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Come uscire dalla crisi delle democrazie

Partiti e cittadini: come uscire dalla crisi delle democrazie


Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 28 settembre 2024

Molti, giustamente, pensano e scrivono che la democrazia si trovi in una fase critica della propria vita e, a sostegno di questa tesi, portano i dati sull’avanzamento dei partiti di estrema destra e dei movimenti populisti, dimenticando che queste pericolose evoluzioni sono la diretta conseguenza dell’involuzione della democrazia stessa e che, quindi, i rimedi debbono essere trovati soltanto in un profondo rinnovamento del sistema democratico.

Riflettendo sulle democrazie europee, la loro pesante crisi si fonda sul progressivo cammino verso quella che viene dai politologi definita una frammentazione polarizzata.

Non si tratta di un’astrazione accademica, ma di un’evoluzione che, nella maggioranza dei paesi, ha moltiplicato il numero dei partiti e dei movimenti politici e, nello stesso tempo, ha accresciuto il livello di conflitto esistente fra di loro. Di conseguenza abbiamo governi di durata sempre più breve, con una diminuita capacità di azione e che, spesso, sono spinti a superare questa paralisi con governi tecnici che non sono il frutto del voto popolare.

Prendiamo come esempio la Germania, paese in cui il sistema democratico aveva per decenni potuto contare su una lunga durata dei governi e su una fisiologica loro alternanza. La democrazia tedesca è rinata strutturandosi su due partiti, Democrazia Cristiana da un lato e Partito Socialista dall’altro. Ad essi si sono aggiunti prima i liberali e poi tanti altri, fino ad arrivare a otto partiti rappresentati in Parlamento.

I governi, da monocolore, sono diventati governi di coalizione, in una prima fase formati da forze politiche che condividevano i grandi obiettivi di fondo e, in seguito, da formazioni sempre meno omogenee e più conflittuali, con divergenze non solo con i partiti di opposizione, ma anche fra di loro. La stessa evoluzione, nonostante le grandi differenze delle regole costituzionali e dei sistemi elettorali, è progressivamente avvenuta nella maggioranza dei paesi europei, partendo dall’Olanda fino ad arrivare alla Francia, dove la moltiplicazione dei partiti e la loro radicalizzazione ha dato vita alla formazione di un governo che è sostanzialmente un ibrido fra un governo tecnico e un governo politico.

Si può certamente mettere a questo proposito in rilievo la diversità del caso italiano dove la democrazia è nata già con una durissima polarizzazione fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista e con governi prevalentemente di coalizione, sempre di breve durata.

Questo non vuole certo dire che gli altri paesi europei abbiano seguito l’esempio italiano ma, semplicemente, che questa nostra eccezione era il frutto della polarizzazione internazionale responsabile, fin dall’inizio, di una maggiore fragilità della democrazia italiana.

Oggi questa fragilità è diventata una caratteristica comune. La polarizzazione politica si è pesantemente affermata anche negli Stati Uniti, mettendo perfino a rischio la democrazia in un paese in cui le profonde radici democratiche e il sistema elettorale rendono sostanzialmente impossibile la frammentazione partitica.

Da questo generale indebolimento della democrazia stanno naturalmente traendo profitto i sistemi autoritari che con il crescente, anche se fragile, legame fra Russia e Cina, stanno espandendo la loro influenza in una parte sempre maggiore del pianeta.

Siamo arrivati al paradosso che, in molti paesi asiatici e africani, i veri autoritarismi si presentano come difensori della volontà popolare contro l’autoritarismo dell’Occidente. Sembra che siano Cina e Russia a portare la democrazia al Rest contro il West autoritario.

Questa mistificazione diventa facile da usare in conseguenza delle nostre debolezze. Proprio per la nostra frammentazione e la nostra polarizzazione, il potere democratico è divenuto, come scriveva Moisés Naim “sempre più difficile da esercitare e sempre più facile da perdere“, con il risultato di non essere più in grado di proporre una politica di lungo periodo, mentre i dittatori hanno una durata sostanzialmente indefinita.

partiti antisistema, e sostanzialmente autoritari, che mettono a rischio la democrazia non sono quindi il frutto della loro forza o della credibilità dei loro programmi: semplicemente cavalcano la nostra debolezza e le nostre divisioni. Contano più sulla nostra depressione che sulla loro oppressione.

Non credo che si esca da questa crisi promuovendo una forma di governo come il premierato, scommettendo tutto sul rafforzamento così forte della guida dell’esecutivo che, nella sostanza, insegue una terza via tra autoritarismo e democrazia, esautorando così un Parlamento già indebolito e recidendo il fragile rapporto fra i partiti e il paese. Il rafforzamento della democrazia deve camminare in direzione opposta.

Condizione necessaria perché questo avvenga, è una legge elettorale con collegi uninominali capaci di giocare contro la frammentazione e di obbligare i partiti a proporre candidati non nominati dall’alto, ma eletti da un popolo che li conosce. Solo così si innalza la qualità dei parlamentari e, quindi, il ruolo del Parlamento.

