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Italia in deficit: le richieste dell’Europa e le riforme del governo
Le richieste di Bruxelles e le riforme del governo
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero
Il verdetto della Commissione Europea per il deficit eccessivo dell’Italia era una sentenza attesa e, in certo senso, scontata.
Il nostro disavanzo per l’anno in corso, anche se non si colloca nella cifra spaventosa del 7,7% del 2023, è previsto intorno attorno al 4,4%, livello abbondantemente superiore al limite del 3% previsto dalle disposizioni comunitarie.
D’altra parte siamo in buona compagnia, perché accanto a noi, oltre all’Ungheria, la Polonia, il Belgio, la Slovacchia e Malta, troviamo anche la Francia. Un paese non solo di importanza economica determinante per tutta l’Unione, ma il cui Presidente Macron aveva fondato la sua vittoriosa campagna elettorale proprio sulla prospettiva di mettere in ordine il bilancio dello Stato.
D’altra parte una serie di eventi imprevedibili, a partire dal Covid-19 fino alla guerra di Ucraina, hanno reso il contenimento del deficit impresa così difficile da obbligare la sospensione dello stesso Patto di Stabilità, rientrato in vigore solo nell’anno in corso.
Il problema non sta quindi nel fatto che il suo ritorno abbia trovato tanti paesi fuori dalle regole, ma i modi e i tempi nei quali questi paesi devono ritornare nel cammino dovuto, nonostante i criteri di maggiore flessibilità adottati per favorire questo rientro.
Per l’Italia il problema si presenta particolarmente serio perché, tra quelli che sono stati messi in castigo, il nostro Paese ha accumulato il debito più elevato.
Anche se è stato reso più flessibile, il processo di aggiustamento necessario per preparare una strategia condivisa fra l’Italia e la Commissione Europea, deve cominciare sostanzialmente subito.
Le strategie sembrano invece divergere. Bruxelles sottolinea infatti la necessità di provvedimenti efficaci nel breve termine e pronti prima del varo della nostra legge di bilancio prevista per il prossimo autunno.
Per raggiungere quest’obiettivo diventano indispensabili, oltre ad una maggiore velocità nella spesa del PNRR, le riforme dedicate ad aumentare il livello di efficienza del sistema a partire dalle concessioni balneari, fino alla riforma del catasto e alla riduzione dell’evasione fiscale. A questo si aggiunge la necessità di trovare nuove risorse per la riduzione del cuneo fiscale e dei sussidi pubblici finanziati solo fino alla fine del presente anno.
I calcoli per ora disponibili fanno ammontare a 32 miliardi di Euro la quantità di risorse aggiuntive necessarie per porre rimedio agli squilibri esistenti. Un obiettivo davvero complicato, ma non impossibile da raggiungere anche con una crescita che si presenta modesta, intorno all’1%.
Abbiamo infatti notevoli soddisfazioni dall’andamento delle nostre esportazioni e un sistema bancario con una struttura che ci protegge maggiormente rispetto agli impazzimenti dello spread verificatisi in passato.
L’impresa esige però non solo misure impopolari dedicate ad aumentare gli introiti, ma anche a diminuire la spesa pubblica. Tutte decisioni da prendere nello spazio di pochissimi mesi. E’ su quest’aspetto che si apre una distanza crescente fra l’Italia e l’Unione Europea. Per Bruxelles sono infatti necessari provvedimenti in tempi brevi, mentre Roma risponde concentrando l’attività politica in decisioni a lungo termine che non affrontano gli squilibri che dobbiamo correggere ma, con ogni probabilità, li aggravano.
E ciò avviene come conseguenza dei rapporti interni alla coalizione di governo. Le misure necessarie per gli aggiustamenti richiesti da Bruxelles colpiscono categorie particolarmente legate ai singoli partiti della maggioranza di governo.
Così, infatti, la precedenza assoluta accordata all’autonomia regionale differenziata appare condizione non negoziabile, da parte della Lega, per il suo indispensabile appoggio a FdI nel progetto di rivoluzione costituzionale concentrato nel premierato.
Tutti temi riguardo ai quali Bruxelles non ha evidentemente alcuna competenza, ma che rendono molto più difficile l’elaborazione delle politiche economiche necessarie non solo per riequilibrare i nostri conti, ma per rendere la nostra economia più competitiva.
Per quanto riguarda in particolare l’autonomia differenziata, approvata mercoledì dalla Camera, non vi è alcuna possibilità che essa possa dare un contributo positivo agli equilibri del nostro bilancio.
Anzi, dopo un possibile periodo di neutralità, la spesa non può che aumentare, così come gli squilibri regionali.
