Sistemi elettorali – La scelta dei politici restituita agli elettori
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
Si parla tanto di crisi della democrazia, una crisi che parte dagli Stati Uniti, ma ormai presente nella maggioranza dei paesi europei. Proprio per le diverse caratteristiche di queste due realtà, anche le cause della crisi sono evidentemente diverse.
Dominante negli Stati Uniti è la spaccatura della società: non solo tra Trump e Biden, ma tra democratici e repubblicani, fra bianchi e neri, fra stabilizzati ed immigrati, fra ricchissimi e poverissimi con lo spiazzamento della classe media, fra abitanti delle coste e quelli dell’America profonda e, perfino, tra laureati e non laureati.
Non sono certo in grado di addentrarmi nei particolari di un’analisi troppo complessa, ma si deve certamente ammettere che anche la democrazia europea soffre di gravi malattie, alcune simili a quella americane come l’aumento delle differenze fra ricchi e poveri, l’indebolimento della classe media e, soprattutto, la crisi del welfare, che sta provocando una crescente fragilità proprio nel settore di cui la democrazia europea era giustamente orgogliosa.
In Europa mancano forse alcune delle tensioni presenti nella società americana, ma il comune atteggiamento anti immigrati è, da entrambi i lati dell’oceano, il principale strumento per una vittoria elettorale, proprio nel momento in cui negli Stati Uniti il copioso flusso di immigrazione (regolare o clandestina) è comunemente ritenuto una delle ragioni del boom economico e la mancanza di manodopera una delle principali cause del pigro andamento dell’economia europea.
In Europa, tuttavia, si aggiunge la moltiplicazione dei partiti e il conseguente prevalere dei governi di coalizione che, nella progressiva diversificazione della società, diventano sempre meno omogenei nei programmi e negli obiettivi.
L’attività dei governi europei si concentra infatti nel continuo sforzo di mediazione all’interno delle coalizioni stesse, una fatica che rende più precaria l’azione dei governi e più breve la loro vita.
Come risultato di questi processi in corso, le fratture della società provocano crescenti tensioni e rendono sempre più difficile l’attività di governo anche negli Stati Uniti, dove il sistema bipartitico aveva costantemente prodotto la formazione di un governo pienamente operativo, anche in presenza dei pesi e dei contrappesi di cui la democrazia americana è sempre stata orgogliosa.
L’impossibilità di raggiungere un accordo sul sostegno all’Ucraina è un chiaro esempio di questa involuzione. In Europa, alle fratture nella società, si aggiunge la tribolata vita delle coalizioni, la fatica nel costruire una strategia politica e la breve vita dei governi. Tutto questo costituisce un pericoloso elemento di debolezza di fronte alla maggiore stabilità e durata dei regimi totalitari.
Il breve periodo di vita dei governi e la limitazione dei loro orizzonti impediscono inoltre di mettere mano alle riforme necessarie alla vita stessa dei sistemi democratici. Essi non possono nemmeno essere fedeli alla tradizionale regola della democrazia secondo la quale nei primi due anni di vita della legislatura si prendono le decisioni impopolari, che però possono esercitare le loro conseguenze positive prima del successivo appuntamento elettorale.
Queste mancanze spingono i cittadini verso un crescente desiderio di autoritarismo, accettando anche una progressiva rinuncia al bilanciamento dei poteri che costituisce il fondamento stesso della democrazia.
Invece di correggere le deviazioni si accettano le regole di sistemi che ottengono una maggiore durata e una maggiore capacità decisionale dei governi, ma che tuttavia, senza un ordinato equilibrio dei poteri, tendono fatalmente verso l’autoritarismo, con le conseguenze che tutto questo provoca. Pensiamo soltanto alla guerra scatenata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina. La soluzione deve quindi orientarsi innanzitutto verso l’adozione di riforme delle leggi elettorali perché siano in grado di rimediare, anche se in modo imperfetto, alle deviazioni dei sistemi democratici che abbiamo brevemente elencato in precedenza.
Mentre negli Stati Uniti il rinvigorimento della democrazia deve percorrere la faticosa, ma necessaria strada della ricomposizione della società civile, in Europa – e quindi a maggior ragione nel nostro paese – a questo sempre necessario obiettivo si debbono affiancare provvedimenti capaci di dare stabilità e forza ai governi senza annullare gli equilibri che garantiscono il corretto funzionamento della democrazia.
Governabilità ed equilibrio dei poteri non possono essere raggiunti tramite il dominio dell’esecutivo, ma tramite leggi elettorali capaci di assicurare la necessaria durata dei governi e la loro forza operativa, senza violare gli equilibri e le garanzie necessarie al mantenimento della democrazia. Invece di tutto si discute tranne che di una legge elettorale che restituisca ai cittadini la scelta dei parlamentari, da troppo tempo nominati dall’alto.
Nella situazione italiana penso che il delicato equilibrio fra capacità di governo e protezione dei diritti dei cittadini possa essere garantito non dal “premierato” proposto dall’attuale governo, ma da una semplice legge maggioritaria a doppio turno e collegi uninominali, come fu proposto quasi trent’anni fa nella prima tesi dell’Ulivo.
Nessuno pensa che questo sia un rimedio perfetto, ma è certamente quello che maggiormente riporta la capacità di scelta nelle mani dei cittadini e, nello stesso tempo, rende il governo capace di decidere e di durare.
Non abbiamo bisogno di rischiose rivoluzioni, ma delle correzioni necessarie per fare in modo che gli elettori siano in grado non solo di potere scegliere nel presente, ma di essere sicuri di potere scegliere anche in futuro.
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