Tutto è cominciato alcuni anni fa quando giocavo a tennis con Elisabetta Ullmann, la nota interprete in italiano dei presidenti americani. Ad un certo punto mi sono sentito privo di energie. Causa un grande affanno, mi sono dovuto sedere su una panchina. Elisabetta mi ha consigliato di andare da un cardiologo.
Ho seguito il suo consiglio ed il medico, dopo l’elettrocardiogramma, ha constatato che sarei dovuto andare urgentemente a verificare lo stato delle mie arterie con un esame approfondito. Mi ha dato appuntamento per la mattina successiva in modo da verificare se dovessi sottopormi ad una angioscopia o ad una angioplastica. Dall’angioplastica risultò che non poteva inserire alcuno stent come era invece nella previsione, perché le perché le mie occlusioni alle arterie non consentivano di ospitare alcuno stent. Pertanto l’unica soluzione era il bypass coronarico con prelevamento di un tratto di arteria da una coscia.
A Washington DC uno dei migliori cardiochirurghi che aveva raggiunto e oltrepassato gli oltre 500 interventi coronarici, era il Dottor Ammar Bafi, un Iraqeno che si era laureato brillantemente a Baghdad e specializzato anche in altre capitali europee. Bafi esercitava in un dipartimento che portava il suo nome al Washington Hospital, un nosocomio che nella graduatoria nazionale veniva considerato per i meno abbienti, ma che in effetti per quanto riguardava la cardiochirurgia, era uno dei migliori del paese.
Il giorno dell’operazione, un giovane anestesista indiano prima di anestetizzarmi cominciò a descrivermi le decine di luoghi che aveva frequentato e conosciuto in Italia, soprattutto nel meridione. Ci fu il tempo di un mio sorriso, dopodiché sono “svanito”. Mi dicono i miei familiari che attendevano ansiosi l’esito dell’intervento, che ad un certo momento si è aperta la porta ed è arrivato il professor Bafi molto sollevato e anche sorridente. Dichiarò che l’operazione era durata pochissimo, appena 40 minuti, perché non aveva avuto necessità di collegarmi alla macchina esterna della circolazione sanguigna, dato che il mio cuore aveva continuato a battere. Bafi aveva eseguito la cosiddetta “operazione a cuore battente”.
I successivi quattro giorni li ho trascorsi all’interno di una lussuosa stanza dell’ospedale, assistito in maniera esemplare due infermiere super professionali che tutto dimostravano però tranne che un minimo di empatia nei confronti del paziente che dovevano assistere. È il caso di sottolineare che mi avevano collegato con una droga antidolorifica chiamata fentanyl che ha alleviato tutti i miei dolori per quattro giorni e questo dimostra la pericolosità di questa sostanza che sta invadendo a livello pandemico tutto il mondo e purtroppo soprattutto gli Stati Uniti d’America. Il fentanyl è prodotto a tonnellate in Messico e in Cina.
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