Non è quindi facile il compito di fronte al quale si trova il Ministro dell’economia dato che, quando è a Bruxelles, si sente doverosamente garante degli equilibri economici del nostro paese, ma quando ritorna a Roma non è messo in grado di mettere all’ordine del giorno le decisioni necessarie per raggiungere questi equilibri.
Nel dilemma in cui si trova fra Bruxelles e Roma forse la decisione più saggia è quella di riposarsi per un po’ di tempo a mezza strada, sulle sponde del delizioso lago di Varese, dove ha avuto i suoi natali.
Nella speranza che questa sosta non debba essere troppo prolungata.
D DAY i morti della nostra liberta'
Le recenti commemorazioni che si sono tenute in Normandia alla presenza di numerosi capi di Stato hanno rilanciato il giro turistico di quella regione al punto che è pressoché impossibile trovare un biglietto per il Tour of Normandie.
Sainte-Mère-Église In questo villaggio un paracadutista americano rimase impigliato sul campanile della chiesa durante la notte del 6 giugno 1944, segnando l'inizio del D-Day.
Sainte Mère Eglise è nota per essere il primo comune del Cotentin liberato dai paracadutisti americani.
È proprio qui che ha avuto inizio la battaglia di Normandia e rappresenta uno dei luoghi più significativi di tutta la zona dello sbarco degli alleati.
L’immagine di John Steele, il paracadutista americano rimasto impigliato col paracadute sul campanile della chiesa durante il lancio la notte del 6 giugno 1944, ha fatto il giro del mondo ed è diventata il simbolo non solo del D-Day ma anche della cittadina di Sainte Mère Eglise.
Nella notte tra il 5 e il 6 giugno 1944, diverse dozzine di paracadutisti americani furono lanciati sopra Sainte Mère Eglise. Il soldato John Steel rimase appeso per due ore sul campanile della chiesa, prima di essere fatto prigioniero dai tedeschi. Tuttavia, riuscì a fuggire per tornare in Inghilterra.
La vicenda fu narrata nel famoso film 'Il giorno più lungo' e oggi il manichino del paracadutista veglia su Sainte Mere Eglise dall’alto della chiesa, come ricordo perenne di questo* momento cruciale della storia.
Ma il paracadute appeso permanentemente sul campanile della chiesa non riesce a far dimenticare che il pavimento di quella Piazza era tappezzato da decine e decine di corpi dei giovanissimi paracadutisti alleati che erano stati portati fuori rotta da vento che aveva cambiato direzione.
Ed è questa la ragione per cui I cittadini di Sainte Mere Eglise non amano soffermarsi su quell'episodio che conferma il collaborazionismo di tanta parte del popolo francese con il nazismo.
De resto noi itaiani siamo conosciuti a livello internazionale come quel popolo che è specializzato nel correre in soccorso del vincitore. Le centinaia di migliaia di morti dei nostri sodati sui campi di guerra di tutto i mondo non contano nulla.
Anche le vetrate della chiesa sono dedicate ai paracadutisti americani..
Lo Airborne Museum è dedicato ai paracadutisti americani dell’82° e 101° Divisione Aviotrasportata.
Il Terminal 0 indica il punto di partenza della Route de la Liberté e il percorso seguito dalla 3a Armata del generale Patton fino a Bastogne in Belgio.
Il museo custodisce un’importante collezione di uniformi, armi e altri cimeli bellici. I visitatori possono vedere da vicino le armi utilizzate dalle unità aviotrasportate americane durante la Seconda guerra mondiale.
La collezione custodisce il famoso aereo da trasporto delle truppe Douglas C-47 (noto anche come Skytrain) e un aliante Waco, unico nel suo genere in Francia.
Dalla sua apertura nel 1964, i veterani hanno donato incessantemente oggetti di guerra legati alle loro esperienze individuali e hanno quindi dotato il museo di un approccio umano profondamente commovente.
Nel giugno 2014 ha aperto i battenti un’estensione del museo. La moderna scenografia presente in un’area speciale del museo permette ai visitatori di condividere e vivere i sentimenti di quei paracadutisti americani come se, ad esempio, sorvolassero la Manica, schiacciati all’interno della cabina di un aereo C-47.
Alle porte del villaggio, inizia la Voie de la Liberté, ovvero il percorso storico marcato da bianche pietre militari che segue la marcia della Terza Armata del Generale Patton:
Questo sentiero storico commemora non solo la Liberazione della Francia, ma anche quella del Belgio e del Lussemburgo durante la Seconda Guerra Mondiale: infatti viene chiamata da alcuni Voie Patton, dal generale alla testa della 3a armata americana che guidò l’ operazione “Cobra”: si occupò non solo dello sfondamento in Normandia ma completò la sua avanzata nel maggio 1945 in Cecoslovacchia al bivio con l’avanguardia delle truppe sovietiche.
