La sfida del PNRR – Gli obbiettivi che la politica industriale deve cogliere
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
E’ buona abitudine, prima delle ferie estive, riflettere su come sta andando l’economia e, soprattutto, su come andranno le cose quando l’Italia si rimetterà in piena attività.
In alcune sedi è prevalsa l’idea che il nostro paese sia, da qualche mese, entrato in un ciclo virtuoso di lunga durata che ci porterebbe ad essere, per un non breve tempo, la locomotiva d’Europa.
Quest’ipotesi sarebbe rafforzata dal fatto che, nell’anno in corso, cresceremo di mezzo punto più della Francia e di un punto e mezzo più della Germania, anche se di un punto meno della Spagna.
Quest’ottimismo è corroborato dal risultato sopra le attese che si è avuto nel primo trimestre. Anche il successivo dato di maggio della produzione industriale (+1,6% rispetto ad Aprile) induce ad essere ottimisti.
E’ indubbio, quindi, che la ripresa dell’economia italiana post-Covid abbia dimostrato una certa maggior spinta rispetto agli altri paesi, in particolare nella manifattura e nella sua capacità di esportare.
Tuttavia i dati concreti dimostrano anche che, nonostante i buoni risultati messi in rilievo in precedenza, la produzione industriale dell’anno in corso è calata del 2,45% rispetto allo stesso periodo del 2022.
Alcuni commentatori vedono una staffetta in atto fra la manifattura in calo e i servizi privati in crescita. Sempre leggendo i dati, la somma del valore aggiunto dell’insieme del commercio e del così detto HoReCa (Hotels-Restaurants-Catering) è stabile dalla scorsa estate nella speranza che, per effetto soprattutto del turismo, sia positiva anche per l’estate in corso, pur nutrendo serie preoccupazioni per il settore commerciale che risente pesantemente del calo dei consumi, dovuto al forte differenziale fra la diminuzione del potere d’acquisto dei salari rispetto alla crescita dei prezzi.
Se si esamina l’andamento complessivo dei servizi, si deve però concludere che l’aspetto positivo si deve attribuire soprattutto al settore immobiliare, in conseguenza della sua grande influenza sulle attività professionali, tecniche e amministrative a supporto dell’edilizia.
D’altra parte sono proprio gli investimenti in costruzioni che hanno trascinato e tuttora, anche se in progressivo calo, stanno trascinando la crescita. Il boom delle costruzioni in Italia non ha confronti rispetto agli altri paesi. Si tratta di un’esplosione da mettere in relazione con i numerosi e poderosi incentivi pubblici dedicati all’edilizia. Si noti che nel bilancio di competenza degli anni 2021 e 2022 è stata dedicata ai vari incentivi immobiliari l’ imponente somma di 82 miliardi di Euro.
Il rapporto Prometeia stima che solo gli incentivi Superbonus 110% e Bonus Facciate abbiano contribuito per circa il 2% del PIL cumulativo del 2021 e 2022. Tutto questo, insieme al favorevole andamento dell’export a cui ha indubbiamente concorso la limitazione del costo del lavoro, spiega una parte importante del buon andamento della nostra economia. Si tratta naturalmente di incentivi che stanno progressivamente attenuandosi fino a scomparire e che, dopo aver provocato indubbi benefici alla crescita, aggiungono ora ulteriori preoccupazioni per i già difficili equilibri del nostro bilancio pubblico.
Tirando le somme, le prospettive non sono per una recessione, ma per un periodo di crescita limitata, quasi di stagnazione. Nei dati definitivi riguardo al secondo trimestre di quest’anno si registrerà una crescita sostanzialmente nulla e qualche decimo positivo nell’ultimo semestre dell’anno. Tenendo costo dei buoni dati del primo trimestre, il risultato definitivo per l’anno in corso sarà intorno all’1,1%, mentre la crescita si assesterà intorno allo 0,7% per il 2024.
Niente recessione, quindi, perché l’occupazione va bene e le famiglie hanno ancora parte dei risparmi accumulati nel periodo del Covid: circa 200 miliardi, anche se concentrati nella fasce di reddito più elevate e quindi con una bassa propensione al consumo. Il buon andamento dell’occupazione, in questo scenario di crescita molto limitata, significa però che non vi sarà un sostanziale aumento della produttività.
Il che pone un interrogativo molto serio su come sono state impiegate e come si stanno impiegando le imponenti risorse messe a disposizione dal PNRR.
Esse, infatti, avevano come principale obiettivo proprio l’aumento della produttività, mentre i dati disponibili dicono che esse stanno andando soprattutto in altre direzioni.
L’insegnamento che se ne ricava sottolinea la necessità di concentrare tutte le risorse possibili (dentro o fuori dal PNRR) verso gli investimenti che aumentano la produttività e che, di conseguenza, migliorano la nostra capacità concorrenziale.
Uno scenario possibile, anche se ottimista, prevede che il PNRR attivi investimenti aggiuntivi di 10 miliardi per quest’anno e 20 per l’anno prossimo. Cerchiamo almeno di fare in modo che, con una nuova politica industriale, questo obiettivo venga raggiunto. In secondo luogo bisogna dedicare grande attenzione alle esportazioni, per riequilibrare il calo della domanda delle economie dei paesi più legati a noi, a partire dalla Germania.
In questo caso il nostro basso costo del lavoro ci sta aiutando ma, se contiamo troppo su questo, diventeremo adagio adagio un paese del terzo mondo.
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