Massimo Giannini per www.lastampa.it
«Su, adesso basta con le sciocchezze. Io stimo Mario Draghi, lo sanno tutti. E tutti si ricordano che lo portai io al vertice della Banca Centrale Europea nel giugno 2011. Però adesso finiamola con questa storia che siamo stati noi a farlo fuori e a cacciarlo dal governo…».
È ora di pranzo, e nella calura di Villa Grande la voce del Cavaliere risuona forte e chiara come non si sentiva da tempo. Al telefono, Silvio Berlusconi ha qualche sassolino dalla scarpa che si vuole togliere, il giorno dopo la “Vergogna”, come ha titolato la Stampa di questa mattina: avevamo la migliore riserva della Repubblica alla guida del Paese, orgoglio e vanto per l’Italia nel mondo, e siamo riusciti a bruciare pure quella.
Protagonisti della “political assassination” sono stati, in combutta, i capi-bastone della curva ultrà gialloverde, quelli che stravinsero le elezioni del 2018: Giuseppe Conte ha innescato la miccia per conto dei Cinque Stelle, Matteo Salvini l’ha fatta esplodere mettendo la firma della Lega.
Ma stavolta c’è di peggio: la novità è che ad aggregarsi alla congiura dei “Draghicidi” si è aggiunto anche il padre-padrone di Forza Italia. Che invece di bagnare le polveri, le ha infiammate. Com’è stato possibile?
«Ecco, facciamo un po’ di chiarezza…», risponde Berlusconi dalla sua magione romana, dove in questi giorni il centrodestra ha bivaccato a più riprese per venire a capo - senza riuscirci, se non al prezzo di sacrificare SuperMario - della crisi più pazza del mondo.
«Io ho letto il titolo del suo giornale, vergogna, ha scritto, ma noi non dobbiamo vergognarci di nulla. Noi non abbiamo buttato giù il governo. Draghi si è buttato giù da solo, prima con le cose che ha detto in aula, poi con le decisioni successive!».
Ma come? La non-fiducia sul termovalorizzatore l’hanno decisa i grillini la settimana scorsa, e la non-fiducia alla mozione Casini l’hanno decisa insieme Forza Italia e Lega ieri... Il Cavaliere la vede in un altro modo: «Senta, io ieri ho parlato con tutti. Ho chiamato il presidente della Repubblica Mattarella e il presidente del Consiglio Draghi, e a tutti e due ho letto il testo della nostra risoluzione. Nessuno dei due ha sollevato obiezioni.
Lì dentro non c’era scritto mandiamo a casa Draghi, ma il contrario. Noi ci eravamo già meravigliati per il fatto che Draghi la settimana scorsa aveva ribadito che questo governo non esiste senza i Cinque Stelle. Ma l’abbiamo seguito sulla sua stessa linea.
Poiché i grillini vogliono uscire, ne prendiamo atto e facciamo subito un Draghi bis, senza di loro, e cambiando alcuni ministri. Questo gli ho detto: ripartiamo, e andiamo avanti. Bastava che Draghi accettasse, e oggi sarebbe tutto un altro film…».
Ancorché romano, l’Uomo di Arcore è un fiume in piena. Ma come si fa a pensare che Super Mario, dopo i calci che aveva tirato nei denti ai partiti, avrebbe potuto accettare un Draghi bis alle condizioni imposte dal centrodestra, cioè un rimpastone che presupponesse magari anche la fuoriuscita di ministri come Lamorgese e Speranza?
“Premesso che non abbiamo mai parlato di nomi, io le rispondo certo che avrebbe potuto, per il bene del Paese. Ma non l’ha fatto, e la responsabilità è sua, non nostra”. A Draghi non faranno piacere, queste parole… «Capisco, ma le confesso che sono rimasto davvero perplesso per i suoi comportamenti. Anche questa mattina alla Camera avrebbe ancora potuto ricucire tutto. In fondo aveva preso la fiducia con 95 voti al Senato…».
Ma pensare a una retromarcia, dopo quello che era successo ieri a Palazzo Madama, sarebbe stato davvero troppo… «Sì, ma solo per un motivo – risponde secco Berlusconi – e cioè che lui aveva già deciso tutto. Lo sanno tutti che non ne poteva più, lo sanno tutti che ne aveva le scatole piene.