Le pietre che marcano il percorso sono decorate con la fiamma della Statua della Libertà.
Dopo* la chiesa di*Saint Mere Eglise, Sono cinque le spiagge dello sbarco alleato sulla costa francese alle quali gli alleati Hanno imposto il nome delle località americane.
La data dello Sbarco e della battaglia di Normandia segnò la Seconda Guerra mondiale e le terre normanne. I musei delle grandi città della Normandia, i cimiteri militari tedeschi o alleati e le loro cinque spiagge (Utah,
Omaha Beach è nel settore americano. Omaha Beach è semplicemente un nome in codice dato dagli Alleati. Questa spiaggia del D-Day si estende da Vierville-sur-Mer a Colleville-sur-Mer.
Sull’altra spiaggia americana la situazione è difficile. Le spiagge di Omaha per le truppe della 1ª e 29ª divisione sono una vera e propria trappola. La prima ondata di assalto è stata selvaggiamente eliminata, la seconda scopre una spiaggia disseminata di feriti, cadaveri, attrezzature distrutte. Infine, attingendo alle loro ultime risorse, i soldati sono riusciti a salire sul ripido terrapieno che domina la spiaggia e a far saltare il filo spinato. Verso mezzogiorno, cominciarono a prendere alle spalle i tedeschi e così la battaglia si volse a vantaggio degli alleati.
La premier e le due destre in Europa
La premier e le due destre in Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 giugno 2024
Si può davvero dire che, nelle elezioni europee, non è successo nulla e, nello stesso tempo, che è successo di tutto.
Nulla leggendo i risultati complessivi perché si è riconfermata la maggioranza Ursula che, con Popolari, Socialisti e Liberali, raggiunge i 406 eletti su un Parlamento composto da 720 componenti. Vi è stato certo un progresso dei partiti antieuropei di estrema destra, ma inferiore alle previsioni. Inoltre il migliore andamento relativo del partito a cui appartiene l’attuale presidente della Commissione rende, almeno in teoria, più probabile la sua rielezione rispetto a una settimana fa.
Se però si guarda oltre ai numeri, è davvero successo di tutto. I partiti antieuropei estranei alla coalizione Ursula, hanno infatti progredito in Francia e in Germania e hanno confermato la propria forza anche in Italia, benché in buona parte in transito dalla Lega a FdI. Si sono invece indeboliti nei paesi che prima consideravamo più ai margini della costruzione europea, come Polonia, Romania, Slovacchia e la stessa Ungheria.
Il vero terremoto è originato dalla decisione del Presidente francese di indire subito nuove elezioni, nella speranza di cambiare la maggioranza di estrema destra espressa dalle urne europee.
Si tratta di una sfida perlomeno azzardata, dato che non sarà certo facile rovesciare a distanza di poche settimane l’esito e il senso di un voto popolare che, in qualsiasi modo lo si voglia interpretare, ha manifestato una diffusa sfiducia della Francia profonda nei confronti di Macron. Anche perché alla decisione, improvvisa e solitaria, di indire subito nuove elezioni si sono opposte frange non trascurabili delle forze politiche che dovrebbero appoggiare il Presidente nel ballottaggio finale contro Marine Le Pen.
I risultati delle elezioni e le successive decisioni francesi ci mettono quindi di fronte a future battaglie politiche di esito ancora incerto.
Tuttavia, riguardo alla Presidenza della Commissione, le chances della von der Leyen sono, come si accennava in precedenza, più elevate del previsto. Nel Consiglio Europeo, che deve designare il candidato alla presidenza della Commissione, i rappresentanti del Partito Popolare sono infatti cresciuti, anche se il voto segreto nel Parlamento, unito alle recenti manifestazioni di insoddisfazione nei suoi confronti, le rendono necessario cercare supporti ulteriori rispetto alla coalizione che ufficialmente la sostiene. Esistono però veti incrociati, in conseguenza dei quali la sinistra non è disposta a sostenere la von der Leyen qualora accettasse voti dall’estrema destra, e viceversa. La mancanza di coalizioni alternative, emersa dalle elezioni, lascia pensare che un compromesso si troverà, anche se si tratta sempre di un compromesso che renderà meno facile mettere in calendario le grandi scelte necessarie al futuro dell’Europa.