A questo si aggiunge la necessità di un ritorno del dialogo fra partiti e cittadini non più estranei, ma partecipi nel dettare le linee e nella costruzione dei programmi. La democrazia è partecipazione: non sono solo parole di una canzone, ma una semplice necessità perché la democrazia ritorni a vivere con una propria anima, senza inseguire i governi autoritari.

 

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Io, Sofia e i Novanta



Ho incontrato dal vivo Sofia Loren molti anni fa in occasione della celebrazione del varo di  una grande nave da crociera costruita dalla Fincantieri per conto di un armatore straniero.

 Questa nave rappresentava l'inizio di una linea di grandi bastimenti che avrebbe caratterizzato i decenni successivi vista la ripresa del settore crocieristico. Verso il quale si stava indirizzando una larga parte del turismo internazionale.

 Come vice direttore centrale dell'Iri, con la responsabilità dei contatti con i media, mi sono ritrovato in una sala vip della grande nave dove già sedeva la splendida Sofia.

Sapevo che la presenza della famosa attrice era super pagata dalla Fincantieri e dall'armatore per una azione di Pubbliche Relazioni con personaggi che si sarebbero entusiasmati nello stringere la mano all'artista e scambiare qualche parola.

In quel momento eravamo soli, lei ed io.

Devo ammettere che la signora Loren ha manifestato anche nei confronti del sottoscritto la sua grande capacità di intrattenere una persona assolutamente ordinaria con un modo elegante nel mettere a proprio agio l'interlocutore ordinario.

 Ed è questa la caratteristica dei grandi personaggi che ho riscontrato, tanto per fare un esempio nei Clinton che se vi stringevano la mano ti facevano una serie di domande come se ti avessero conosciuto 20 anni prima.

 Alla signora Loren, tanto per impegnare il tempo, ho detto che la sera prima una televisione italiana aveva trasmesso il film  'La Ciociara' di Vittorio De Sica con il quale aveva vinto l'Oscar..

 Notizia che le ha fatto particolarmente piacere tanto che l'attrice si è lanciata nel descrivere le difficoltà incontrate nel  recitare in America  in uno dei numerosi film.

Per esempio la puntualità a qualsiasi livello professionale è considerata elemento essenziale del lavoro negli gli Stati Uniti e anche sui set cinematografici.

In Italia non è certamente la puntualità uno degli elementi fondamentali  per dichiarare l'eccellenza di una artista.

Basti l'esempio di Marcello Mastroianni i cui ritardi sul set erano motivo di angoscia per i registi.

 Ascoltavo con interesse quanto Sophia Loren mi ricordava delle sue esperienze americane e poi ho notato che dietro di lei ad una distanza di circa 10 metri era comparso un gruppo con il Presidente Bono di Fincantieri, una persona che non apprezzavo per le sue battute acide sul presidente dell'Iri Romano Prodi.

Bono si sbracciava perché lasciassi quella stanza sino ad allora occupata insieme alla famosa attrice.

Ho salutato Sofia e sono uscito galvanizzato, devo riconoscerlo, da quell'incontro con la splendida attrice che tanto onore stava dando all'immagine dell'Italia nel mondo.

 Oggi Sofia ha raggiunto il traguardo dei 90 anni e le auguriamo di non privarci troppo presto della sua meravigliosa presenza..

 Oscar

Marco e Romi,sposi and photos

 Marco e Romi i sono sposati dopo alcuni anni di convivenza.

Il matrimonio civile' e' stato celebrato a Copenhagen, capitale della Danimarca diventata nel breve giro di qualche anno la Las Vegas europea, dove e' possibile ottenere un documento vidimato in breve tempo quando  per una licenza matrimoniale italo indiana ci sarebbero voluto almeno  due mesi.

E' chiaro che i danesi non regalano nulla e lo fanno solo dopo che hai pagato l'agenzia specializzata.

Dopo pochi giorni tutto era pronto per Marco e Romi che si sono recati nel municipio di Copenhagen dove la cerimonia e' stata gestita da una ministra bene in  arnese molto frettolosa perche' aveva da gestire altri diciotto matrimoni.

Giusto il tempo per Marco e Romi di prendere il volo  per Olbia per raggiungere parenti e amici convenuti in Sardegna per festeggiarli.










 

Recuperare produttività: l’intelligenza artificiale fattore decisivo

Recuperare produttività: l’IA fattore decisivo

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 07 settembre 2024

Da ormai qualche anno non si fa che parlare della grande sfida tra Stati Uniti e Cina per il primato nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, ritenuta il fondamento di ogni progresso produttivo e organizzativo.

Siamo invasi dalle statistiche delle spese di ricerca dei due colossi e siamo giustamente preoccupati per il ruolo marginale che l’Europa ricopre in questo settore così decisivo per il nostro futuro.

