Translate

 

Come uscire dalla crisi delle democrazie

Partiti e cittadini: come uscire dalla crisi delle democrazie


Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 28 settembre 2024

Molti, giustamente, pensano e scrivono che la democrazia si trovi in una fase critica della propria vita e, a sostegno di questa tesi, portano i dati sull’avanzamento dei partiti di estrema destra e dei movimenti populisti, dimenticando che queste pericolose evoluzioni sono la diretta conseguenza dell’involuzione della democrazia stessa e che, quindi, i rimedi debbono essere trovati soltanto in un profondo rinnovamento del sistema democratico.

Riflettendo sulle democrazie europee, la loro pesante crisi si fonda sul progressivo cammino verso quella che viene dai politologi definita una frammentazione polarizzata.

Non si tratta di un’astrazione accademica, ma di un’evoluzione che, nella maggioranza dei paesi, ha moltiplicato il numero dei partiti e dei movimenti politici e, nello stesso tempo, ha accresciuto il livello di conflitto esistente fra di loro. Di conseguenza abbiamo governi di durata sempre più breve, con una diminuita capacità di azione e che, spesso, sono spinti a superare questa paralisi con governi tecnici che non sono il frutto del voto popolare.

Prendiamo come esempio la Germania, paese in cui il sistema democratico aveva per decenni potuto contare su una lunga durata dei governi e su una fisiologica loro alternanza. La democrazia tedesca è rinata strutturandosi su due partiti, Democrazia Cristiana da un lato e Partito Socialista dall’altro. Ad essi si sono aggiunti prima i liberali e poi tanti altri, fino ad arrivare a otto partiti rappresentati in Parlamento.

I governi, da monocolore, sono diventati governi di coalizione, in una prima fase formati da forze politiche che condividevano i grandi obiettivi di fondo e, in seguito, da formazioni sempre meno omogenee e più conflittuali, con divergenze non solo con i partiti di opposizione, ma anche fra di loro. La stessa evoluzione, nonostante le grandi differenze delle regole costituzionali e dei sistemi elettorali, è progressivamente avvenuta nella maggioranza dei paesi europei, partendo dall’Olanda fino ad arrivare alla Francia, dove la moltiplicazione dei partiti e la loro radicalizzazione ha dato vita alla formazione di un governo che è sostanzialmente un ibrido fra un governo tecnico e un governo politico.

Si può certamente mettere a questo proposito in rilievo la diversità del caso italiano dove la democrazia è nata già con una durissima polarizzazione fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista e con governi prevalentemente di coalizione, sempre di breve durata.

Questo non vuole certo dire che gli altri paesi europei abbiano seguito l’esempio italiano ma, semplicemente, che questa nostra eccezione era il frutto della polarizzazione internazionale responsabile, fin dall’inizio, di una maggiore fragilità della democrazia italiana.

Oggi questa fragilità è diventata una caratteristica comune. La polarizzazione politica si è pesantemente affermata anche negli Stati Uniti, mettendo perfino a rischio la democrazia in un paese in cui le profonde radici democratiche e il sistema elettorale rendono sostanzialmente impossibile la frammentazione partitica.

Da questo generale indebolimento della democrazia stanno naturalmente traendo profitto i sistemi autoritari che con il crescente, anche se fragile, legame fra Russia e Cina, stanno espandendo la loro influenza in una parte sempre maggiore del pianeta.

Siamo arrivati al paradosso che, in molti paesi asiatici e africani, i veri autoritarismi si presentano come difensori della volontà popolare contro l’autoritarismo dell’Occidente. Sembra che siano Cina e Russia a portare la democrazia al Rest contro il West autoritario.

Questa mistificazione diventa facile da usare in conseguenza delle nostre debolezze. Proprio per la nostra frammentazione e la nostra polarizzazione, il potere democratico è divenuto, come scriveva Moisés Naim “sempre più difficile da esercitare e sempre più facile da perdere“, con il risultato di non essere più in grado di proporre una politica di lungo periodo, mentre i dittatori hanno una durata sostanzialmente indefinita.

partiti antisistema, e sostanzialmente autoritari, che mettono a rischio la democrazia non sono quindi il frutto della loro forza o della credibilità dei loro programmi: semplicemente cavalcano la nostra debolezza e le nostre divisioni. Contano più sulla nostra depressione che sulla loro oppressione.

Non credo che si esca da questa crisi promuovendo una forma di governo come il premierato, scommettendo tutto sul rafforzamento così forte della guida dell’esecutivo che, nella sostanza, insegue una terza via tra autoritarismo e democrazia, esautorando così un Parlamento già indebolito e recidendo il fragile rapporto fra i partiti e il paese. Il rafforzamento della democrazia deve camminare in direzione opposta.

Condizione necessaria perché questo avvenga, è una legge elettorale con collegi uninominali capaci di giocare contro la frammentazione e di obbligare i partiti a proporre candidati non nominati dall’alto, ma eletti da un popolo che li conosce. Solo così si innalza la qualità dei parlamentari e, quindi, il ruolo del Parlamento.

