“Papà, sei sveglio? La radio dice che un aereo si è schiantato su una delle torri del World Trade Center a New York. Forse si tratta di un aereo leggero. Io continuo a guidare verso il campus di AOL perchè ho una riunione importante di lavoro...”
Così mio figlio Marco quel maledetto mattino del 11 sembre 2001.
Poi è iniziata per me una giornata che non dimenticherò.
Davanti alla televisione ho seguito il dramma di New York, come dimenticare quelli che si gettavano nel vuoto per sfuggire all’incendio e al crollo dei grattacieli..?
Come me altri 95 funzionari del Pentagono seguivano quanto stava accadendo a 400 chilometri di distanza dalla Capitale.
Poi sono stati vaporizzati dall’aereo che ha colpito il fianco del Pentagono.
Le immagini televisive sembravano essere non vere, ma la riproduzione di un set cinematografico di uno dei tanti film dell’orrore.
L’orrore era qui, tra noi, ma non riuscivamo a quantificarlo in termini di emozione perchè non riuscivi a metabolizzare nella tua confusione mentale, nel sobbalzo dei sentimenti, la chiave di interpretazione di quel terribile spettacolo di follia umana rivolto contro migliaia di innocenti.
Poi sono passati mesi e mesi di informazioni spesso contraddittorie con domande alle quali il governo di George W. Bush non avrebbe mai dato risposta esauriente.
A cominciare da quell’aereo con 250 membri della famiglia saudita, unico velivolo autorizzato a volare e a lasciare gli Stati Uniti nonostante il blocco generalizzato dello spazio aereo.
Quell’11 sembre di diciassette anni fa è stata la prima vera, grande sconfitta degli Stati Uniti, molto più grave della Pearl Harboor dell’attacco giapponese che si è svolta in una cornice bellica.
Una azione suicida studiata e realizzata da menti offuscate da una dottrina religiosa di odio che si sarebbe ripercossa in altrettante azioni negli anni a seguire contro le nazioni cardine della civiltà occidentale, mettendo a rischio perpetuo la convivenza della componente musulmana con le altre differenti culture.
Oscar