Translate

Un Paese da operetta

(Da Alessandro Petti, Roma, riceviamo e volentieri pubblichiamo)


IL RITORNO DELL’OPERETTA
Un genere musicale dell’800 rivive nell’Italia di oggi


L’Operetta è un genere di teatro musicale di tono leggero che si diffuse, in Francia e in Austria, nella seconda metà dell’ 800 e si caratterizzava o per soggetti satirici che alludevano alla vita sociale e politica di quel tempo o per fantasiosi intrecci, sempre di natura politico-sentimentale. Chi non ricorda ad es “La vedova allegra” di Lehàr e le sue bellissime musiche?.

Si diffuse successivamente anche in Italia all’inizio del 900, con Mascagni e Leoncavallo. Ma - ecco la novità - si è prepotentemente ripresentata e sta di nuovo rivivendo sulla scena politico (sentimentale) del nostro Paese.ai nostri giorni.
Non però – e questa è la brutta notizia – con lo stesso genio deilcompositore di “Cavalleria rusticana” (Mascagni) e di quello dei “Pagliacci” (Leoncavallo). Ma con le “stecche” e le stonature di una modesta compagnia di teatranti musicali guidata da un modesto direttore di orchestra – o piuttosto di “banda”- il cav. Berlusconi Silvio, e formata da altrettanto modesti esecutori: non uno di essi si è infatti contraddistinto in questa nobile arte per un’ interpretazione minimamente degna del suo ruolo.

A partire dal primo violinista-economista Tremonti, che non si è accorto in tempo di una nave che stava affondando (vi ricordate cosa aveva detto non più di un mese fa a giornali e tv? “I conti dell’Italia sono a posto!”), fino alla viola Sacconi, che sarà per sempre ricordato per aver devastato per carenza di visione le relazioni industriali, al contrab-basso Brunetta, che non ha mai riformato la pubblica amministrazione, via via fino al trombone Calderoni, un ministro che pensa di governare, anziché un Paese, una valle: la Val Padania!

Ha detto, con ben più autorevolezza, queste stesse cose Giovanni Di Lorenzo, direttore di origine italiana di uno di più prestigiosi quotidiani tedeschi, Die Zeit.
In un’intervista rilasciata a “La Repubblica” a fine agosto, così si è espresso sulla situazione italiana: “Il governo tedesco ritiene forte l’industria italiana e ne ha fiducia. Quello che sembra mancare è un’azione decisiva del governo italiano e soprattutto del capo del governo”.
Per quali motivi? gli chiede l’intervistatore: “Per l’apparente assenza di competenza concreta. Notano in Germania come ai Consigli europei Berlusconi intervenga poco e se interviene non è mai nei dettagli o nei fatti specifici”… “L’impressione che qui si ha, e preoccupa tanto, è che sia una fine di regime dove i politici più importanti sono occupati solo in risvolti di politica interna, qui definiti Operetten-inszenierung, copione da operetta, e non coi fatti gravi che riguardano tutto il mondo e partono dall’Italia”. Per poi concludere: “ Sono reduce da una vacanza in Italia e mentre in Germania non si parla d’altro che della crisi internazionale, in Italia nei Tg, specie al Tg1, sembra quasi che la crisi italiana sia a pari merito di servizi su un cimitero per gatti o su cosa devono gli italiani col caldo”.

Eccoci allora giunti ancora una volta al dunque, al punto nodale, alla domanda delle domande
Ma perché la rabbia che una parte consistente di noi cittadini italiani – espressasi con forza nel voto di protesta degli ultimi referendum – non riesce poi a canalizzarsi a favore di uno schieramento alternativo?
Ce lo impedisce, purtroppo, il nostro carattere nazionale, il nostro costume nazionale. Gli italiani si sentono infatti uniti solo dalle loro differenze locali (“il Paese delle cento città e delle cento identità” lo definisce il sociologo Giuseppe De Rita!).
Un popolo di creativi, furbi, individualisti e adattabili, guidati soprattutto dall’arte di arrangiarsi e dall’attaccamento alla famiglia, e al proprio piccolo contesto locale. Ma lontani dallo Stato, dalle istituzioni, dalla politica, dal governo.
Grazie a questa mentalità l’evasione delle tasse è considerata quasi una forma di legittima difesa dallo Stato iniquo e inefficiente e il “Partito-Personale-dell’Imprenditore-che si è fatto-da sé” come la protezione ideale di questi piccoli, gretti e clientelari interessi.
Questo è il limite nazionale che ci impedisce di affrontare la sfida e il momento critico in atto: “E’ l’abbondanza di senso cinico e la povertà di senso civico”, scrive Ilvo Diamanti sempre su La Repubblica. E chissà se basterà il prestigio e la fiducia nell’operato del Presidente Giorgio Napoletano a compensarlo.

Incompetenza tecnico-economica e incapacità politico-culturale, unite a comportamenti e a “storie da operetta”, mettono a nudo e ci mostrano chi oggi ci governa e, in particolare, il capo di questo governo come una “corte dei miracoli”, del tutto incompatibile col ruolo di classe dirigente di un grande Paese europeo.


Alessandro Petti

No comments:

Post a Comment