Senza parlare dell’Italia che non può nemmeno pensare di metter in campo le risorse necessarie per assumere un ruolo di leadership. Tutto vero e tutto preoccupante, soprattutto tenendo conto della lunga stagnazione della produttività del nostro paese. Quando parlo di produttività e di efficienza non mi riferisco solo al settore industriale, ma anche all’immenso campo dei servizi e, in particolar modo, alla Pubblica Amministrazione.

Se invece di concentrarci solo sul futuro ci rivolgessimo alla storia, forse potremmo avere qualche utile indicazione riguardo alla strategia che il nostro paese dovrebbe seguire.

Mi ritornano infatti in mente gli studi compiuti nella mia lontana gioventù sulla grande rivoluzione industriale che, con le innovazioni nel campo dei trasporti, dell’elettricità e delle applicazioni meccaniche, ha cambiato il mondo delle due generazioni che hanno preceduto la Prima Guerra Mondiale.

Il primato nelle innovazioni era, nella grande maggioranza, ancora detenuto dalla Gran Bretagna, ma gli Stati Uniti la sopravanzavano come efficienza, produttività e sviluppo.

Lo si doveva questo in parte alla creazione di un largo mercato, ma molto di più al fatto che, in quella che viene chiamata la seconda rivoluzione industriale, gli Stati Uniti non producevano ancora le macchine strumentali più efficienti, ma le acquistavano e le applicavano a tutti i settori, dalla meccanica alla chimica, dal vetro alla ceramica, dai trasporti alla Pubblica Amministrazione. Adattare le nuove tecnologie al più largo numero di attività economiche è ancora ancora oggi più importante che non essere leader nelle scoperte scientifiche.

Per legare più strettamente queste riflessioni al mondo attuale, non posso che confrontare la Russia e la Corea del Sud. Il primo paese come simbolo di un elevato livello scientifico e una altrettanta scarsa efficienza produttiva e il secondo per la sua modesta rilevanza nell’avanzamento della scienza e per la straordinaria capacità di applicare le innovazioni in tutti i settori produttivi.

Ho nella massima considerazione la ricerca scientifica e penso che il nostro paese abbia la capacità e il dovere di aspirare alle prime posizioni in alcuni campi, ma la strategia per riprendere la gara dell’efficienza e della produttività di tutto il paese non può che essere indirizzata nel diffondere l’uso dell’Intelligenza Artificiale, e delle innovazioni ad essa connesse, alla maggiore parte delle possibili attività del settore pubblico e privato. Allargare il numero di coloro che sanno usare queste nuove tecnologie e incentivare in modo prevalente coloro che le usano deve essere la strategia prevalente, per non dire dominante, per uscire dal ritardo della produttività del nostro sistema.

Una strategia naturalmente complessa, ma alla portata del nostro paese se si compiono, in modo opportuno e coordinato, i passi che devono essere necessariamente portati avanti per un lungo periodo di tempo.

Si deve partire dalla scuola aumentando il numero dei corsi e degli insegnamenti attinenti all’Intelligenza Artificiale e alle sue applicazioni nei diversi settori. Una priorità che può essere accompagnata da incentivi finanziari per gli studenti, gli stagisti e gli insegnanti che si dedicano al raggiungimento di questo obiettivo.

In parallelo debbono essere create nuove istituzioni, che potremmo chiamare Centri Tecnologici, con il compito di fare da ponte fra le ricerche in questi campi e le attività produttive, includendo in modo specifico la Pubblica Amministrazione.

In particolare dovranno essere creati centri specializzati e apprestati gli opportuni incentivi per diffondere l’uso dell’Intelligenza Artificiale alle piccole e medie imprese, incoraggiandone la concentrazione e, se necessario, la fusione. Tutto questo per raggiungere la dimensione sufficiente per essere in grado di applicare queste tecnologie nuove e complesse. Un’applicazione dell’Intelligenza Artificiale che, seguendo la definizione di Quintarelli, potrà anche essere definita “noiosa”, ma che è la sola in grado di rendere più efficienti i processi produttivi. Molti altri strumenti possono essere pensati e discussi, tenendo presente che questi obiettivi saranno raggiunti solo attraverso un’azione concertata con i rappresentanti delle strutture produttive e sindacali.

Bisogna quindi partire dal punto fermo che ogni rivoluzione scientifica e tecnologica provoca una rivoluzione produttiva e che, in questa corsa, occorre certamente spendere di più in ricerca e sviluppo, ma per un paese come l’Italia il risultato più proficuo lo si ottiene solo con un grande sforzo dedicato alla diffusione delle innovazioni.

Pur essendo cosciente che questa strategia si espone a critiche anche pesanti, penso che per l’Italia la scelta migliore non sia quella di produrre il nuovo, ma dedicarsi in modo prioritario a rendere familiare a tutto il nostro sistema economico l’adozione delle innovazioni che il mondo produce. Questa è, inoltre, l’unica scelta che, in futuro, permetterà all’Italia di partecipare in modo più attivo al processo innovativo che è in corso in tutto il pianeta.

