversation; at best they might influence it.

James Surowiecki, in The Wisdom of Crowds, maintains that a network of people not only has more intelligence than a very smart individual or a few individuals, but this network is better at solving problems and working on things that the brain pushes to its limits to do. Surowiecki cites four conditions that govern the ability of the network to succeed. He lists diversity of opinion (we would say cognitive diversity); independence of members from one another; decentralization; and a good method for aggregating opinions.

We are cautioned however, in the classic work by Charles Mackay, Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds by Charles Mackay (1841): "Men, it has been well said, think in herds; it will be seen that they go mad in herds, while they only recover their senses slowly, and one by one." So what is different? Global interconnectivity and the self-editing of the group. Merely collecting and amassing data will not, by itself, make us smarter; it will only make us dumber. What will be critical will be our ability to stitch together this data.

CI’s use as a “peace technology,” even as a diplomatic tool, could pave paths for conflict avoidance. Enlisting cross-cultural actors in common projects for common goals could lead to greater cooperation among disparate groups, even states, in broad environments.
It may well even lead us to approach those global, complex problems that Rischard, Ghani and Lockhart outline in their books. Here are some examples of CI:

People who need problems solved can easily access large online groups that can contribute time, energy and insight to solving problems, a phenomenon that’s becoming known as “crowdsourcing.” People in these groups seem willing to share their resources and ideas with others in exchange for both economic and non-economic (i.e. reputational or altruistic) goods, even when such sharing may prevent them from attaining even larger goods. InnoCentive connects anonymous “seekers” and their problems with over 160,000 anonymous “solvers” who try to find solution. Anonymity means that only a solution’s merit, not the parties’ backgrounds, comes into play. InnoCentive offloads seekers’ risk while eliminating barriers to entry for a large number of willing, often highly motivated solvers. InnoCentive relieves seekers of the risk of high or uncertain R&D expenditures while solvers (160,000 and counting) absorb that risk in exchange for a posted award. In doing so, InnoCentive accesses a labor pool much larger than that of most private companies, and to date has found solutions to roughly 300 of 800 posted problems. While 40 percent of InnoCentive solvers hold Ph.D.s, they tend not to discover solutions in their area of expertise. Some solvers completely lack formal training in the problem areas they choose.

In large contests, particularly those with binary outcomes such as the winner-take-all contests of the Iowa Electronic Markets (IEM), the ability of the crowd to predict election winners is quite remarkable. The IEM (http://www.biz.uiowa.edu/iem/) are a University of Iowa project that creates markets based on U.S. presidential and other political contests; traders use real money to buy and sell shares based on who they believe will win and lose, and by how much. Trading is halted shortly before Election Day and payouts are made based on the election’s winners and losers. The IEM involves educated guesses that are made serious by the injection of traders’ own funds, for which the university has a regulatory waiver. The IEM is intended as a teaching tool rather than a real-life stock or commodities market, with participation capped at $500.

Collective Forecasting, especially as practiced by Dr. Jane McGonigal of the Institute for the Future, involves alternate reality games in which people are given a scenario and live it locally, regularly feeding data back into a common portal to be combined and reissued globally. Occurring over weeks or months, this type of iterative process might yield insights that are not easily available or are unobtainable through traditional means.

Richard O'Neill

Il commento di un esperto di aviazione

Jane’s Aviation Analyst Comments On The US Airways Jet’s Emergency Landing on the Hudson River

London (16th January 2009) – Chris Yates, IHS Jane’s Aviation Analyst, explained, “This aircraft appears to have flown into a flock of geese on take off from New York’s LaGuardia airport. In so doing, birds were apparently ingested into both engines causing a rare double engine failure during the most critical take off phase of the flight.”

“It seems likely that the ingestion fatally damaged blades in the engines with the resultant debris being sucked further into the power-plants and causing much greater damage. This is also likely to have led to significant electrical power aboard the stricken airliner,” continued Yates.

“The aircraft appeared not to have sufficient airspeed or altitude to affect an emergency landing back at LaGuardia and the pilot had no option but to land the jet where possible. In the event the Hudson River presented the best option. Landing on water is a difficult maneuver, but was accomplished in textbook fashion and resulted in the airframe remaining structurally intact.”

Yates concluded, “The US Airways pilot’s skill, determination and quick thinking contributed significantly to passengers surviving a crash landing that could have turned out so differently.”

The Airbus A320 is one of the fastest selling aircraft and has an exemplary safety record. US Airways have 75 Airbus A320 and are the largest operator of this aircraft type in North America.

A team of investigators from the National Transportation Safety Board will now examine the crash site to determine the exact course of the emergency landing.

MIracolo a New York


Il comandante del volo UsAirways che e' planato sullo Hudson River, subito dopo il decollo dal La Guardia Airport con i motori in panne (forse per colpa di uno stormo di gabbiani inghiottiti dai reattori) ha avuto il tempo di fare un'ispezione alla cabina dopo che l'ultimo passeggero e' stato salvato dai mezzi di soccorso, verificando che nelle toilettes non vi fossero persone.
Il primo e secondo pilota si sono comportati con una professionalita' che e' stata definita dai sopavvisuti 'magistrale. Identica valutazione per il personale di cabina.
Le prime immagini dell'incidente sono state scattate da Julie Pukelis che stava osservando il fiume con il suo telescopio e resasi conto della gravita' dell'incidente ha collegato una macchina fotografica e fatto le prime foto.
Chesley (Sully) Sullemberger III e' il comandante che ha salvato 160 persone. Ventimila ore di volo e, ironia della sorte, insegnante di sicurezza aerea. Oltre alla sua abilita' e' stato aiutato dal tempo buono anche se molto freddo e dalla assenza momentanea di traghetti nel tratto di fiume in cui e' planato.
E' riuscito a far veleggiare il grosso A320 come se fosse un aliante a motori spenti avendo per sua fortuna ancora tutti i sostentatori aperti per il decollo.
Resta da dire che il La Guardia a New York e il Reagan a Washington DC sono tra gli aeroporti piu pericolosi al mondo. Nel 1982 un aereo della Eastern si inabisso' nel Potomac causando la morte di 82 passeggeri.
La possibilita' di avere stormi di gabbiani e anatre in prossimita' delle piste e' data proprio dalla vicinanza con un grande fiume.

