Iniziamo la pubblicazione di una lecture che abbiamo tenuto agli studenti del MICRI master dello IULM di Milano. Si tratta di materiale che puo' interessare gli addetti ai lavori sia il pubblico generico.
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Dove sta andando l’informazione in America
Suona il telefono.
“Qui è il Washington Post. Sono Erika. Vorremmo sapere perché ha disdetto il suo abbonamento con il nostro quotidiano, please.”
Comincio ad andare fuori giri: “Questa è la quinta telefonata che ricevo oggi dal vostro giornale. Non ne posso più. Anche questo è uno dei motivi per cui confermo che non voglio più sottoscrivere alla vostra testata.”
Purtroppo per me e per le migliaia di cittadini americani che si trovano nelle stesse condizioni di spirito, questi episodi telefonici si ripetono ogni giorno, protagonisti quelli che lavorano nei call centers delle diverse testate.
E siccome ognuno ha da risolvere i propri problemi professionali, non è che alle poverette malpagate che devono chiamare con voce stanca quelli che hanno cancellato le subscription uno possa dedicare la sfilza delle ragioni per cui si è arrivati alla decisione di fare a meno del quotidiano.
Ma le voglio esporre qui al Lettore anche se so bene che incontrerò molte critiche e pareri negativi. Questa è la forza della democrazia.
Chi scrive non appartiene alla generazione X o Y come vengono identificati i giovani che si affacciano al mondo dell’informazione professionale. Sono un anziano professionista che dovrebbe essere incollato al giornale stampato su carta che preferisce.
Le mie fonti le trovo invece sul PC, sullo smart phone oppure sul mio netbook (un piccolo computer che sostituisce alla grande il reclamizzato IPad ad un prezzo di acquisto che è pari alla metà).
Il mestiere di blogger mi tiene incollato al computer per molte ore al giorno. Mi sono reso conto che da un po’ di tempo a questa parte le copie di giornali e periodici non letti si ammassano sui miei tavoli.
La ragione di questo spreco non solo di moneta da parte mia, ma anche da un punto di vista ecologico, consiste principalmente nel fatto che le notizie pubblicate su carta sono vecchie rispetto all’aggiornamento che posso ottenere dalle pagine online delle stesse testate, dai blog più noti, sia pure di diversa tendenza politica, (Drudge Report, Uffington Post), dai social networks tipo Facebook, You Tube e Twitter, per citare i più noti.
Dice: “Per forza, se stai sempre al computer è chiaro che non hai tempo per leggerti il giornale.”
Capisco e comprendo i molti amici, soprattutto italiani, che mi dicono che per loro la lettura del quotidiano è un rito, da recitare con un caffè a portata di mano e, per chi ha il vizio, una sigaretta, stando in poltrona.
Per anni ho sottoscritto l’abbonamento al Post, al New York Times e al Wall Street Journal. Si tratta di quotidiani che hanno fatto la storia di questa nazione-continente.
Ma con tutto il rispetto per le glorie passate devo confessare che la lettura del Washington Post, (tanto per fare un esempio concreto), mi ha spesso infastidito.
Molte pagine costituite da un piccolo articolo relegato in alto a sinistra ed il resto dello spazio interamente occupato da una inserzione pubblicitaria. E nonostante i tanti ritocchi nella grafica di questo giornale non è che la situazione sia di molto cambiata in meglio.
Qualcuno dice che questo dipende dal fatto che il più importante quotidiano della Capitale degli Stati Uniti deve rispondere ad una clientela composita e contrapposta.
Da una parte la classe politica e parapolitica che vive le sue giornate di lavoro all’interno della Belt Way , la tangenziale che circonda la Greater Washington, quell’area che comprende Washington DC (District of Columbia) e alcune contee della North Virginia e del Maryland.
E poi il gran pubblico degli African-Americans che costituiscono quasi il 70% della popolazione della città e che hanno interessi distanti da quelli della intellighenzia politica, lobbistica, impegnata nel Fondo Monetario piuttosto che nella Banca Mondiale e nel Banco InterAmericano de Desarrollo. Per non parlare delle ambasciate che ogni giorno devono fare il rapporto ai propri dante causa e spesso si limitano a ricopiare gli articoli del Post.
Un giornale bicefalo con notevoli cali di stile da una sezione all’altra. Fenomeno questo tipico di tanti altri newspapers americani e italiani.
Ma, a differenza delle testate americane, i giornali italiani devono coprire ‘tutto’: politica, costume, sport, spettacoli, cultura e gossip, i pettegolezzi. I quotidiani italiani sono ‘tuttologi’ e da un punto di vista grafico migliori rispetto a quelli statunitensi.
I pettegolezzi, le notizie rosa o dark, la cronaca nera amplificata, nella realtà anglosassone, sono materia da tabloid, i giornali della sera che negli ultimi tempi sono riusciti ad assicurarsi in America degli scoop eccezionali, nonostante il termine ‘tabloid’ sia diventato nel tempo sinonimo di notizie inventate a tavolino.