Dimettersi era una sua volontà precisa, a prescindere da quello che avrebbero fatto, detto e votato i partiti. Vuole che le riveli un’indiscrezione?». Il Cavaliere non resiste: «Sa cos’ha detto Draghi a un comune amico? Basta, non ne posso più, qui mi fanno lavorare il doppio di quanto lavoravo alla Bce…».
La maldicenza? Il venticello della calunnia? Vai a sapere. Certo è che nel “day after”, quando fatti, opinioni e mercati dimostrano che l’Italia è ripiombata nel caos, la Bce ha chiuso l’ombrello e noi non abbiamo più il suo ex governatore a proteggerci, il centrodestra anche agli occhi di un’opinione pubblica sconcertata ha un disperato bisogno di cancellare le impronte digitali dalla “scena del crimine”.
Ma poi, dopo quello che è successo, di che centrodestra parliamo? Anche questo è stato uno strappo, stavolta interno a quella metà del campo. Berlusconi, che in questi tre anni ha cercato di rivestirsi con i nobili panni dello statista, conservatore europeo e moderato, responsabile e repubblicano, alla fine si è fatto trascinare sulla via del Papeete dal Capitano leghista.
E qui il Cavaliere ha un sussulto, si indigna, non ci sta: «Eh no, questo non lo voglio neanche sentir dire! Ma secondo lei se mettiamo vicino Berlusconi e Salvini, chi prevale tra i due per competenza, esperienza, cultura e savoir-faire? Dai su, non scherziamo. Io non sono affatto spinto da Salvini. Il centrodestra sono io…».
Il Patriarca non accetta il suo autunno. Anzi, ha già detto e ripete che è pronto a candidarsi. Tanto ormai si va a votare. «Anche su questo ho qualche perplessità – aggiunge – ho visto che il Capo dello Stato sta pensando a una delle ultime due domeniche di settembre. Non sono convinto: che facciamo, una campagna elettorale di due-tre settimane? Troppo poco, non va bene…».
Perché una cosa è sicura: lui la campagna elettorale la farà. È pronto a candidarsi al Senato, il Tempio dal quale fu “cacciato”, lui sì, in virtù della legge Severino, dopo la condanna definitiva per frode fiscale. Tornare a Palazzo Madama ha dunque il sapore della rivincita. Magari, chissà, in cuor suo ha persino l’illusione di esserne eletto presidente, benché dopo la Casellati sia un assurdo peccato di “ubris”.
Ma insomma. È anche sicuro che Forza Italia, con lui risceso in campo, possa arrivare al 20 per cento. Volontà di potenza o delirio di onnipotenza? Più la seconda, a occhio e croce. Anche perché, nel frattempo, il partito azzurro perde i pezzi. Gelmini e Brunetta annunciano l’addio.
E qui il Cavaliere abbassa il tono di voce. Sembra quasi rattristato: «A queste persone ho dato tutto. Non mi merito che facciano questo. La Gelmini, poi… Ricordo che se ne voleva andare già ai tempi di Monti. Ma comunque… Non mi merito nemmeno che queste persone, andandosene, dicano quelle cose: ‘Forza Italia non è più la stessa, Berlusconi è diventato un’altra persona…’.
Tutte sciocchezze. Sono loro che sono cambiati, non io. Sono loro che mancano di riconoscenza nei miei confronti. Ma le dico io una cosa, e la dico anche e soprattutto a loro: non hanno futuro. E non lo sostiene nemmeno Silvio Berlusconi, lo dimostrano i fatti di questi anni: guardi che fine hanno fatto, tutti quelli che sono usciti da Forza Italia… Perché la verità, alla fine, è questa: tutti quelli che mi lasciano non hanno futuro, punto e basta». La telefonata finisce così.
Da Villa Grande si sente in sottofondo una voce femminile che chiama la servitù: «Attenzione, il cane ha fatto la cacca sul tappeto…». Nella testa resta solo una domanda sospesa: e Silvio? Silvio, seduto sul Carroccio a fianco a Matteo, lanciato all’inseguimento di Giorgia e dei suoi Fratelli? Questa livorosa e litigiosa carovana destrorsa, che futuro ha?
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