E i Francesi ci prendono per il c.......

(questo articolo del Corriere della Sera e' dedicato a qualcuno di quel 72% di italiani che stravedono per Silvio)
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Les Echos ringrazia Berlusconi: «Ora è un buon affare»

L'ironia della stampa francese:«Air France-Alitalia? Merci Silvio»

Alitalia è più forte, senza debiti. E l'operazione è costata 3o0 milioni invece di 1,2 miliardi di euro

PARIGI - «Merci Silvio». Grazie Silvio, l'ironia è tagliente sin dal titolo. Per la stampa francese la soluzione del lungo inseguimento ad Alitalia si è trasformata quasi in una marcia trionfale per Air France-Klm e per il suo «caparbio» timoniere, Jean-Cyrill Spinetta. Grazie soprattutto all'intervento di Silvio Berlusconi.
ITALIANITA' - Il premier italiano, si legge in un editoriale del quotidiano economico transalpino, firmato da François Vidal, sarebbe il principale protagonista della trasformazione di un avventura pericolosa in un buon affare per la compagnia francese. Come? Grazie all'affossamento della precedente offerta, apprezzata e avallata dal governo di Romano Prodi, e ben più dispendiosa per i transalpini. «Ci si può domandare - scrive il quotidiano - se Silvio Berlusconi non abbia reso un ottimo servizio nell'aprile del 2008 contribuendo ad affossare la precedente proposta di acquisto di Alitalia da parte di Air France, per 1,5 miliardi di euro, in nome dell'italianità».
COMPAGNIA RISANATA - E non è solo una questione di prezzo, anche se spendere 300 milioni per il 25% della compagnia italiana invece di 1,5 miliardi di euro non è certo un risultato di poco conto. Il fatto più importante, per il giornale francese, è che Alitalia non è più la compagnia colabrodo di pochi mesi fa: «Alitalia - si legge - ha già operato una parte importante della propria ristrutturazione. Non perde più un miliardo di euro al giorno, si è liberata dai propri debiti (accollandoli allo Stato, ndr) e si è rafforzata sul mercato nazionale grazie alla fusione con AirOne».
Insomma, niente male, visto che con l'alleanza Air France ottiene anche altri risultati: completa la propria rete continentale di grandi snodi («hub»), sommando a Parigi e Amsterdam anche Roma (Malpensa non è neanche citata) e entra da protagonista in un mercato di 24 milioni di passeggeri, di cui almeno 11 di viaggiatori internazionali. «Certo - conclude Vidal - restano da gestire le difficili relazioni con i sindacati». Ma lamentarsi sarebbe davvero troppo.

Alitalia: il gioco delle tre carte alla faccia dei cittadini italiani

(dal Sole 24 Ore)


LA BUFFONATA SULL’ITALIANITà DI ALITALIA – TRICOLORE PER 4 ANNI. IL VINCOLO TRA I SOCI CAI SI RIDUCE DI UN ANNO (DUE SE ANDRÀ IN BORSA). POI AIR FRANCE FORTE DEL 25% POTRÀ COMPRARE LE LORO AZIONI – L’IMPEGNO DI COLANINNO SCENDE A 80 MLN…

Gianni Dragoni per "Il Sole 24 Ore"

L'italianità della nuova Alitalia, mitigata dall'ingresso di Air France-Klm nel capitale con il 25% delle azioni, potrà cadere fra quattro anni. L'accordo di lock up tra i soci italiani, cioè il vincolo a vendere le azioni in caso di uscita solo ad altri azionisti italiani, durerà fino al 12 gennaio 2013. Un anno in meno di quanto già previsto.
Dal 13 gennaio al 28 ottobre 2013 anche Air France potrà comprare azioni dai soci italiani, esercitando il diritto di prelazione per la sua parte. Ma il vincolo cesserà ancor prima, fra tre anni, se Alitalia andrà in Borsa.
Sono le novità degli accordi stipulati con il partner Air France- Klm dall'Alitalia privata, nella «nuova alleanza strategica» annunciata ieri sera, dopo l'approvazione del cda Alitalia, la ex Cai, presieduto da Roberto Colaninno. Da oggi la società è operativa con la gestione dei voli passeggeri.
Air France, che compra una fetta del monopolio in Italia a un costo molto inferiore di quello dell'offerta presentata dieci mesi all'Alitalia di Maurizio Prato, verserà 322 milioni di euro. Lo farà nell'aumento di capitale riservato che sarà deliberato il 19 gennaio dall'assemblea Alitalia e «sarà eseguito tra febbraio e marzo», ha detto Rocco Sabelli, amministratore delegato Alitalia. Air France «paga un sovrapprezzo di 40 milioni e avrà il 25% del capitale», dicono Colaninno e Sabelli, i quali hanno definito «la scelta migliore » Air France rispetto a Lufthansa e British Airways. «È la scelta giusta», per Corrado Passera, a.d. di Intesa Sanpaolo.Jean Cyril Spinetta
La quota sottoscritta dai 21 soci italiani dell'ex Cai è di 847 milioni, ma non tutti sono stati versati. Secondo fonti finanziarie vicine alla società, mancherebbe solo Carlo Toto, il quale completerà il 15 gennaio il versamento di 30 milioni, avendone già versati 30.