A questo si aggiunge la necessità di un ritorno del dialogo fra partiti e cittadini non più estranei, ma partecipi nel dettare le linee e nella costruzione dei programmi. La democrazia è partecipazione: non sono solo parole di una canzone, ma una semplice necessità perché la democrazia ritorni a vivere con una propria anima, senza inseguire i governi autoritari.

 

Print Friendly, PDF & Email

Io, Sofia e i Novanta



Ho incontrato dal vivo Sofia Loren molti anni fa in occasione della celebrazione del varo di  una grande nave da crociera costruita dalla Fincantieri per conto di un armatore straniero.

 Questa nave rappresentava l'inizio di una linea di grandi bastimenti che avrebbe caratterizzato i decenni successivi vista la ripresa del settore crocieristico. Verso il quale si stava indirizzando una larga parte del turismo internazionale.

 Come vice direttore centrale dell'Iri, con la responsabilità dei contatti con i media, mi sono ritrovato in una sala vip della grande nave dove già sedeva la splendida Sofia.

Sapevo che la presenza della famosa attrice era super pagata dalla Fincantieri e dall'armatore per una azione di Pubbliche Relazioni con personaggi che si sarebbero entusiasmati nello stringere la mano all'artista e scambiare qualche parola.

In quel momento eravamo soli, lei ed io.

Devo ammettere che la signora Loren ha manifestato anche nei confronti del sottoscritto la sua grande capacità di intrattenere una persona assolutamente ordinaria con un modo elegante nel mettere a proprio agio l'interlocutore ordinario.

 Ed è questa la caratteristica dei grandi personaggi che ho riscontrato, tanto per fare un esempio nei Clinton che se vi stringevano la mano ti facevano una serie di domande come se ti avessero conosciuto 20 anni prima.

 Alla signora Loren, tanto per impegnare il tempo, ho detto che la sera prima una televisione italiana aveva trasmesso il film  'La Ciociara' di Vittorio De Sica con il quale aveva vinto l'Oscar..

 Notizia che le ha fatto particolarmente piacere tanto che l'attrice si è lanciata nel descrivere le difficoltà incontrate nel  recitare in America  in uno dei numerosi film.

Per esempio la puntualità a qualsiasi livello professionale è considerata elemento essenziale del lavoro negli gli Stati Uniti e anche sui set cinematografici.

In Italia non è certamente la puntualità uno degli elementi fondamentali  per dichiarare l'eccellenza di una artista.

Basti l'esempio di Marcello Mastroianni i cui ritardi sul set erano motivo di angoscia per i registi.

 Ascoltavo con interesse quanto Sophia Loren mi ricordava delle sue esperienze americane e poi ho notato che dietro di lei ad una distanza di circa 10 metri era comparso un gruppo con il Presidente Bono di Fincantieri, una persona che non apprezzavo per le sue battute acide sul presidente dell'Iri Romano Prodi.

Bono si sbracciava perché lasciassi quella stanza sino ad allora occupata insieme alla famosa attrice.

Ho salutato Sofia e sono uscito galvanizzato, devo riconoscerlo, da quell'incontro con la splendida attrice che tanto onore stava dando all'immagine dell'Italia nel mondo.

 Oggi Sofia ha raggiunto il traguardo dei 90 anni e le auguriamo di non privarci troppo presto della sua meravigliosa presenza..

 Oscar

Marco e Romi,sposi and photos

 Marco e Romi i sono sposati dopo alcuni anni di convivenza.

Il matrimonio civile' e' stato celebrato a Copenhagen, capitale della Danimarca diventata nel breve giro di qualche anno la Las Vegas europea, dove e' possibile ottenere un documento vidimato in breve tempo quando  per una licenza matrimoniale italo indiana ci sarebbero voluto almeno  due mesi.

E' chiaro che i danesi non regalano nulla e lo fanno solo dopo che hai pagato l'agenzia specializzata.

Dopo pochi giorni tutto era pronto per Marco e Romi che si sono recati nel municipio di Copenhagen dove la cerimonia e' stata gestita da una ministra bene in  arnese molto frettolosa perche' aveva da gestire altri diciotto matrimoni.

Giusto il tempo per Marco e Romi di prendere il volo  per Olbia per raggiungere parenti e amici convenuti in Sardegna per festeggiarli.










 

Recuperare produttività: l’intelligenza artificiale fattore decisivo

Recuperare produttività: l’IA fattore decisivo

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 07 settembre 2024

Da ormai qualche anno non si fa che parlare della grande sfida tra Stati Uniti e Cina per il primato nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, ritenuta il fondamento di ogni progresso produttivo e organizzativo.

Siamo invasi dalle statistiche delle spese di ricerca dei due colossi e siamo giustamente preoccupati per il ruolo marginale che l’Europa ricopre in questo settore così decisivo per il nostro futuro.