Può sembrare assurdo ringraziare la convenzione democratica

 Può sembrare assurdo ringraziare la convenzione democratica che si è tenuta nei giorni scorsi a Chicago.

Ma, come spesso si dice, gli anziani hanno la lacrima facile.

 E devo riconoscere che questa convenzione  a Chicago dei democratici i americani ;all'ultimo momento sulle rovine del precedente programma che si basava in prevalenza sul presidente Joe Biden ha avuto un enorme successo mediatico in una nazione radicalizzata in due tronconi: i democratici e Trump.

Un programa quello di Biden che manifestava da ogni poro la voglia di mollare tutto a favore del reincarnato Lucifero, al secolo Donald Trump.

Voglia di smettere, voglia di "abbiamo già dato."  Voglia di non sapere dove mettere le mani per trovare un valido ricambio.

Poi qualcuno ha tirato fuori dal cilindro il nome di Kamala Harris. 

I dirigenti del Partito Democratico, gli addetti ai lavori hanno ritrovato energie e voglia di cimentarsi su una candidata che offriva ottime chances di recupero rispetto alla armata lanzichenecca dell'aspirante autocrate Donald.

 Il vostro redattore ha seguito la maggioranza degli interventi. Rinunciando a ore di sonno. La maggior parte dei quali denotava alta professionalità dei ghost writers che si sono cimentati nel far apparire i nomi della organizzazione Democratica americana ancora smaglianti nonostante i decenni trascorsi dal loro impegno primario nella gestione delle cose dello stato americano.

 Quanto agli oratori ognuno rivelava ore di attenta esercitazione con professionisti al punto che ogni intervento al microfono di fronte agli oltre 36000 ammassati nell'auditorium di Chicago si dipanava senza errori.

 Ne parliamo con conoscenza di causa perché per anni abbiamo fatto questo mestiere al fianco di importanti personaggi dell'economia e della politica italiana.

Quando il nome di Harris e di Walz è venuto fuori è stato come una iniezione di un potente ricostituente in un organismo flaccido. E privo di energia fisica e mentale.

 Kamala si presentava con un bagaglio di esperienze fondamentali fatto in California. Ed inoltre nei quattro anni di vicepresidenza con Biden aveva saputo gestire senza strafare importanti fascicoli della Casa Bianca*

Sembra che per questo incredibile personaggio,dotato oltretutto di grande presenza e di  eloquenza, si siano spesi l'ex speaker della camera Nancy Pelosi è l'ex presidente Barack Obama.La scelta non poteva essere più significativa.

. Lo ha dimostrato kamala Harris nel suo intervento di 20 minuti di fronte a una platea di persone che non credevano a i propri occhi ed erano come invasate,per quanto Kamala stava dicendo al microfono. 

 E badate, non è che Kamala Harris dicesse qualcosa di nuovo. Ma era il modo in cui lo diceva che contrastava per il tono con i cupi messaggi inviati dalla banda Trump.

E soprattutto dava di nuovo al popolo Democratico americano una speranza di successo dopo i mesi di depressione che avevano caratterizzato il programma elettorale di Joe biden.*

Appena il nome di kamala Harris ha cominciato a rimbalzare sui media americani Donald Trump ha sfoderato il suo repertorio misogino che trova le sue radici lontane in un famoso intervento registrato all'interno di un pullman prima che Donald si concedesse per una intervista radiofonica gestita da una giornalista nota per la sua bellezza più che per il suo talento.

 Come noteranno i nostri lettori che vorranno cimentarsi nella lettura di queste trascrizioni, Donald Trump, che non era certo un ragazzino all'epoca, era solito dire che ci sono molte donne disponibili a farsi smanacciare il sesso se  gli capita di essere presentate a qualche vip molto importante. 

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Erano passati solo pochi mesi dalla nascita del primogenito della coppia Trump Melania e Donald si impegnava nelle sue arrampica sessuali.con ona nota dispensatrice di sesso a pagamento 

Salvo poi costringere il suo avvocato a versare oltre 130 mila dollari alla suddetta per garantirsi il suo silenzio.

Transcripts: What the mics caught Donald Trump saying in 2005 and what he said in his taped apology

The following is a transcript of Donald Trump and Billy Bush talking off and on camera during a 2005 taping of an Access Hollywood segment. The footage was first obtained and released by the Washington Post.

(Warning: Contains graphic language)


What the mic captured during the 2005 ‘Access Hollywood’ segment:

Donald Trump: You know and—

Unidentified voice: She used to be great. She’s still very beautiful.

Trump: I moved on her actually. You know she was down on Palm Beach. I moved on her and I failed. I’ll admit it. I did try and fuck her. She was married.

Unidentified voice:  That’s huge news there.