Alitalia-AirFrance-KLM


January 13, 2009
JOINT PRESS RELEASE ALITALIA AND AIR FRANCE-KLMLAUNCH A NEW STRATEGIC PARTNERSHIP


• AIR FRANCE-KLM TAKES 25% MINORITY STAKE • ALITALIA, THANKS TO A DEEPER PARTNERSHIP WITH AIR FRANCE-KLM, THE WORLD'S LEADING AIRLINE GROUP, WILL EXPAND ITS NETWORK AND REGAIN ITS POSITION IN INTERNATIONAL MARKETS • ALITALIA EXPECTS TO GENERATE SYNERGIES VALUED AT 720 MILLION EUROS OVER THE NEXT THREE YEARS


Rome, Roissy, Amstelveen January 12, 2009

Alitalia and Air France-KLM have reached an agreement to launch a new strategic partnership, sealed by Air France-KLM taking a minority stake in Alitalia.

A STRENGTHENED ALLIANCE

The primary objective of the partnership is to deliver the best possible service between Europe and the rest of the world to all customers of Air France, Alitalia, and KLM, thanks to a global network structured around a unique combination of hubs from Northern to Southern Europe.
Alitalia, strengthened in its domestic market through the acquisition of Air One, will play a key role in international markets thanks to the extended cooperation with Air France-KLM.
The partnership between Alitalia and Air France-KLM will be based on a multi-hub strategy, which until today focused on Paris Charles-de-Gaulle and Amsterdam Schiphol and that – following the agreement - will be strengthened by the introduction of Rome-Fiumicino and Milan-Malpensa on an equal basis.
Synergies deriving mainly from network optimization and revenue management will be achieved progressively over the next three years and should amount to an estimated 720 million euros for Alitalia.

A “Partnership Manager” responsible for implementing the partnership strategy and overseeing the generation of synergies will be appointed for a term of three years, renewable once, and will be appointed on a rotating basis by the two groups.

THE STRATEGIC PARTNERSHIP

Air France-KLM will underwrite a reserved capital increase of approximately 323 million euros, giving Air France-KLM a 25% equity interest in the new Alitalia. The Air France-KLM Group will have 3 seats out of a total 19 on Alitalia's Board of Directors and 2 seats out of a total 9 on the Executive Committee.
A lock-up period is agreed for 4 years. Prior to January 12, 2013, no Italian shareholder will be able to transfer shares outside of Alitalia shareholder group or to Air France-KLM. During the 5th year – between January 13 and October 28, 2013, the transfer of shares to third parties will be possible, but only on condition that the other shareholders have not exercised their pre-emption rights and that the transfer is approved by the Board of Directors of Alitalia. The “lock up” will cease to apply only in the case of a stock market quotation, starting as of the third year.
Roberto Colaninno, Chairman of Alitalia, and Rocco Sabelli, CEO of Alitalia stated: “We are delighted with the agreement reached between Alitalia and Air France-KLM. This is a highly innovative and ambitious alliance with important industrial implications. It has been built around Alitalia's strong potential for growth over the coming years and on the quality of the Italian shareholders' entrepreneurial project. The agreement represents an important milestone in the history of Italy's flag carrier offering three great opportunities: growth for Alitalia, increased competitiveness for Italy and an effective service for all Italian air travelers.”
Jean-Cyril Spinetta, Chairman of the Air France-KLM Board, and Pierre-Henri Gourgeon, CEO of Air France-KLM stated: “In view of the many challenges facing our sector, cooperation is more than ever a necessity and we have now made a further step towards this. We are very happy about this extended partnership with the new Alitalia. It represents a genuine growth opportunity for our two airlines and the agreement is in the interest of our shareholders, our customers and our staff.”
The implementation of the agreement is subject to approval by the Alitalia shareholders. The approval of the European competition authorities, including the European Union, could be reached prior to the end of the 1st quarter of 2009 at which time the agreement will go into effect.

Questione di giorni: Israele attacca l'Iran


(Su questo blog lo andiamo sostenendo da mesi. Speriamo di essere smentiti dalla cronaca)



Newsmax.com
The Time Clock Has Run Out: Israel Ready to Strike IranMonday, January 12, 2009


