Francesco Grignetti per “La Stampa”
Nel preciso momento in cui l'ambasciata russa ha emesso la sua nota ufficiale, e sostanzialmente ha messo il cappello sulla missione di Salvini, ecco, dentro la maggioranza è scattata un dubbio che è quasi una certezza: il viaggio del Matteo leghista era il tentativo di dare una spallata al governo Draghi, inteso come anello debole della compagine occidentale.
Ragionano ad alta voce, e all'unisono, diversi membri del Copasir: che la nostra opinione pubblica stia vistosamente ondeggiando, lo hanno capito anche all'ambasciata di Villa Abamalek; che ci sia una batteria di media più che bendisposti alle ragioni russe, è altrettanto evidente; e infine ci sono Lega e M5S che scalpitano. Sono dati oggettivi. «Ora - dice uno - pensiamo a che cosa sarebbe accaduto se Salvini avesse incontrato Lavrov a Mosca, o perfino Putin. E che al termine, Lavrov gli avesse graziosamente concesso gli ostaggi inglesi o gli avesse fatto un qualche altro "regalo". Chissà: qualche nave piena di grano. Salvini avrebbe potuto gridare al successo del "suo dialogo" al posto delle armi. Ai russi non sarebbe costato nulla.
Da noi, invece, Draghi sarebbe stato clamorosamente sconfessato. Ne sarebbe disceso un maremoto emotivo. La maggioranza non avrebbe retto». Dice un altro: «Il Pd con la sua posizione ferma a sostegno della resistenza ucraina sta già pagando un prezzo altissimo nei confronti dell'anima pacifista...». Sottinteso: se il 29 maggio Salvini avesse avuto un pur minimo successo, ora il governo Draghi non ci sarebbe più. E aggiungono: se cade l'Italia, cade tutta la linea; guardate le ambiguità della Germania e pure quelle della Francia.
A giudizio delle teste più attente della maggioranza, insomma, era una operazione più che sapiente, quella che l'ambasciatore Razov stava portando a segno. Grazie allo sconosciuto Antonio Capuano, aveva stretto un rapporto pressoché segreto con Salvini all'insaputa del suo stesso partito.
Nelle cene gli aveva fatto balenare la possibilità di un successo planetario, che neanche Erdogan o Macron avevano ottenuto. E Salvini, che è un giocatore d'azzardo, si era buttato, non dicendo nulla al premier, non calcolando che avrebbe travolto l'esecutivo o forse sì.
L'operazione stava per scattare. Il guaio di Salvini è che si è fidato di un intermediario che forse ha voluto strafare: Capuano infatti gli ha organizzato anche un incontro di altissimo livello in Vaticano, con il cardinale Parolin, il segretario di Stato. Per arrivarci, Capuano si era affidato a sua volta a una intermediaria non ortodossa, la famosa Cecilia Marogna, la dama dei fondi neri, sotto processo in Vaticano assieme a monsignor Becciu.
Marogna vanta contatti con il mondo dell'intelligence, non solo italiana, e non s' è mai capito se siano millanterie o no. Fatto sta che è la nemica giurata di un'altra dama di quegli ambienti, Francesca Immacolata Chaouqui, protagonista dello scandalo Vatileaks 2. Quel che una fa, l'altra provvede a disfare. Tra loro è una guerra senza quartiere. Nulla di più facile che i segreti di Salvini e dell'ambasciatore Razov siano usciti da questa disfida.
Ora i nemici di Salvini approfitteranno della sua débâcle. «L'Ambasciata russa - scrive il parlamentare di Forza Italia Elio Vito, membro anche lui del Copasir - conferma di avere pagato i biglietti aerei per il viaggio di Salvini a Mosca. Si tratta di un fatto gravissimo. Salvini dovrebbe dimettersi, è sempre più fonte di imbarazzo e preoccupazione per il suo partito, per gli alleati, per il centrodestra, per l'Italia». «Il capo della Lega chiarisca come mai un leader della maggioranza che ha votato le sanzioni alla Russia si fa organizzare e finanziare la trasferta proprio da quel governo. Basta ambiguità», dice anche Debora Serracchiani, capogruppo Pd alla Camera.
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