Trump: No, no. Nancy. No this was— And I moved on her very heavily. In fact, I took her out furniture shopping. She wanted to get some furniture. I said, ‘I’ll show you where they have some nice furniture.’ I took her out furniture– I moved on her like a bitch, but I couldn’t get there. And she was married. Then all of a sudden I see her, she’s now got the big phony tits and everything. She’s totally changed her look.

Bush: Sheesh, your girl’s hot as shit. In the purple.

Trump: Whoa!

Bush: Yes. Yes, the Donald has scored!

Trump: Whoa!

Bush: Whoa, my man!

Unidentified voice: Wait, wait you’ve got to look at me when you get out and be like ... will you give me the thumbs up? You’ve got to put the thumbs up.

[crosstalk]

Trump: Look at you. You are a pussy.

[crosstalk]

Unidentified voice: You’ve got to get the thumbs up. You can’t be too happy, man.

Trump: Alright, you and I will walk down.

[crosstalk]

Trump: Maybe it’s a different one.

Bush: It better not be the publicist. No, it’s her. It’s her.

Trump: Yeah, that’s her, with the gold. I’ve got to use some Tic Tacs, just in case I start kissing her. You know I’m automatically attracted to beautiful — I just start kissing them. It’s like a magnet. I just kiss. I don’t even wait. And when you’re a star, they let you do it. You can do anything.

Unidentified voice: Whatever you want.

Trump: Grab them by the pussy. You can do anything.

[crosstalk and chuckling]

Unidentified voice: Yeah those legs, all I can see is the legs.

Trump: Oh, it looks good.

Unidentified voice: Come on, shorty.

Trump: Oh, nice legs, huh?

Bush: Oof, get out of the way, honey. Oh, that’s good legs. Go ahead.

Trump: It’s always good if you don’t fall out of the bus. Like Ford. Gerald Ford, remember?

Bush: Down below. Pull the handle.

Trump: Hello. How are you? Hi.

Arianne Zucker: Hi Mr. Trump. How are you? Pleasure to meet you.

Trump: Nice seeing you. Terrific, terrific. You know Billy Bush?

Bush: Hello, nice to see you. How are you doing, Arianne?

Zucker: I’m doing very well, thank you. [To Trump] Are you ready to be a soap star?

Trump: We’re ready, let’s go. Make me a soap star.

Bush: How about a little hug for the Donald? He just got off the bus.

Zucker: Would you like a little hug, darling?

Trump: Okay, absolutely. Melania said this was okay.

Bush: How about a little hug for the Bushy? I just got off the bus. There we go. Excellent. Well, you’ve got a nice co-star here.

Zucker:  Yes. Absolutely.

Trump: Good. After you. Come on, Billy. Don’t be shy.

Bush: As soon as a beautiful woman shows up, he just, he takes off on me. This always happens.

Trump: Get over here Billy.

Zucker: I’m sorry, come here.

Bush: Let the little guy in here, come on.

Zucker:  Yeah, let the little guy in. How you feel now? Better?

Bush: It’s hard to walk next to a guy like this.

Zucker: I should actually be in the middle.

Bush: Yeah, you get in the middle. There we go.

Trump: Good, that’s better.

Zucker: This is much better. This is—

Trump: That’s better.

Bush: Now, if you had to choose, honestly, between one of us: me or the Donald? Who would it be?

Trump: I don’t know, that’s tough competition.

Zucker: That’s some pressure right there.

Bush: Seriously, you had to take one of us as a date.

Zucker:  I have to take the 5th on that one.

Bush:  Really?

Zucker:  Yup. I’ll take both.

Trump: Which way?

Zucker: Make a right. Here we go. [inaudible]

Bush: Here he goes. I’m going to leave you here. Give me my microphone.

Trump: Okay okay. Oh, you’re finished?

Bush: You’re my man. Yeah.

Trump: Oh good.

Bush: I’m going to go do our show.

Zucker: Oh, you want to reset? Okay.

Transcript of Donald Trump’s taped apology released after the 2005 audio and video became public:

Trump: I've never said I'm a perfect person, nor pretended to be someone that I'm not. I've said and done things I regret, and the words released today on this more-than-a-decade-old video are one of them.

Anyone who knows me knows these words don't reflect who I am. I said it, I was wrong, and I apologize. I have traveled the country talking about change for America, but my travels have also changed me. I've spent time with grieving mothers who have lost their children, laid-off workers whose jobs have gone to other countries, and people from all walks of life who just want a better future.

I have gotten to know the great people of our country, and I've been humbled by the faith they've placed in me. I pledge to be a better man tomorrow and will never, ever let you down.

Let's be honest: We're living in the real world. This is nothing more than a distraction from the important issues we're facing today. We are losing our jobs, we're less safe than we were eight years ago, and Washington is totally broken.

Hillary Clinton and her kind have run our country into the ground. I've said some foolish things, but there's a big difference between the words and actions of other people.