Iran's Shahab-3 missiles being launched in a test from an undisclosed location last summer. The missile is capable of carrying a nuclear payload and, with a range of 1,250 miles, can hit both Israel and parts of Europe. (AP Photo)
Informed sources in Washington tell Newsmax that Israel indeed will launch a strike against Iran’s nuclear facilities soon – possibly in just days as President George W. Bush prepares to leave office.
The reason: The time clock has begun to run out. Iran is close to acquiring a nuclear device under the control of its radical president, Mahmoud Ahmadinejad.
International Atomic Energy Agency Director General Mohamed ElBaradei said in June that Iran would have a nuclear weapon in as little as six months.
That six-month period has passed.
Reports of Israel’s decision to imminently launch strikes, although unconfirmed, would seem to contradict the Bush stance outlined in a front-page New York Times story last week, which asserted that Bush rejected a plea from Israel last year to help it raid Iran’s main nuclear complex.
The Times said Israel was rebuffed after it requested from the U.S. specialized bunker-busting bombs that it needs to attack Iran’s nuclear complex at Natanz. The U.S. also reportedly nixed permission to the Israeli warplanes to fly over Iraqi territory to reach Iran.
Israel’s requests to the U.S. for military assistance came as the Jewish state was reportedly angry over a U.S. intelligence assessment in late 2007 that concluded Iran had effectively suspended its development of nuclear weapons.
But an investigative report circulated by IAEA chief ElBaradei late last year disclosed that Iran was continuing to carry out uranium enrichment and had already established 6,000 centrifuges for enriching uranium, of which 3,800 were then in operation.
American intelligence officials now estimate that the figure is 4,000 to 5,000 centrifuges, enough to produce about one weapon’s worth of uranium every eight months or so, according to the Times.
The IAEA report estimated that Iran has obtained two tons of enriched uranium since its enrichment program was restarted at Natanz two years ago.
Last year 100 Israeli jets took part in an exercise over the eastern Mediterranean that was interpreted as a dress rehearsal for a possible attack on Iran.
And on Sept. 6 Israel launched an air attack against a site in Syria believed to be a nuclear-related facility containing material delivered by North Korea.
Former U.S. Ambassador to the United Nations John Bolton predicted that Israel would stage a raid against Iran's nuclear facilities if Barack Obama won the presidential election.
Bolton stated that he believed the Israeli attack would take place sometime between the day after Obama's win and his inauguration on January 20.
In an interview with FOX News, Bolton reasoned that Israel wouldn’t be able to hold off a strike on Iran any longer than that given Obama’s more conciliatory approach to Iran.
The Israeli government “would have to make a judgment whether to [strike] during the remainder of President Bush’s term in office or wait for his successor,” Bolton added.
William Perry, U.S. Secretary of Defense under President Bill Clinton, said that Obama would face a major crisis in his first few months in office over Iran’s nuclear weapons program. Perry, speaking at a foreign policy conference on Jan. 8, said that Iran is "moving inexorably toward becoming a nuclear power" and “it seems clear that Israel will not sit by idle while Iran takes the final steps toward becoming a nuclear power."
And former CIA officer Robert Baer, author of the new book “The Devil We Know: Dealing with the New Iranian Superpower,” told Newsmax in October that Iran was at that time probably months, if not weeks, away from war with Israel.
The repercussions of an Israeli attack are not clear.
Though Arab states remain openly hostile to Israel, many who belong to the Sunni branch of Islam fear the rise of a nuclear Iran, a nation dominated by Shiite imams. Gulf states like Bahrain, Saudi Arabia and Kuwait have been quietly pressing the U.S. to take action against Iran – and may secretly root for an Israeli attack.
But Iran, even without nuclear weapons, is a regional power. If attacked, they are likely to press proxy terror groups like Hamas and Hezbollah to launch offensives against Israel and possibly the U.S.
Iran has warned in the past that it would launch a “missile blitz” against Gulf states if it is attacked.
And last July a senior Iranian official said the Islamic Republic would destroy Israel and 32 U.S. military bases in the Middle East if Iran is attacked over its nuclear program.
“Israel and 32 U.S. military bases in the region would not be out of the reach of our missiles and would be destroyed," the semi-official Fars News Agency quoted Mojtaba Zolnour as saying in a speech.
Zolnour is the deputy of Supreme Leader Ayatollah Ali Khamenei's representative in Iran's elite Revolutionary Guards.
Even more ominously, Iran has reportedly carried out missile tests for what could be a plan for a nuclear strike on the U.S.

Bye, Bye Mr President 23%


E' uscito di scena come un capocomico al quale il pubblico ha tirato scarpe e urlato improperi. George W. Bush ha totalizzato la piu' bassa percentuale di consenso nella storia degli Stati Uniti (23%). Ma nella sua ultima conferenza stampa ha ribadito che i suoi otto anni di presidenza saranno giudicati dalla Storia. Ha provato a fare lo spiritoso con risultati disastrosi. Nonostante le sollecitazioni assillanti fatte dal suo ufficio stampa perche' i giornalisti prenotassero puntualmente un posto a sedere nella previsione di una grande partecipazione dei corrispondenti dalla Casa Bianca, all'inizio della conferenza stampa le ultime due file della saletta erano vuote e gli uomini di Bush si sono affannati a riempirle con stagisti ai quali e' stata imposta qualche cravatta. Questo incerto personaggio, oltretutto assediato da una sfiga permanente, ha costruito nella sua ottusita' una litania di errori che stanno avendo pesanti riflessi non solo sull'America ma su gran parte del globo. Come tutti gli stupidi George W. e' convinto di avere agito per il bene del popolo americano in quanto ispirato da Dio. E si tratta della piu' grande bestemmia se si tiene conto degli errori che sono stati compiuti dalla sua amministrazione sotto la sua guida (si fa per dire). Se ne va con le pive nel sacco strapieno di sconfitte, dopo avere lasciato una Nazione divisa per decenni in maniera inconciliabile. Non sentiremo la mancanza di questo tipo che ha distrutto anche quel poco di buono che suo padre, nelle varie missioni politiche e suo fratello come governatore della Florida erano riusciti a mettere insieme. Ed anche la sua ultima conferenza stampa ha confermato il detto popolare che e'meglio avere a che fare con un farabutto intelligente piuttosto che con un imbecille arrogante. Al primo si possono prendere le misure. Il secondo sara' sempre imprevedibile.

A proposito di Ebrei e Palestinesi

Gentile Direttore,

Sono molto favorevole ad attaccare le basi atomiche in Iran, era ora, sono loro che armano Hamas, cioè coloro che hanno iniziato questa guerra a Gaza e che usano i bambini come scudi umani per attirare l'opinione pubblica. Non caspisco perchè alcuni si stupiscono che Israele attacchi. Se ricevi 8000 razzi da Gaza cosa deve fare uno? Continuare a subire fino quando distruggono tutto? Israele deve difendersi, si al diritto dell'autodifesa.
Robert Hassan

r.hassan@culturaecomunicazione.it
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<tallyz@gmail.com>, Ronit Zohar <ronit.zohar@gmail.com>, Elya Steinberg <elya.steinberg@virgin.net>
Oggetto: Fwd: Where the IDF found a tunnel In Gaza

In Gaza, the IDF is going home to home to clean up Hamas's hordes of explosives, RPG, arms and ammunition. This one second video shows where the Gazans hide these treasures; at home under the bathroom sink! Do we need to see anything else to understand why the IDF is going house-to-house and destroy the homes of those claiming to be "innocent"?