Il vero problema politico ritorna quindi a concentrarsi sulla fondata ipotesi che Francia e Germania si possano trovare a Bruxelles attorno allo stesso tavolo, ma con idee opposte proprio sul futuro di un’Europa che, pur con temporanee divergenze, hanno sempre guidato con volontà comune e con il constante e fattivo contributo dell’Italia.
Per questo motivo l’inattesa decisione di Macron di indire immediate elezioni appare un gioco azzardato, anche se frutto della speranza che, di fronte a uno scontro diretto con l’estrema destra, la maggioranza dei francesi ritorni a sostenere le forze politiche più tradizionali.
Ipotesi non facile da verificarsi non solo per la brevità dell’intervallo che ricorre fra le recenti elezioni europee e le prossime elezioni francesi, ma anche perché il voto all’estrema destra è, in parte non certo trascurabile, effetto di un’inquietudine ed un’insicurezza che spingono i cittadini di tutti i paesi democratici, e quindi non solo i francesi, a cercare rifugio in un’indefinita ed indefinibile autorità che li protegga. Un’inquietudine e un’insicurezza che difficilmente si cancelleranno in poche settimane.
Di fronte a questo scenario anche la posizione italiana, di un paese che ha sempre visto e ancora vede il proprio futuro legato al disegno europeo, viene per la prima volta classificata in un quadro difficile da interpretare. Questo perché oggi, a differenza di quanto avveniva in passato, non è semplice prevedere le scelte del nostro governo.
La Presidente del Consiglio si è infatti preparata ad assumere una posizione che, in modo scientifico anche se con un po’ di ironia, possiamo definire “ambidestra.” Di destra di sicuro ma che, a seconda dei negoziati che si apriranno, potrà appoggiare, da destra, la coalizione Ursula o potrà invece schierarsi, sempre da destra, con i suoi tradizionali alleati, molto critici di fronte al progetto europeo.
Per lunghi mesi infatti la Presidente Meloni ha mostrato una crescente vicinanza con le posizioni politiche di Ursula von der Leyen salvo poi, nelle settimane immediatamente precedenti alle elezioni, partecipare attivamente, come capo partito insieme ai suoi antichi alleati, al coro ostile nei confronti dell’Unione Europea organizzato dalla spagnola Vox. Una libertà di azione che può essere tatticamente utile, anche se è bene ricordare che, così come non vi può essere un’Europa senza l’Italia, non vi può nemmeno essere un’Italia senza l’Europa.
Il mio Mississippi di Gabicce Mare
Europa a due velocità: ora o mai!
Europa a due velocità, ora o mai
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 01 giugno 2024
Non è mai facile fare previsioni sull’andamento delle elezioni. L’impresa è ancora più difficile quando si tratta di una consultazione che coinvolge ventisette paesi, ognuno dei quali con diverse sensibilità e particolari problemi. E’ tuttavia molto probabile che il prossimo Parlamento europeo troverà la sua maggioranza solo rinnovando una coalizione fondata sull’accordo fra popolari, socialisti e liberali, anche se la somma dei loro voti non sarà sufficiente per raggiungere la maggioranza dei seggi parlamentari. Si dovranno quindi aggiungere altri consensi. Questo obiettivo sarà reso più complesso dai veti incrociati che si sono ulteriormente accentuati in questi ultimi giorni di campagna elettorale. Al quadro si aggiunge un probabile rafforzamento dei partiti euroscettici ed europessimisti, a loro volta divisi per la varietà degli obiettivi e l’intensità dei veti, anche se ormai nessuno, dopo il fallimento della Brexit, si schiera per l’uscita dall’Unione Europea.
In questo contesto la possibilità di raccogliere i consensi sufficienti per la conferma di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione, pur rimanendo l’ipotesi più accreditata, è ovviamente diminuita, così come è fortemente aumentata la probabilità di assistere a lunghe (forse molto lunghe) trattative per eliminare veti e incompatibilità. Per quanto riguarda i partiti italiani, l’interesse maggiore si riferisce a FdI. La presidente Meloni ha infatti, per lunghi mesi, costruito una forte alleanza con von der Leyen, ipotizzando quindi un possibile avvicinamento al Partito popolare, ma ha visibilmente cambiato direzione nelle ultime settimane, fino a riavvicinarsi al suo tradizionale schieramento euroscettico e conservatore, come è apparso nel recente incontro organizzato da Vox, l’estrema destra spagnola.
Questa evoluzione e il veto dei socialisti nei confronti di una possibile alleanza con la destra, rendono naturalmente più difficile l’accordo fra FdI e i popolari, anche se la decisione finale dipenderà dai risultati elettorali e dall’ipotesi che i veti si mantengano nel corso delle probabili lunghe trattative.