Bill Clinton has actually abused women, and Hillary has bullied, attacked, shamed and intimidated his victims. We will discuss this more in the coming days

Staff writers Alex Wigglesworth and Melanie Mason contributed to this report

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Il ticket Harris Walz ha galvanizzato gli Stati Uniti al punto che le donazioni hanno raggiunto i 540 milioni di dollari. Mentre l'audience delle quattro giornate della convention e' stata di 29 milioni di spettatori.

Appena il nome della Harris ha cominciato a circolare sui media Donald Trump non ha smentito se stesso e la sua misoginia, 

Indirizzando all'avversario Harris espressioni del tipo: "è un'idiota con uno scarso quoziente di intelligenza...".* 

La cronaca politica vede 200 ex alti collaboratori elettorali di vari esponenti repubblicani Trump incluso,.che hanno dichiarato il loro endorsement al ticket Harris Walz.

E poi c'è il problema dei microfoni caldi nei prossimi scontri televisivi: i democratici vorrebbero chiudere i microfoni dopo ogni intervento di  Kamala per evitare che Donald Trump, che non rispetta alcuna regola, possa disturbare o intervenire nel dibattito al di là dei limiti che gli sono stati assegnati.

Che poi e' quello che succede in Italia nei dibattiti televisivi che spesso sono dei pollai con i partecipanti che si sovrappongono in un risultato finale di grande confusione.

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Alessandro Petti

1:19 PM (3 hours ago)
to me

Grazie Oscar per il tuo commento, informato, lucido come sempre.

Oltre le idee e i progetti è fondamentale il modo, la tecnica e l’ “arte retorica” con cui vengono esposti (in 20 minuti dalla Harris a Chicago!!). Non v’è traccia qui oggi, da noi, non solo di questa grande arte di saper comunicare – peraltro inventata e coltivata in questa parte del mondo dai latini e prima ancora dai greci- ma nemmeno di metà del pathos e delle idee che i democratici  USA stanno proponendo al loro Paese contro il ducetto (o la ducetta) illiberale che di tanto in tanto si affaccia nella politica, non solo in Europa. Operano, questi ducetti, aprofittando del “virus del populismo”  che ovunque infetta il mondo e per il quale non sembra esservi medicina. Come quando nei vecchi film western americani la folla – the crowd !– chiede a gran voce, solo sulla base di istinti e odio, che il mal capitato di turno venga impiccato senza processo). Ecco, questo processo, che ad es. mi sembra si tardi a fare in modo completo al ducetto Trump per i crimini commessi, è:  “il processo democratico”!

Quello che fu fatto a Norimberga per la maggior parte dei criminali nazisti. Ma che non fu fatto in Italia per i fascisti che si macchiarono di crimini durante il ventennio e che l’amnistia “di pacificazione”  Gasperi -Togliatti del ‘46  impedì di compiere. Ne stiamo pagando le conseguenze ancora oggi, qui in Italia.

Sandro .  

Voto USA: un paese diviso e le mosse (obbligate) dell’Europa


Il voto Usa e le mosse (obbligate) dell’Europa


Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 03 agosto 2024

A due settimane dalla rinuncia di Joe Biden, la candidatura di Kamala Harris per le elezioni presidenziali di novembre è sostanzialmente sicura, ancor prima della Convenzione del Partito Democratico.

Una candidatura lanciata dallo stesso Presidente Biden, poi condivisa dalla gran parte dei vertici democratici, fino a diventare certa dopo il definitivo e atteso appoggio di Obama.

Con questo passaggio di consegne il quadro competitivo è totalmente cambiato.

Mentre in precedenza la vittoria di Trump era praticamente scontata, tanto da spingerlo a scegliere come suo candidato per la vicepresidenza un politico ancora più radicale, costruito su misura per attaccare Biden, l’arrivo di Kamala Harris ha riaperto la partita, mettendo perfino in secondo piano l’attentato a Trump.

Un primo segnale di cambiamento è arrivato dall’immediata crescita dei contributi finanziari alla campagna democratica, contributi non provenienti da ricchi donatori, ma da molte decine di migliaia di piccoli contributori. In parallelo Donald Trump ha messo in dubbio lo svolgimento del secondo dibattito televisivo che avrebbe ovviamente dovuto svolgersi con Biden. Un confronto che, dopo la disastrosa prestazione di Biden nel primo incontro, ne avrebbe certamente consacrato la definitiva sconfitta.

Dopo di che siamo di fronte a un fiume di indagini demoscopiche, che stanno semplicemente mettendo sempre più in dubbio l’esito finale della battaglia elettorale.