Paolo Sabadini
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Gentile Dottor Bartoli:
un commento sugli articoli del professor Valori.

A) faccio mostruose CORNA acche' la velenosa previsione che l'Europa si spacchera' per un conflitto franco-tedesco, e che la divisione di Italia in due: quelli del nord con I tedeschi e quelli del sud con i francesi ed altre nefaste "cassandrate" mai si verifichino.

B) prendo definitiva nota che : o si e' filo-israeliani al 100%, oppure si e' loro pericolosi nemici.
Mediatori imparziali, legittime mediazioni, cercare di raccogliere i cocci anche per la sopravvivenza legittima della Palestina e del suo popolo martire, da parte di Paesi democratrici e civili, da parte di buoni intenzionati NON puo' esistere.

C) tocca il fondo del pozzo disgustosamente nero laddove afferma che - cito - : " si deve evitare la gestione dello spazio simbolico/affettivo con foto di Hammas e dei bambini feriti ( vigliaccata, ne hanno uccisi a centinaia, altro che feriti) perche' ....farebbero scena." Orrore !

D)"...Colui che ha peccato contro di me quello cancellero'dal mio libro"......"'e faro' grazia a chi vorro' far grazia e avro' pieta' di chi vorro' aver pieta'..."(Esodo, 32 e segg.).
Noostante le continue intercessioni di Mose' a favore del suo Popolo, Dio si riserva il diritto eterno della Sua giustizia contro i colpevoli. E' cio' accadde dopo che Mose', vista l'abominazione del Popolo, infranse le Tavole appena ricevute sulle rocce e "s'infiammo'" per la vergogna e l' ira. "Di' ai figliuoli di Israele: voi siete un popolo dal collo duro, se io salissi un momento solo in mezzo a te ti consumerei.."
Quanti millennii sono trascorsi.....ma ancora oggi quel che accade contro di loro e' sempre colpa dei "gentili", di guardarsi allo specchio neppure l'ombra.

Cordiali saluti,
Ernesto Fiorillo

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Caro Bartoli,

Sebbene con ampia dovizia di particolari, gli articoli su Israele che lei pubblica hanno una grave limitazione. Un tecnicismo che non tiene in dovuta considerazione l'effetto nei decenni a seguire di azioni violente quandanche con risultati a breve termine estremamente positivi (e tali definitivamente non possono essere considerati). Infatti, quanti miei correligionari ancora oggi, a due generazioni di distanza (abbondanti), ancora hanno una diffidenza istintiva per i tedeschi (paese oramai da lunga pezza estraneo a qualsivoglia attivita' guerreggiante e con una tradizione culturale di secoli, non decenni)? Ad oggi, anche i miei piu' illuminati amici palestinesi, che criticavano aspramente Arafat per la sua assenza di reale interesse negli interessi del suo popolo, ma notevole efficacia nel favorire i propri e quelli della sua famiglia ristretta, sono preoccupati dell'odio che si sta sviluppando nelle nuove generazioni. E' da notare come nessun politologo abbia invece dato attenzione a iniziative giovanili Palestino-israeliane (o israelo-palestinesi, a suo piacimento) orientate a creare metodi innovativi di convivenza in una situazione difficile creata a tavolino dagli alleati USA e UK dopo la guerra. Per quanto sviscerate razionalmente, preparate militarmente e mass-mediaticamente, le iniziative violente che hanno ripercussioni anche su una sola persona non votata volontariamente al sacrificio in quanto militante, creano presupposti per espansioni del conflitto, risultato opposto dunque a quello dichiarato di "bombardare per la pace". Mi stupisco che un cattedratico abbia una visione meno che di ampio respiro e proponga soluzioni per infilarci ancora di piu' in un conflitto privo di sbocchi sociali, culturali e tecnologici per entrambi i fronti. Mi aspetto questi approcci piu' da leader politici di livello culturale medio-basso e ego smisurati, o da militari in carriera con scarsi scrupoli e poca preparazione tecnica. Ci mancano tanto i grandi politici di visione alla Shimon Perez cui la svolta a destra della base popolare non ha consentito di realizzare negli anni 90 il potenziale che Israele aveva sviluppato negli anni 70 e in parte 80....Tutto questo pero' senza nulla concedere all'approccio beghino, cripto-razzista e ugualmente inconcludente di chi fa di ogni erba un fascio, dimentica gli elementi positivi ed il modello di democrazia portato da Israele in tutta l'area e spara a zero sulla nazione "in toto". Sarebbe come odiare gli USA per gli errori in Iraq...

Ing. Clark Misul
Washington DC

Operation Cast Lead: vautazioni strategiche e geopolitiche

Ospitiamo ancora uno scritto di Giancarlo Elia Valori nella sua veste di esperto della politica del Medio Oriente, cattedratico della Universita' ebraica di Gerusalemme, e professore della Yeshiva University of New York.
Letter from Washington e' disponibile a ricevere e pubblicare opinioni di parte contraria purche' siano espresse in forma democratica e contribuiscano ad un approfondimento conoscitivo di un problema, quello della convivenza dello Stato di Israele in un contesto dilaniato da lotte e fermenti secolari che riguarda non solo i diretti interessati ma tutta la collettivita' occidentale, a cominciare dagli Stati Uniti.

