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La fine annunciata del quotidiano stampato (3)

Crollano anche le televisioni generaliste. E tra quelle via cavo CNN la più importante azienda di news del mondo, ha visto precipitare gli ascolti del 39%.
Fox News, del solito Murdoch è al primo posto tra le televisioni via cavo grazie ai suoi anchor di punta (Bill O’Reilly e Glenn Beck).Si tratta di due personaggi apertamente schierati a destra, che usano un linguaggio diretto e offensivo nei confronti degli oppositori di varia tendenza e, come nel caso di Glenn Beck sbandierano la loro passata dipendenza da alcool e droghe).Un meccanismo di transfert psicologico che funziona molto bene negli Stati Uniti in termini di comunicazione. Basta pensare a George W. Bush ed alla sua ammessa predilezione per gli alcoolici fino a 40 anni prima di essere fulminato sulla via della redenzione dal reverendo evangelico Billy Graham. Il rampino comunicazionale funziona sollecitando nello spettatore e ascoltatore ordinario la molla reattiva del: “Anche lui come me (finito in prigione per guida in stato di ebbrezza, drogato, scarsi risultati a scuola, etc.).Quanto ai maniaci sessuali e pedofili quelli non sono visti con simpatia e autocommiserazione nella cultura americana.
Negli Stati Uniti da qualche anno va progressivamente aumentando il numero di coloro che non cercano una informazione obiettiva (o, quantomeno, tendente all’obiettività). Quello che si cerca è un medium che sia in sintonia con il nostro punto di vista e con le nostre aspettative. Se nell’edicola mediatica si trova una testata e un commentatore che rispondono a questa nostra inclinazione il collegamento diventa perfetto e il rapporto si cementifica attraverso la fidelizzazione.Per dare un’idea del livello di crisi vissuto oggi dalla stampa americana basta riferirsi ad una frase nello slang giornalistico che dice: “Every obituary run in a newspaper means one less reader” (Ogni necrologio pubblicato dal giornale significa un lettore in meno”. Il quotidiano, ovvero il pezzo di carta che compriamo all’edicola o ci viene buttato sul prato di casa dal ragazzino in bicicletta non ha più ‘ragione di esistere’, proprio perché quotidiano. Non sembri una contraddizione: il ciclo della formazione, stampa e distribuzione di un giornale è di 24 ore. Appare evidente che in un mondo come l’attuale, dove basta un click per avere le ultime notizie, questo prodotto veda assottigliarsi ogni giorno il mercato di riferimento. E siamo arrivati alla frutta, o poco ci manca, se, Arthur Sulsberger Jr., il proprietario del New York Times, quel giornale che per decenni è stato considerato la corazzata dell’informazione americana, ha ammesso in un pubblico intervento che la vita di un quotidiano ‘fisicamente’ su carta non ha un futuro.
Di opinione diversa è Frank A. Bennack Jr., CEO del Gruppo Hearst (15 giornali, televisioni, radio) il quale sostiene che i giornali devono risolvere il problema del modello di business che deve essere ridisegnato. E quanto ai nuovi tools sui quali è possibile scaricare elettronicamente e leggere un giornale, Bennack sostiene che questi occuperanno uno spazio di mercato non superiore al 35%. Il resto continuerà ad essere terreno del giornale su carta. James M. Moroney III è il chief executive officer and publisher of The Dallas Morning News. La lettera che ha scritto ai suoi collaboratori in occasione della celebrazione del 125 anniversario della fondazione della testata è divenuta il manifesto degli editori e di tutti coloro che, a diverso titolo, lavorano nelle aziende che pubblicano giornali e periodici. Secondo il suo proprietario il The Dallas Morning News non è più un giornale stampato. O almeno non è questo il solo prodotto dell’azienda. Un grande impegno viene profuso dai dirigenti di questa importante testata (che ha vinto decine di premi Pulitzer durante la sua esistenza) nell’affiancare al giornale a stampa su carta anche la versione ondine ed in più altri prodotti editoriali destinati al numero sempre crescente di utenti che vogliono ricevere il loro giornale via elettronica. “Non