Le analisi più recenti, nella maggioranza dei casi, indicano ancora maggiori prospettive di vittoria per Trump, ma con margini talmente ristretti da mettere un punto interrogativo sul risultato finale. Il New York Times parla di un vantaggio di Trump intorno all’1%, il Wall Street Journal e la CNN di un punto in più ma, negli ultimi giorni, siamo anche in presenza di sondaggi che prevedono una sostanziale parità o una leggera prevalenza della candidata democratica. Si tratta in ogni caso di un cambiamento radicale rispetto ai dati precedenti all’arrivo di Kamala Harris, dati che evidenziavano un vantaggio di Trump su Biden di almeno sei punti.

La prima ragione di questo cambiamento si fonda più sull’evidente fragilità fisica dell’ancora presidente Biden che non sul grado di innovazione espresso in passato dalla nuova candidata. Kamala Harris infatti, nella sua funzione di vicepresidente, non ha mai espresso opinioni divergenti da quelle di Biden e ha giocato un ruolo molto minore rispetto all’immagine di personalità forte e capace di scelte coraggiose che aveva espresso nella sua precedente professione di magistrato.

Tuttavia, a ben guardare, è anche possibile che questo ruolo marginale nell’esercizio della funzione di vicepresidente finisca per giovarle, dato che nessuno può imputare a lei l’aumento dei prezzi, che era il punto debole di Biden, nonostante l’ottimo andamento dell’economia durante tutto il quadriennio della sua presidenza.

La nuova candidata, inoltre, può contare su un possibile voto favorevole di molti giovani che avevano abbandonato il partito democratico ritenendo la politica americana troppo debole nei confronti dell’ormai lunga e sanguinosa azione militare israeliana nei confronti di Gaza. Questo capitolo è di estrema importanza dato che gli Stati decisivi per il risultato finale hanno la percentuale più elevata di cittadini provenienti dal Medio Oriente.

La dimensione di questi spostamenti dipenderà dalle dichiarazioni e dalle prese di posizione su questi temi da parte della nuova candidata in una campagna elettorale durante la quale Trump tenderà a presentarla come ultra radicale. Per controbattere quest’immagine sarà quindi importante la scelta del candidato alla Vice Presidenza.

La scelta di J.D. Vance, politico che, pur utilizzando un linguaggio populista, si schiera ancora più a destra di Trump, non può perciò contribuire ad allargarne il consenso. Cosa che è invece ancora possibile a Kamala Harris che potrà scegliere fra candidati che che possano allargare il suo consenso elettorale. Si parla del governatore della Pennsylvania Josh Shapiro o del senatore dell’Arizona Mark Kelly, capaci entrambi di attrarre voti in Stati particolarmente importanti per l’elezione del nuovo Presidente. In ogni caso sarà maschio, bianco, moderato e con un’immagine di severità nei confronti degli immigrati.

Certamente ci troviamo di fronte a un’America profondamente divisa, che aggiunge alle già grandi divisioni fra bianchi e neri, fra istruiti e non istruiti, fra abitanti delle aree metropolitane e cittadini dei centri minori anche un insanabile dissidio fra coloro che adorano e coloro che odiano Trump.

Il nuovo presidente avrà quindi di fronte a sé, come primario compito, la riunificazione del paese. Un compito impossibile per Trump che ha fondato la sua forza sulla sua crescente radicalizzazione, ma difficilissimo anche per Kamala Harris, soprattutto dopo una campagna elettorale che sarà, come si usa dire, all’ultimo sangue.

Da parte europea, in questa fase di incertezza, l’unica strategia rimane quella di prepararsi al peggio, cercando che cosa si può fare, in caso di vittoria di Trump, per difendersi da un’imposizione doganale del 10% su tutte le nostre esportazioni e da dazi mirati su una serie di prodotti per noi particolarmente importanti. Trump ha fatto della guerra commerciale (America First) la base del suo programma elettorale e non si tirerà indietro. A Bruxelles si sta pensando a come ci si potrebbe difendere senza provocare una guerra commerciale con il paese con cui l’Europa ha la maggior quantità di scambi e investimenti incrociati. Dobbiamo esercitare fermezza, ma dobbiamo anche essere coscienti che una guerra economica non giova a nessuno e che saremo quindi costretti anche ad accettare compromessi non sempre gradevoli. A una politica sconsiderata non si può che rispondere con una strategia capace di mettere insieme fermezza e saggezza.

Si rinforza la cortina di ferro tra Cina e Occidente


La cortina di ferro tra Cina e Occidente


Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 27 luglio 2024

Sono molte le tensioni e le divisioni esistenti all’interno degli Stati Uniti, ma tutta la politica americana trova un unico punto di convergenza: l’ostilità nei confronti della Cina.

Lo stesso atteggiamento di estraneità e ostentata diversità di prospettive, naturalmente in direzione opposta, emerge inequivocabilmente nelle conclusioni del recente terzo plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, anche se esse non sono esplicitamente riferite agli Stati Uniti, ma al cammino che la Cina dovrà percorrere nel futuro.