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Operation Cast Lead

Valutazioni strategiche e geopolitiche

Gennaio 2009

L’Operazione Piombo Fuso dell’IDF israeliana rappresenta notevoli elementi di novità nella strategia globale dello Stato Ebraico dalla parziale cessazione della Seconda Intifadah ad oggi[1]. “Piombo Fuso” rappresenta infatti:

a) la prima operazione in profondità israeliana di controguerriglia e antiterrorismo che è stata pensata fuori da un contesto di correlazione strategica con gli USA[2], durante il vuoto di potere tra la Presidenza Bush, legata sostanzialmente alla logica del Quartetto dal 2004-2005 (con il primo special envoy Wolfenshon, americano) e quindi alla teoria “due popoli-due stati”, e la Presidenza di Barack Obama, che ha come asse portante, per quanto se ne sa, il disengagement rapido dall’Iraq (e quindi la diminuzione sostanzialedella pressione antijihadista in Medio Oriente) e una trattativa sul nucleare iraniano con le autorità di Teheran[3].
b) Correttamente, gli analisti di Tel Aviv vedono in questo nuovo sistema strategico degli USA il tentativo di una regionalizzazione degli interessi israeliani, in mancanza inoltre di una trattativa tattica e locale con gli Stati Arabi “moderati” e in correlazione ulteriore alla geopolitica di Teheran: una strategia globale iraniana che vede una sommatoria fissa tra due operazioni. L’aumento della pressione interna all’Iran per costruire il nucleare militare, e la gestione tramite proxies jihadisti e terroristici (non necessariamente islamici, come scopriremo tra poco)[4]. Se Teheran abbassa la guardia o rallenta la costruzione del suo arsenale nucleare, allora il regime iraniano gestisce un aumento della pressione jihadista ai confini di Israele, se invece la corsa al nucleare iraniano accelera, allora il gruppo di potere iraniano rallenta la pressione su Hezbollah e HAMAS e il Jihad Islamico.
c) Tel Aviv ha ragionevolmente ipotizzato di dover fare da sola. L’Unione Europea è un cartello economico unito da una moneta unica che è servita solo a rallentare la ricostruzione economica tedesca, asse di una futura dissociazione strategica tra la Francia e la Germania, con l’Italia che seguirà a Nord la Germania e al Centro-Sud gli interessi francesi, che si proietteranno nel mondo arabo e da lì verso l’Asia Centrale e il Mar Cinese meridionale[5]. Inoltre, La grande massa di immigrati in Francia e in Italia, indipendentemente dalla loro rappresentanza politica, non permette più una politica nettamente filoisraeliana da parte di nessun Paese europeo. L’Eurabia ipotizzata da Oriana Fallaci si è già realizzata, e con essa un riallineamento[6] delle forze politiche nazionali verso un modello che presuppone o 1) il disengagement dal quadrante mediorientale, o 2) una integrazione politica, finanziaria e strategica tra i maggiori players regionali islamici ed i maggiori paesi europei.
d) L’isolamento parziale dell’Egitto e della Giordania dalla attuale tensione nella Striscia di Gaza ha molteplici significati: 1) l’Egitto di Hosni Mubarak, erede diretto di Anwar El Sadat, ha esperienza di quanto sia dura la reazione dei Fratelli Musulmani, che infatti uccisero Sadat e che hanno gestito, nelle more del passaggio di Ayman al Zawahiri al jihad globale di Al Qaeda, una serie di attentati contro siti turistici e forze di polizia egiziane nel 2002-2005. Ma la correlazione tra il regime nasseriano e i Fratelli Musulmani è complessa: Nasser sale al potere nel 1952 con il sostegno della rete “coperta” dell’Ikhwan, la Fratellanza, ed in seguito essa opera sia per stringere l’OLP dentro gli interessi strategici egiziani nel Medio Oriente, dal primo presidente Shuqeiri ad Arafat, sia per egemonizzare l’islamismo politico sia in Medio Oriente che, soprattutto, in Europa e negli USA. L’Ikhwan viene messa fuorilegge da Nasser perche il raìs del Cairo non vuole “pagare la cambiale” ai “Fratelli Musulmani”, che sospetta, spesso a ragione, elementi usati nella destabilizzazione reciproca tra i Paesi Arabi mediorientali. I Fratelli Musulmani, il vero “Komintern” del jihad, si occupano di da’wa, “propaganda-conversione”[7], e forniscono una sorta di camera di compensazione per tutti i gruppi del jihad della spada. La polemica contro Nasser da parte dell’Ikhwan era correlata al suo laicismo e al progetto di Unione con la Siria nell’UAR, non ad altro. In altri termini, Hosni Mubaark non vuole destabilizzare il suo paese nelle more del passaggio dei pieni poteri a suo figlio Gamal, sostenuto e coperto dal vecchio apparato di potere degli “Ufficiali Liberi” e dai countervailing powers di una Assemblea nazionale dove i Fratelli Musulmani sono 76 e controllano il 20-25% dei voti parlamentari, stando alle ultime notizie del Cairo[8]. In sostanza: Mubarak ha paura di fare la fine di Sadat prima di aver completato il passaggio delle consegne al figlio Gamal. Naturalmente, siccome repetita iuvant, molti analisti, soprattutto USA, ritengono che lo stato silente dei Fratelli Musulmani in Egitto e altrove sia la spia di una loro definitiva “democratizzazione”. Falso: La da’wa prepara il jihad, e se la pressione elettorale e politica dell’Ikhwan dovesse diminuire, della stessa misura aumenterà la pressione terroristica o comunque illegale. Per la Giordania, 2) la questione è sostanzialmente diversa: il Regno hashemita ha offerto asilo alla Fratellanza espulsa dal Cairo, con la successiva fondazione di Hizb ut Tahrir alla fine degli anni ’40 e la correlazione tra Nabanani, il fondatore dell’Hizb ut tahrir al islami e il governo siriano. La fine della “Fratellanza” come opposizione leale del Re e l’inizio del grande gioco dell’Islamismo radicale come pedina plurale del sistema tra paesi islamici in lotta tra loro, Unione Sovietica, nazionalismo arabo e palestinese. L’Ikhwan giordana ha partecipato attivamente alla elaborazione dello statuto di HAMAS del 1988. E l’elezione di Hamam Sa’id alla direzione della “Fratellanza” giordana[9], nel giugno 2008, fa pensare che il regno hashemita da un lato non possa fare a meno dell’Ikhwan come gestore del suo debole “welfare state”, dall’altro non voglia interrompere i contatti con il radicalismo islamico che tanta parte ha avuto nella lealtà ad Hassan II e nella gestione degli interessi interarabi di Amman. Il che implica che il riassorbimento della Cisgiordania, pure sostenuto da alcuni politici israeliani, non potrà durare a lungo in un contesto di pace stabile con Tel Aviv.
e) La pubblica opinione egiziana, riguardo alle attuali operazioni nella Striscia di Gaza, è naturalmente tesa, mentre il regime di Mubarak viene ritenuto responsabile della persistente chiusura del varco di Rafah che il Cairo ritiene debba essere aperto, sulla base degli accordi del 2005[10], con la supervisione delle forze UE, israeliane e della ANP. In Giordania elementi della “Fratellanza” organizzano similari manifestazioni contro il governo locale e gli stati arabi “filosionisti”. Quanto c’è di vero nella rivolta popolare contro il silenzio dei regimi arabi “moderati”? Nella tradizione degli opinion polls dei paesi islamici, ad un tradizionale odio antisraeliano fa da contraltare la diffusa percezione che Israele sia “here to stay”, e che il terrorismo islamico sia un elemento negativo e pericoloso per la stessa religione e per la nazione egiziana[11].