Senza parlare dell’Italia che non può nemmeno pensare di metter in campo le risorse necessarie per assumere un ruolo di leadership. Tutto vero e tutto preoccupante, soprattutto tenendo conto della lunga stagnazione della produttività del nostro paese. Quando parlo di produttività e di efficienza non mi riferisco solo al settore industriale, ma anche all’immenso campo dei servizi e, in particolar modo, alla Pubblica Amministrazione.

Se invece di concentrarci solo sul futuro ci rivolgessimo alla storia, forse potremmo avere qualche utile indicazione riguardo alla strategia che il nostro paese dovrebbe seguire.

Mi ritornano infatti in mente gli studi compiuti nella mia lontana gioventù sulla grande rivoluzione industriale che, con le innovazioni nel campo dei trasporti, dell’elettricità e delle applicazioni meccaniche, ha cambiato il mondo delle due generazioni che hanno preceduto la Prima Guerra Mondiale.

Il primato nelle innovazioni era, nella grande maggioranza, ancora detenuto dalla Gran Bretagna, ma gli Stati Uniti la sopravanzavano come efficienza, produttività e sviluppo.

Lo si doveva questo in parte alla creazione di un largo mercato, ma molto di più al fatto che, in quella che viene chiamata la seconda rivoluzione industriale, gli Stati Uniti non producevano ancora le macchine strumentali più efficienti, ma le acquistavano e le applicavano a tutti i settori, dalla meccanica alla chimica, dal vetro alla ceramica, dai trasporti alla Pubblica Amministrazione. Adattare le nuove tecnologie al più largo numero di attività economiche è ancora ancora oggi più importante che non essere leader nelle scoperte scientifiche.

Per legare più strettamente queste riflessioni al mondo attuale, non posso che confrontare la Russia e la Corea del Sud. Il primo paese come simbolo di un elevato livello scientifico e una altrettanta scarsa efficienza produttiva e il secondo per la sua modesta rilevanza nell’avanzamento della scienza e per la straordinaria capacità di applicare le innovazioni in tutti i settori produttivi.

Ho nella massima considerazione la ricerca scientifica e penso che il nostro paese abbia la capacità e il dovere di aspirare alle prime posizioni in alcuni campi, ma la strategia per riprendere la gara dell’efficienza e della produttività di tutto il paese non può che essere indirizzata nel diffondere l’uso dell’Intelligenza Artificiale, e delle innovazioni ad essa connesse, alla maggiore parte delle possibili attività del settore pubblico e privato. Allargare il numero di coloro che sanno usare queste nuove tecnologie e incentivare in modo prevalente coloro che le usano deve essere la strategia prevalente, per non dire dominante, per uscire dal ritardo della produttività del nostro sistema.

Una strategia naturalmente complessa, ma alla portata del nostro paese se si compiono, in modo opportuno e coordinato, i passi che devono essere necessariamente portati avanti per un lungo periodo di tempo.

Si deve partire dalla scuola aumentando il numero dei corsi e degli insegnamenti attinenti all’Intelligenza Artificiale e alle sue applicazioni nei diversi settori. Una priorità che può essere accompagnata da incentivi finanziari per gli studenti, gli stagisti e gli insegnanti che si dedicano al raggiungimento di questo obiettivo.

In parallelo debbono essere create nuove istituzioni, che potremmo chiamare Centri Tecnologici, con il compito di fare da ponte fra le ricerche in questi campi e le attività produttive, includendo in modo specifico la Pubblica Amministrazione.

In particolare dovranno essere creati centri specializzati e apprestati gli opportuni incentivi per diffondere l’uso dell’Intelligenza Artificiale alle piccole e medie imprese, incoraggiandone la concentrazione e, se necessario, la fusione. Tutto questo per raggiungere la dimensione sufficiente per essere in grado di applicare queste tecnologie nuove e complesse. Un’applicazione dell’Intelligenza Artificiale che, seguendo la definizione di Quintarelli, potrà anche essere definita “noiosa”, ma che è la sola in grado di rendere più efficienti i processi produttivi. Molti altri strumenti possono essere pensati e discussi, tenendo presente che questi obiettivi saranno raggiunti solo attraverso un’azione concertata con i rappresentanti delle strutture produttive e sindacali.

Bisogna quindi partire dal punto fermo che ogni rivoluzione scientifica e tecnologica provoca una rivoluzione produttiva e che, in questa corsa, occorre certamente spendere di più in ricerca e sviluppo, ma per un paese come l’Italia il risultato più proficuo lo si ottiene solo con un grande sforzo dedicato alla diffusione delle innovazioni.

Pur essendo cosciente che questa strategia si espone a critiche anche pesanti, penso che per l’Italia la scelta migliore non sia quella di produrre il nuovo, ma dedicarsi in modo prioritario a rendere familiare a tutto il nostro sistema economico l’adozione delle innovazioni che il mondo produce. Questa è, inoltre, l’unica scelta che, in futuro, permetterà all’Italia di partecipare in modo più attivo al processo innovativo che è in corso in tutto il pianeta.