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Siamo all' ultima chiamata prima della guerra civile nazionalsovranista.

Daniela Preziosi (Il Manifesto)

«Quando si rompono gli equilibri istituzionali o c'è la soluzione democratica, o decide la forza. Se non ci sono soluzioni democratiche c'è la guerra civile». Con Rino Formica - classe 1927, socialista, più volte ministro, da più di mezzo secolo le sue definizioni della politica e dei politici sono sentenze affilate, arcinote e definitive - il viaggio per approdare all' oggi, un oggi drammatico, inizia da lontano.
Con il Pietro Nenni «di quei dieci giorni lunghi quanto un secolo fra il 2 e il 12 giugno del '46», racconta, «fra il referendum e la proclamazione della Repubblica c' è il tentativo del re di bloccare la proclamazione della Repubblica. Umberto resisteva al Quirinale. I tre grandi protagonisti, De Gasperi Togliatti e Nenni, presero la decisione di convocare il Consiglio dei Ministri e di dare i poteri di capo dello stato a De Gasperi, che era presidente del consiglio. De Gasperi andò al Quirinale sfrattò Umberto. In quei giorni noi, dalle federazioni del partito socialista, chiedemmo che fare. C' era il rischio reale che si bloccasse il processo democratico. Nenni appunto diramò la disposizione: quando si rompono gli equilibri istituzionali o c' è la soluzione democratica o la parola passa alla forza». Questa è la «questione», sostiene Formica.

Stiamo assistendo a una rottura istituzionale?

Questa rottura è antica, maturava già dagli anni 70, ma il tema viene strozzato. Il contesto internazionale è bloccato, un paese di frontiera come l' Italia deve fronteggiare equilibri interni ed internazionali. Nell' 89 questo blocco salta, ma le classi dirigenti non affrontano il tema della desovranizzazione degli stati che diventavano affluenti dell' Europa unitaria. I grandi partiti entrano in crisi. Il Pci è in crisi logistica e di orientamento; il Psi perde la rendita di posizione; la Dc è alla fine della sua funzione storica.

Torniamo alla nostra crisi istituzionale.

Da allora abbiamo due documenti importanti. Il primo è del '91, il messaggio alle camere di Cossiga che spiega che l' equilibro politico e sociale è superato. Poi, nel 2013, il discorso del secondo mandato di Napolitano. Due uomini diversi, con due approcci diversi, con coraggio pongono al parlamento il tema del perdurare della crisi. E i parlamentari, fino ad oggi, continuano a far finta che tutto va bene, che è solo un temporale, passerà. Oggi siamo alla decomposizione istituzionale del paese.

Quali sono i segnali della «decomposizione»?

Innanzitutto il governo: non c' è. Oggi ci sono tribù che occupano posizioni che una volta erano del governo. Il presidente del consiglio convoca le parti sociali, ma il giorno dopo le convoca il ministro degli interni. E i sindacati vanno. Quando il sindacato non ha un interlocutore istituzionale ma va da chi lo chiama si autodeclassa a corporazione: vado ovunque si discuta dei miei interessi. Allora: non c' è un governo, perché la sua attività è stata espunta; non ci sono i partiti né i sindacati. È la crisi dei corpi dello stato. Si assiste a un deperimento anche delle ultime sentinelle, l' informazione, la magistratura.

Sta dicendo che non c' è alternativa alla guerra civile?

C' è. Oggi siamo in condizione di mobilitare la calma forza democratica dell' opinione pubblica?
Chi può animarla? I leader politici sono deboli o screditati. Serve l' autorità morale e politica che può creare un nuovo pathos nel paese. Uno strumento democratico c' è, sta nella Carta. È il messaggio del presidente della Repubblica alle camere. Nell' 81 la camera pubblicò un volume sui messaggi dei presidenti. Nella prefazione il costituzionalista Paolo Ungari spiega che il messaggio alle camere ha una grande importanza. Il presidente ha due modi per dialogare con il parlamento. Il primo è quando interviene nel processo legislativo. Quando rinvia alle camere un disegno di legge per incostituzionalità. È vero che non ha il diritto di veto ma - dice Ungari porta il dissenso dinanzi al parlamento e anche all' opinione pubblica, «un terzo e non silenzioso protagonista»
Dovrebbe succedere con il decreto sicurezza bis?
Leggo che Mattarella ha dubbi. Forse ha dubbi su di sé: le norme incostituzionali stavano già nel testo che ha firmato e inviato alle camere. Lì si accettava il superamento della funzione del presidente del consiglio: non c' è più, viene informato dal ministro degli interni. È la negazione della norma costituzionale. Ma è vero che se oggi lo rimandasse alle camere la maggioranza potrebbe ben dire: abbiamo votato quello che tu hai già firmato.

Allora cosa può fare?