Da http://www.brrokings.edu/

f) In sostanza, il pubblico arabo non palestinese legge Al qaeda come una sorta di defensor fidei globale[12], ma non ritiene la proposta del “Califfato globale” né realistica né accettabile, salvo il suo ruolo di nemico pubblico n. 1 degli USA, che evidentemente la pubblica opinione araba ritiene sia stato tenuto at bay dalla minaccia qaedista, che in effetti ha regionalizzato e per così dire “liberato” dal confronto bilaterale tra i blocchi post-1989 il Medio Oriente, creando spazi politici e militari per organizzazioni jihadiste e non attive nel quadrante regionale; mentre si è liberato, proprio nel contesto della nuova regionalizzazione del Medio Oriente, un riflesso verso Israele per quel che riguarda la proposta del ritorno ai confini pre-1967, idea inaccettabile per Tel Aviv ma che, essendo una linea in espansione nel pubblico arabo globale, potrebbe essere elaborata da operazioni mirate di psyops, rimarca una valutazione negativa verso il governo di Gaza da parte di HAMAS[13], senza stimare per nulla il regime di Mahmoud Abbas in Cisgiordania, riflette in complesso filoeuropeo del mondo arabo, con una alta valutazione di Francia e Germania, mentre gli USA sono privi di appeal anche, presumiamo dalla percentuale delle preferenze rispetto alla quota di “upper middle class” araba, per le classi dirigenti, e infine cresce la “paura di Israele”, stranamente accoppiata ad una alta valutazione della disponibilità, sia pure ipotetica, di una stabilizzazione dei rapporti ebraico-arabi sulla base della statuizione dei confini pre-1967, come abbiamo visto. Uno strabismo ideologico che riflette, da un lato, la propaganda jihadista e radicale che molti mass-media svolgono nell’area, e dall’altro un rispetto militare per Israele che sarebbe pericoloso perdere per la retorica del pacifismo a tutti i costi. Gli arabi apprezzano chi sa combattere e vince, non chi si nega al confronto militare e politico. Questo spiega anche il mito di Hassan Nasrallah, che è il riflesso del prestigio conquistato da Hezbollah durante la campagna dell’estate 2006 nel Libano meridionale, e probabilmente poco ha a che fare con l’ideologia sciita e filoiraniana del gruppo dirigente del “partito di Dio” libanese. Altrimenti, non si spiegherebbe lo scarso appeal di Ahmadinedjad che, con ogni probabilità, appare al pubblico arabo del Medio Oriente come un “nazionalista iraniano” e non come un leader globale del nuovo “Fronte del Rifiuto” contro Israele. E’ da notare che la minaccia iraniana, sia pure con percentuali ridotte rispetto al record di Israele, è percepita dal pubblico arabo come reale: la guerra nucleare per favorire la strategia di Teheran nel Golfo Persico e il nuovo ruolo del regime sciita nel contesto OPEC, contro l’Arabia Saudita e i suoi Stati alleati, è letta come un pericolo, sia pure marginale. Un elemento da elaborare meglio in termini di propaganda.
g) La provincializzazione delle comunicazioni televisive è un problema serio. Nel mondo arabo, dove l’immagine conta ancora di più che nella “società dello spettacolo” europea e nordamericana, il monopolio di fatto della comunicazione televisiva e, soprattutto, dei messaggi impliciti, liminali, simbolici e non-verbali, il monopolio di Al Jazeera risulta una questione seria. Si può immaginare una front-television che unisca notiziari non filojihadisti o comunque antisraeliani con una programmazione di entertainment di buona qualità e ampiamente diffusa. Dato che Al jazeera viene ritenuta fonte affidabile dal 59% del pubblico egiziano, per dare un solo dato nel mondo arabo[14].
h) Israele, secondo gli ultimi sondaggi internazionali, non ha buoni risultati nel pubblico americano (il 59% in USA ritiene che Israele “is not doing well”) mentre i palestinesi, sempre secondo il pubblico USA, non fanno “molto per la pace” per il 75%. Francia e Gran Bretagna “non si muovono per la pace” secondo il 48% e il 45% rispettivamente secondo il pubblico palestinese. Le variabili su queste domande verificate nel contesto dei paesi Arabi non sono particolarmente significative sul piano politico. Quindi: 1) evitare la gestione dello spazio simbolico e affettivo (che è il cardine della comunicazione politica in Occidente, oggi) ad HAMAS e alle sue foto con i bambini feriti o gli ostaggi costretti a “fare scena” sulle prime pagine dei quotidiani e dei servizi TV[15], dato che HAMAS, come spesso accade alle strutture politiche jihadiste, ha una capacità di utilizzare i criteri della comunicazione immediata, empatica, primitiva (Il “tamburo” di McLuhan[16]) che Israele non possiede ancora, troppo legata al discorso politico, al ragionamento, alla logica. Una nuova psyops israeliana che colpisca il simbolo, la sfera pre-corticale del pubblico televisivo, una operazione similare anche nel mondo arabo sonop oggi del tutto necessarie. Israele è un paese razionalista e legato al lògos, il mondo postmoderno non sa più che farsene della razionalizzazione astratta dei contenuti informativi. La “scissione” dei contenuti favorevoli, anche se minimi, ad Israele da quelli legati alla minaccia ebraica o la gestione dell’immagine nel pubblico arabo (ed europeo) dell’Iran e di HAMAS sono anch’esse, gestite tramite scissioni simboliche, testimonials negativi, iterazione delle proposizioni più minacciose, l’integrazione simbolica tra queste e le altre paure dell’immaginario collettivo arabo, sono tecniche che potrebbero risultare positive e isolare ulteriormente il jihad di HAMAS, quello sciita, quello globale di Al qaeda tra loro e creare un effetto “Orazi e Curiazi”, separare gli avversari per colpirli meglio, distruggendone l’immagine verso il loro pubblico d’elezione, e quello europeo e USA in seconda battuta.
i) Strategie per guadagnare il massimo risultato strategico da Cast Lead: 1) gestire il massimo del coinvolgimento di Egitto e, successivamente, della Giordania nell’area del Sinai settentrionale, magari stabilendo una Conferenza a Quattro con il Rappresentante dell’UE o dell’ONU; 2) convincere con la forza, se necessario, sia l’Egitto che la giordania che HAMAS è una minaccia per loro e che, data la scarsa presenza di un sostegno per HAMAS nelle due pubbliche opinioni, una operazione a tre di distruzione della struttura coperta e di gran parte di quella visibile di HAMAS è nel loro interesse, non solo di Israele, 3) Integrare la federazione Russa, che è stanca dell’inutile “Quartetto”, in una serie di operazioni di stabilizzazione militare dell’area dal Sinai settentrionale fino alla Cisgiordania, con una presenza delle forze miste a presenza russa nelle aree contestate tra Israele e ANP, immaginando una forza multilaterale con la presenza della Cina, della Federazione Russa, di alcuni paesi europei degli USA e dell’India.