Sul plenum si erano concentrate notevoli aspettative. E’ infatti tradizione cinese che questo avvenimento, con scadenza annuale, assuma una particolare importanza nel secondo anno successivo al congresso nazionale del Partito (il più recente si è svolto nel 2022). In questo caso l’attesa era ancora maggiore in quanto la data canonica in cui avrebbe dovuto svolgersi il plenum cadeva nel novembre dello scorso anno e mai sono state rese pubbliche le ragioni di questo lungo rinvio.

Il lunghissimo comunicato non presenta novità sostanziali riguardo alle concrete decisioni di politica economica che pensavamo essere all’ordine del giorno, ma rende ancora più evidente la distanza e che si sta producendo nel mondo, facendo soprattutto emergere un’ancora più forte divaricazione fra Cina e Stati Uniti.

Date le difficoltà nella crescita cinese (che pure naviga ancora ufficialmente fra il 4% e il 5%) e le progressive chiusure del commercio internazionale, si attendevano decisioni volte ad accrescere i consumi interni, ma nessun sostanzioso passo in avanti è stato compiuto. Sono stati elencati tutti gli strumenti dedicati a rafforzare il livello di una “economia socialista di mercato” e i grandi obiettivi da raggiungere per rinvigorirla.

Si è discusso quindi del miglioramento del funzionamento del mercato, dei servizi pubblici, del welfare, delle infrastrutture, dell’economia digitale, della distribuzione del reddito, ma non si è affrontato il problema, diventato prioritario nella Cina degli ultimi tempi, del ruolo delle imprese private, negli ultimi tempi meno importanti, anche se la loro centralità era stata il punto fondamentale del discorso di insediamento del Presidente Xi Jinping del 2013.

Questo obiettivo, messo progressivamente in secondo piano, sembrava invece diventare di nuovo prioritario, anche in conseguenza delle diffuse preoccupazioni esistenti nel mondo degli affari e dell’aumento della disoccupazione giovanile, fenomeno assolutamente sconosciuto nell’economia cinese degli ultimi decenni.

Il vero punto centrale delle decisioni economiche ha riguardato invece l’obiettivo di concentrare ogni futura energia nel raggiungimento, ad ogni costo, del primato cinese nei campi della scienza e della tecnologia. Questo obiettivo è dominante in ogni pagina del rapporto, sia che riguardi le innovazioni del sistema scolastico, le riforme della pubblica amministrazione o qualsiasi decisione da intraprendere.

Scienza e tecnologia riempiono ogni pagina e indicano il sentiero di marcia in ogni campo, da quello agricolo a quello spaziale. Sul contendere il primato tecnologico e scientifico agli Stati Uniti (che pure non vengono mai menzionati) si gioca il futuro della Cina.

La parte più inattesa delle conclusioni del summit riguarda però alcune priorità politiche da adottare per raggiungere quest’obiettivo.
Non desta certamente sorpresa l’importanza attribuita al rafforzamento della leadership del Partito comunista, ritenuto il motore fondamentale della modernizzazione del paese. Una modernizzazione che deve naturalmente essere attuata “con caratteristiche cinesi”.

Mi ha invece molto colpito che l’elenco di queste caratteristiche venga esteso in campi che, pur facendo parte di una prassi politica consolidata, non sono in genere trattati in modo esplicito in un summit che solitamente si concentra su temi di interesse strettamente politico o economico.

Mi riferisco particolarmente alle affermazioni riguardo alla politica da adottare nei confronti delle confessioni religiose e del mondo culturale.

Nel sottolineare la necessità di rafforzare il senso di comunità e di coesione della nazione cinese, viene esplicitamente sottolineato l’obiettivo di “promuovere sistematicamente la ‘sinificazione’ della religione in Cina e il rafforzamento dello stato di diritto socialista nel governo degli affari religiosi”. Riguardo al rapporto con la cultura viene espresso l’obiettivo di “intensificare il meccanismo di leadership politica nei confronti degli intellettuali non appartenenti al Partito e dei nuovi strati sociali”. Accanto a queste così esplicite affermazioni di un crescente controllo sulla società, viene auspicata una “stretta e limpida relazione fra il governo e il mondo degli affari, in modo da promuovere un sano sviluppo della parte di economia che agisce al di fuori del sistema pubblico e delle persone che in esso operano.”

Non si tratta certo di posizioni nuove, ma ripetute in quest’occasione e in questa forma sottolineano come stiamo ormai pienamente vivendo in una fase storica in cui le divergenze fra Cina e Occidente crescono in ogni campo. Agli scontri militari, politici, economici e commerciali, si sommano, in modo quasi ovvio e naturale, crescenti tensioni nel campo scientifico e maggiori chiusure nel campo religioso e culturale.

E’ difficile che si possa porre fine a questa sfida globale in un prevedibile periodo di tempo. Ci si augura almeno che i massimi responsabili della politica delle due grandi potenze possano dialogare per evitare lo scontro diretto, come fecero John Kennedy e Nikita Krusciov negli anni più bui della guerra fredda fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.