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Via dall'Iraq. E poi?

(Picture by Warren Zinn / Army Times file)

Il presidente Obama ha incontrato il premier iracheno Al Maliki alla vigilia del ritiro del contingente militare americano dall’Iraq. 4500 soldati americani morti, decine di migliaia feriti, centinaia di migliaia di famiglie irachene distrutte. I soldati che tornano in patria trovano spesso situazioni di incompatibilità con le mogli, non riescono ad adattarsi alla vita civile che talvolta li rifiuta in quanto molti sono affetti da sindrome piscologica che impedisce loro di dormire. Altri sono entrati nel girone dantesco della droga. Si recita insomma il canovaccio già sperimentato dopo la guerra del Vietnam. Il tutto con un costo economico e sociale aggiuntivo ad una situazione generale americana che stenta a riprendersi. Al punto che la nuova strategia del Presidente Obama nella sua campagna di rielezione è quella di insistere sul fatto che gli è stata data un’eredità dal precedente governo Bush fatta di due guerre irrisolte alle quali si aggiunge una crisi economica e finanziaria che ha rischiato di travolgere il mondo intero con un drammatico effetto domino. Molti osservatori si chiedono che succederà dopo l’uscita degli americani dall’Iraq. I timori sono che si rinsaldino ancora di più i già stretti legami con l’Iran e che possano scoppiare focolai di tensione appena sopiti tra shihiti e sunniti. In Iraq resteranno quasi diecimila contractors a diffendere i diplomatici USA e i tecnici che lavorano nei campi petroliferi. Resta da dire infine che la cosiddetta ‘primavera araba’ in effetti sta dimostrando di essere un ritorno al potere delle forze politiche che si riferiscono all’ortodossia islamica.

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