siamo più una ‘newspaper company’ ma siamo diventati una ‘ news media company’. Fino al 2001 le aziende giornalistiche hanno prodotto utili. Dopo sono cominciati i guai. Oggi testate storiche come il Los Angeles Times, The Chicago Tribune, The Denver Post, The Philadelphia Inquirer,The Minneapolis Star Tribune, The Orange County Register hanno dovuto ricorrere al Chapter 11, definito bancarotta ma che corrisponde alla nostra amministrazione controllata. Gli ultimi tre anni sono stati particolarmente diificili per l’industria dei newspapers. I ricavi della pubblicità che garantivano una copertura pari all’80% degli incassi di una testata sono calati dell’8% nel 2007, 17% nel 2008 e 24% nel 2009 e a metà del 2010 si registra una ulteriore diminuzione del 9%. Ancora per dieci anni i quotidiani a stampa saranno sul mercato, secondo James M. Moroney. Poi prenderanno il sopravvento le edizioni digitali delle news. Anche Moroney, come lo stesso Murdoch, accusa i blog di non essere aziende giornalistiche, ma solo degli aggregatori di notizie rubate dalle testate che mantengono in vita delle importanti newsroom. Nei giornali ‘veri’ sono le inchieste (giornalismo investigativo), i commenti, le analisi che danno al quotidiano quel plus che li differenzia dai puri aggregatori di notizie scritte da altri. Questo rimane l’unico vantaggio che i media a stampa hanno nei confronti delle televisioni. Ma la continua erosione degli organismi delle redazioni dovuta alla scure del taglio dei costi sta annullando anche questo differenziale che ha sempre caratterizzato la vita di un giornale a stampa rispetto al flusso di informazioni sfornate a getto continuo dalla TV e dalle radio. Secondo il publisher e CEO del Dallas Morning News per garantire i posti di lavoro e non espellere centinaia di giornalisti dalle redazioni occorre aumentare il prezzo del giornale a stampa, far pagare quelli che vogliono consultare le edizioni online, rafforzare la legge sul copyright e non consentire di utilizzare il contenuto delle notizie a meno che uno non paghi. Un ritornello che ormai quasi tutti gli editori in tutto il mondo stanno ripetendo. L’unico ad averlo adottato prima di tutti è stato il Wall Street Journal con risultati a quel che si apprende non entusiasmanti. Al punto che Rupert Murdoch ha smantellato di recente le redazioni a Londra e New York che avrebbero dovuto mettere online un quotidiano elettronico a pagamento. Ma in una intervista rilasciata ad un quotidiano australiano, Murdoch ha detto che comunque il quotidiano elettronico uscirà e le previsioni sono che possa avere un serbatoio di abbonamenti pari a 800mila lettori.
Murdoch è uno che sa annusare il mercato prima degli altri. La sua decisione, comunque, confligge con il fatto che se uno rinuncia all’abbonamento della copia su carta del suo giornale e si trova costretto a pagare per cliccare sull’edizione che trova su Internet, bene: a quel punto si rivolge alla immensa platea dei blog nella quale individua quello che più gli dà affidamento quanto a fornitura di notizie più o meno obiettive in tempo reale. Free of charge, ovvero senza pagare un centesimo.
Fino a poco fa ci si meravigliava per l’abilità di CNN di coprire ogni evento e disastro naturale in giro per il mondo inviando le proprie troupes nell’arco di poche ore anche in zone difficili da raggiungere. Le prime notizie dettagliate sul terremoto che ha colpito Haiti, sulla repressione delle proteste a Teheran, sullo tzunami in Giappone sono arrivate alla stessa CNN ed alle altre televisioni attraverso le corrispondenze di privati che digitavano su Twitter. Lo scenario della informazione americana (a parte la ‘morte annunciata’ prossima ventura dei media su carta) presenta delle profonde crepe finanziarie considerato che il sostegno della pubblicità si va dirigendo verso altri mezzi di comunicazione elettronica o batte la fiacca a causa della crisi economica che non accenna a dare sostanziali segnali di ripresa e di recupero della forza lavoro.
(I precedenti articoli sono nell'archivio del mese di Aprile)
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