Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
Come nella vita, così anche in politica, i grandi amori vanno custoditi e coltivati: ogni matrimonio ha bisogno di manutenzione. Questo semplice pensiero mi è più volte venuto in mente riflettendo sulla particolare evoluzione dei rapporti fra gli Stati Uniti e l’Europa, per secoli uniti come padre e figlio.
Un rapporto in cui il ruolo di padre è stato a lungo riservato all’Europa, ma che si è invertito con le due guerre mondiali, nelle quali è stata l’America a venire in soccorso al vecchio continente, aiutandolo prima a salvarsi e poi a crescere sempre più forte.
Nella mia non breve esperienza, ho avuto la possibilità di osservare la complessità di questi rapporti nella politica dei diversi presidenti americani e mi sono reso conto della necessità di esercitare un’attenta manutenzione perché tali rapporti non si deteriorino eccessivamente. Se, ritornando ai miei diretti ricordi, penso ai presidenti appartenenti alla famiglia Bush (intendo sia il padre che il figlio) vi erano tra di noi diversità politiche e quindi anche decisioni non condivise, ma erano ancora discussioni in cui tutti ci ritenevamo membri di una stessa famiglia.
Quindi è seguito Obama, presidente certo di grande spessore, ma per cui, nella sua visione globale, Roma e Singapore erano la stessa cosa. A lui è seguito Trump che vedeva l’Europa solo come un rivale (se non quasi un nemico), sia dal punto di vista politico che economico.
Infine, da un paio di anni, abbiamo Joe Biden, un presidente americano molto attento a ricostruire i rapporti politici e militari con l’Europa, ma poco preoccupato per il progressivo deterioramento delle relazioni economiche fra il vecchio e il nuovo continente.
La guerra di Ucraina sta ulteriormente modificando la situazione. Con il consolidamento e l’allargamento della Nato la solidarietà politica fra Stati Uniti ed Europa è infatti più stretta anche se, soprattutto per le divisioni e le incertezze europee, il ruolo americano è sostanzialmente dominante. Nel campo economico, invece, la distanza è sempre maggiore.
E’ vero che gli Stati Uniti hanno aumentato la loro fornitura di gas all’Europa ma, ovviamente, ad un livello di prezzo che ha raggiunto anche cinque volte quello delle imprese americane. Nulla da obiettare perché questo è il mercato, ma molti osservano che nulla è stato fatto per mitigare gli effetti, e quindi il disagio, che tutto questo provoca. Sentimento identico riguarda le sanzioni nei confronti della Russia, un provvedimento logico e necessario, ma che incide in modo quasi esclusivo nei confronti dei nostri produttori.
La decisione americana, battezzata come un’ innocente misura per combattere l’inflazione (si chiama infatti Inflation Reduction Act, più nota con l’acronimo di IRA) prevede un sussidio alle imprese americane di 500 miliardi di dollari, pari a oltre dieci volte il livello massimo dell’aiuto pubblico oggi permesso alle aziende europee.
Nessuna impresa può infatti fare fronte a disparità di questo livello, che rendono impossibile la concorrenza europea e stanno già indirizzando verso gli Stati Uniti tutte le nuove intenzioni di investimento dei settori interessati.
Per evitare queste conseguenze diventerà quasi inevitabile adottare una nuova politica europea, dedicata ad aumentare gli aiuti di Stato, aprendo quindi un processo che approfondirà il conflitto economico tra Stati Uniti ed Europa, con un pesante danno per entrambi i contendenti.
E’ evidente che divergenze economiche di questa portata non possono che produrre maggiori distanze anche nel campo politico: una prospettiva di una crescente lite fra fratelli.
A questo quadro così preoccupato vorrei aggiungere, come semplice cittadino italiano, una postilla indirizzata al Presidente Biden.
Si tratta di una situazione anomala non solo fra paesi fratelli, ma anche fra paesi cugini.
Mi risulta, tra l’altro, che mentre la sede di Roma è oggi ancora vacante, da quasi un anno e mezzo l’ambasciatore americano a Singapore si è regolarmente insediato.
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