Tutte queste considerazioni sono certo importanti, ma molto di più lo è riflettere sulle scelte, anzi sull’unica scelta, che l’Unione Europea dovrà fare se vuole finalmente assumere un ruolo significativo in un mondo che vede l’Europa sempre più irrilevante, come una noce schiacciata tra Stati Uniti e Cina.
Nella legislatura che sta per terminare, l’Unione Europea è stata infatti in grado di affrontare con successo la lotta contro la Pandemia, di apprestare un temporaneo, ma importante programma di solidarietà economica con il PNRR e di presentarsi sostanzialmente unita nel proteggere l’Ucraina, dimostrandosi così capace di custodire i suoi cittadini nelle grandi emergenze. Non sono risultati di poco conto, ma non certo sufficienti per invertire la nostra perdita di ruolo nell’ambito della politica e dell’economia internazionale.
Tutto questo non in conseguenza della nostra oggettiva debolezza. Rimaniamo infatti la seconda potenza industriale e il primo esportatore del mondo, ma le nostre istituzioni non ci permettono di assumere le necessarie decisioni. Il diritto di veto dei singoli stati ci impedisce di essere presenti nella politica estera, di costruire un elementare sistema di difesa, pur con un una spesa militare complessiva che supera di molte volte quella russa e si avvicina a quella cinese. E ci confina ad una politica commerciale che non riesce a reagire in modo unitario di fronte all’aggressività cinese e al protezionismo americano.
E’ inutile girare attorno ai problemi. Se vogliamo esistere dobbiamo abolire il diritto di veto e, nell’attesa di porre in atto il lungo, ma necessario processo di riforma dei trattati, non vi è altra scelta che procedere con un’Europa a più velocità come abbiamo fatto con grande successo per l’Euro. Siamo infatti partiti in dodici paesi e ora siamo venti, con la prospettiva di avere nuovi aderenti alla moneta unica anche in un prossimo futuro.
Non è pensabile che l’Europa abbia perduto qualsiasi influenza nel Mediterraneo, che in Siria e in Libia comandino la Russia e la Turchia. E non è credibile che non si possa costruire una strategia industriale nei nuovi settori, a partire dall’automobile elettrica e dai semiconduttori, perché non si riescono a comporre gli interessi diversi esistenti fra la Germania e gli altri paesi.
La politica della mediazione passiva non è più perseguibile in un mondo ormai diviso in blocchi tra di loro contrapposti, come risulta evidente dalla nostra assenza in tutti i tentativi di composizione della guerra di Ucraina e del conflitto tra Israele e Palestina.
Quanto detto per la politica estera vale per tutti i campi che decidono il nostro futuro, dall’ambiente alla politica sociale, dall’unione bancaria a una strategia industriale comune.
Naturalmente in ognuno di questi settori saranno necessari complicati accordi e compromessi per prendere decisioni condivise, ma il compito prioritario della prossima legislatura sarà quello di mettere l’Unione Europea in grado di prendere decisioni. Questa è la regola fondamentale per il funzionamento di ogni democrazia.
E’ evidente che il complicato posizionamento dei partiti europei rende difficile una decisione così radicale, ma siamo arrivati al punto in cui un serio radicalismo è necessario per la sopravvivenza. Ed è anche possibile perché, a scapito di tutte le dichiarazioni, nessun paese si può permettere di uscire dall’Unione. Può solo permettersi di rimanere periferico.
Nelle prossime elezioni il cittadino dovrà quindi scegliere di votare per i partiti che concepiscono l’Europa come un vero centro decisionale e non come un’enorme periferia. Il resto verrà dopo.
Grande Mattarella
Sergio Mattarella, presidente della Repubblica italiana, ha salito i 243 gradini dell'altare della Patria senza alcuno sforzo apparente, senza esitazioni.
Nella società dell'immagine vedere il proprio anziano capo di stato espletare a 83 anni tranquillamente un impegnativo dovere di rappresentanza e' non solo confortante. Ma la conferma che Mattarella con il suo tratto elegante e privo di eccessività rappresenta tutti noi italiani in un momento di grande difficoltà nazionale.
L'Italia ,questa meravigliosa nazione, avrebbe bisogno di un collante sociale che superasse le estremizzazioni ed anche quel maledetto vizio latente in ogni abitante della penisola di recitare la propria sceneggiata quotidiana.
Come cittadino italiano (ma anche come cittadino americano) esprimo al presidente Mattarella il mio grazie sincero, per quanto sta dando al paese che rappresenta in misura degna e vera.
Oscar