(continua)
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Dove sta andando l’informazione in America
Suona il telefono.
“Qui è il Washington Post. Sono Erika. Vorremmo sapere perché ha disdetto il suo abbonamento con il nostro quotidiano, please.”
Comincio ad andare fuori giri: “Questa è la quinta telefonata che ricevo oggi dal vostro giornale. Non ne posso più. Anche questo è uno dei motivi per cui confermo che non voglio più sottoscrivere alla vostra testata.”
Purtroppo per me e per le migliaia di cittadini americani che si trovano nelle stesse condizioni di spirito, questi episodi telefonici si ripetono ogni giorno, protagonisti quelli che lavorano nei call centers delle diverse testate.
E siccome ognuno ha da risolvere i propri problemi professionali, non è che alle poverette malpagate che devono chiamare con voce stanca quelli che hanno cancellato le subscription uno possa dedicare la sfilza delle ragioni per cui si è arrivati alla decisione di fare a meno del quotidiano.
Ma le voglio esporre qui al Lettore anche se so bene che incontrerò molte critiche e pareri negativi. Questa è la forza della democrazia.
Chi scrive non appartiene alla generazione X o Y come vengono identificati i giovani che si affacciano al mondo dell’informazione professionale. Sono un anziano professionista che dovrebbe essere incollato al giornale stampato su carta che preferisce.
Le mie fonti le trovo invece sul PC, sullo smart phone oppure sul mio netbook (un piccolo computer che sostituisce alla grande il reclamizzato IPad ad un prezzo di acquisto che è pari alla metà).
Il mestiere di blogger mi tiene incollato al computer per molte ore al giorno. Mi sono reso conto che da un po’ di tempo a questa parte le copie di giornali e periodici non letti si ammassano sui miei tavoli.
La ragione di questo spreco non solo di moneta da parte mia, ma anche da un punto di vista ecologico, consiste principalmente nel fatto che le notizie pubblicate su carta sono vecchie rispetto all’aggiornamento che posso ottenere dalle pagine online delle stesse testate, dai blog più noti, sia pure di diversa tendenza politica, (Drudge Report, Uffington Post), dai social networks tipo Facebook, You Tube e Twitter, per citare i più noti.
Dice: “Per forza, se stai sempre al computer è chiaro che non hai tempo per leggerti il giornale.”
Capisco e comprendo i molti amici, soprattutto italiani, che mi dicono che per loro la lettura del quotidiano è un rito, da recitare con un caffè a portata di mano e, per chi ha il vizio, una sigaretta, stando in poltrona.
Per anni ho sottoscritto l’abbonamento al Post, al New York Times e al Wall Street Journal. Si tratta di quotidiani che hanno fatto la storia di questa nazione-continente.
Ma con tutto il rispetto per le glorie passate devo confessare che la lettura del Washington Post, (tanto per fare un esempio concreto), mi ha spesso infastidito.
Molte pagine costituite da un piccolo articolo relegato in alto a sinistra ed il resto dello spazio interamente occupato da una inserzione pubblicitaria. E nonostante i tanti ritocchi nella grafica di questo giornale non è che la situazione sia di molto cambiata in meglio.
Qualcuno dice che questo dipende dal fatto che il più importante quotidiano della Capitale degli Stati Uniti deve rispondere ad una clientela composita e contrapposta.
Da una parte la classe politica e parapolitica che vive le sue giornate di lavoro all’interno della Belt Way , la tangenziale che circonda la Greater Washington, quell’area che comprende Washington DC (District of Columbia) e alcune contee della North Virginia e del Maryland.
E poi il gran pubblico degli African-Americans che costituiscono quasi il 70% della popolazione della città e che hanno interessi distanti da quelli della intellighenzia politica, lobbistica, impegnata nel Fondo Monetario piuttosto che nella Banca Mondiale e nel Banco InterAmericano de Desarrollo. Per non parlare delle ambasciate che ogni giorno devono fare il rapporto ai propri dante causa e spesso si limitano a ricopiare gli articoli del Post.
Un giornale bicefalo con notevoli cali di stile da una sezione all’altra. Fenomeno questo tipico di tanti altri newspapers americani e italiani.
Ma, a differenza delle testate americane, i giornali italiani devono coprire ‘tutto’: politica, costume, sport, spettacoli, cultura e gossip, i pettegolezzi. I quotidiani italiani sono ‘tuttologi’ e da un punto di vista grafico migliori rispetto a quelli statunitensi.
I pettegolezzi, le notizie rosa o dark, la cronaca nera amplificata, nella realtà anglosassone, sono materia da tabloid, i giornali della sera che negli ultimi tempi sono riusciti ad assicurarsi in America degli scoop eccezionali, nonostante il termine ‘tabloid’ sia diventato nel tempo sinonimo di notizie inventate a tavolino.
(continua)
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