[1] Sergi Catignani, Israeli counter-insurgency and the Intifadas, dilemmas of a conventional Army, London, Routledge 2008
[2] MERIP, Middle East Report Online, Cast lwead in the Foudry, 31 December 2008, http://www.merip.org/ area search
[3] Jonathan Schell, The Seventh decade, The new Shape of Nuclear ranger, New York, Holt paperbacks, 2008
[4] Meir Litvak, The role of Hamas in the Al Aqsa intifada, TAUNOTES, n. 9 january 18 2001, in http://www.tau.ac.il/ area search
[5] V.il Libro Bianco della Difesa francese, in http://www.lesrapports.ladocumentationfrançaise.fr/ area search
[6] Bat Ye’or, Eurabia, Lindau, Milano 2007
[7] Maritz Tadros, The Muslim Brotherhood and Islamist politics in the Middle east, London, Routledge, 2009 e, inoltre, v. Ziad Abu-Amr, Islamic fundamentalism in West bank and Gaza, Muslim Brotherhood and Islamic Jihad, indiana University Press 1994
[8] V. i dati su “Arab Watch for Reformation and Democracy”, in http://www.awrd.net/
[9] Saban El Said, Between Pragmatism and Ideology, The Muslim Brotherhood in Jordan 1989-1994, Washington Institute for Nera East Policy, Washington D.C., 1995
[10] V. il discorso di Hassan Nasrallah su Al MANAR TV il 28 Dicembre 2008
[11] V. Does the Palestinian-Israeli Conflict still matter? Saban Center for Near East Policy, transcript, Luly 1, 2008
[12] V. Daurius Figueira, The Al Qaeda Discourse of the Greater Kufr, iUniverse Inc, 2004
[13] Sulla efficiente psyops di HAMAS, v. Sharifa Zuhur, HAMAS and Israel, conflicting strategies of group-based politics, Strategic Studies Institute, Carlisle barracks, cecember 2008
[14] Nabil Khatib, Arab Satellite Stations their role in the Mille East Peace Process, in “The Role of the Media”, vol. 3 1998
[15] HAMAS exploitation of civilians as human shields, Intelligence and Terrorism Information Center, Herzlya January 2009
[16] Marshall McLuhan, Understanding Media, the extension of man, New York, McGraw Hill 1964