La situazione di oggi è figlia dell' errore del 2018. Il presidente dà l' incarico esplorativo a Cottarelli e questo incarico viene sospeso dall' esterno da due signori che notificano al Quirinale di non procedere perché stanno stilando un «contratto» di cui indicano l' arbitro, il presidente del consiglio. È il declassamento dall' accordo politico a contratto di natura civilistica, uno stravolgimento costituzionale. L' accordo di governo è altra cosa: stabilisce una cornice politica generale. L' errore è dei contraenti, ma chi lo ha avallato poteva fare diversamente? Se il presidente del consiglio è arbitro si accetta il fatto che la crisi istituzionale si supera attraverso una extrademocrazia aperta a tutti i venti.

Un punto di non ritorno?

Il problema ora è mettere uno stop. Il presidente della Repubblica dovrebbe fare un messaggio sullo stato di salute delle istituzioni. Il presidente del consiglio non c' è più, il governo neanche, la funzione della maggioranza è mutata fra decretazione e voto di fiducia. Ormai, di fatto, una camera discute, l' altra solo vota. Si sta consumando un mutamento dell' equilibrio istituzionale. Il presidente ci deve dire se questa Costituzione è diventata impraticabile.
Intanto il Viminale allarga i suoi poteri. Salvini crea una novità nel nostro tessuto democratico.
All' interno di un sistema di sicurezza crea una fazione istituzionale di partito: spezza un corpo dello stato in fazioni politiche. Il rischio è che nasca una polizia salviniana. Che avrebbe come conseguenza la nascita della Rosa bianca, come sotto Hitler. E non solo. Ormai Salvini fa in continuazione dichiarazioni di politica estera che si pongono al di fuori dei trattati a cui aderisce l' Italia.

Mattarella ha gli strumenti per fermarlo?

Mattarella viene da una educazione morotea, quella della inclusione di tutte le forze che emergono, anche le più incompatibili. Ma ne dà un' interpretazione scolastica. Moro spiega la sua visione nell' ultimo discorso ai gruppi parlamentari Dc, prima del sequestro. Convince i suoi all' inclusione del Pci nel governo ma, aggiunge, se dovessimo accorgerci che fra gli inclusi e gli includenti c' è conflitto sul terreno dei valori, noi passeremo all' opposizione. L' inclusione insomma non può prescindere dai valori. Altrimenti porta alla distruzione dei valori anche di quelli che li hanno. Infatti il contratto non è un' intesa fra i valori ma tra gli interessi.

Insomma questo governo è un cavallo di troia nelle istituzioni?

È la mela marcia che infetta il cesto.

Mattarella può ancora intervenire?

Non c' è tempo da perdere, deve rivolgersi al parlamento. L' opinione pubblica deve essere rimotivata, deve sapere che ha una guida morale, politica e istituzionale. Si sta creando il clima degli anni 30 intorno a Mussolini.

I consensi di Salvini crescono, l' opinione pubblica ormai si forma al Papeete beach.

Ma no, Salvini cresce perché non c' è un' alternativa. Un messaggio del presidente darebbe forza a quelle tendenze maggioritarie nell' Ue che hanno bisogno di sapere se in Italia c' è qualcuno che denuncia il deperimento democratico. Anche perché, non dimentichiamolo, l' Unione ha l' arma della procedura di infrazione per deperimento democratico, già usata per la Polonia.

In questo suo ragionamento l' opposizione non ha ruolo?

Il paese è stanco, il Pd non è in condizioni di rimotivarlo. Nessuno ne ha la forza. La stampa è sotto attacco, si difende, ma per quanto ancora? Hanno aggredito Radio radicale, i giornali, dal manifesto all' Avvenire, intimidiscono anche la stampa più robusta. Solo una forte drammatizzazione istituzionale può riuscire. All' incontro con i cronisti parlamentari Mattarella ha fatto un discorso importante. Ecco, tutti insieme dovrebbero chiedergli di ripeterlo ma in forma di messaggio alle camere.
Per dare un rilievo ufficiale agli attacchi alla libera stampa. La signora Van der Leyen non potrebbe non intervenire. Anche perché resta il dubbio che la Lega sia strumento della Russia contro l' Ue.
I rapporti fra Salvini e la Russia di Putin sono servili. La Russia ha un forte interesse a un' Italia destabilizzata per destabilizzare l' Europa. Il disegno non è di Salvini, lui è solo un servo assatanato di potere.

Ministro, con Salvini sono tornate le ballerine, stavolta in spiaggia?

Quando parlai di «nani e ballerine» intendevo che non si allarga alla società civile mettendo in un organo politico i professionisti del balletto. Qui siamo alla versione pezzente del Rubigate.
Quello di Berlusconi era un populismo di transizione ma non si può negare che intercettasse sentimenti popolari. Salvini invece eccita i risentimenti plebei.

Chiede al Colle di agire un conflitto inedito nella storia repubblicana?

Ma se questa situazione va avanti, fra due anni Salvini si eleggerà il suo presidente della Repubblica, la sua Consulta, il suo Csm e il suo governo. Siamo al limite.
Lo dico con Nenni: siamo all' ultima chiamata prima della guerra civile nazionalsovranista.
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Caro Oscar, grazie per questo stimolo anche se un po' difficile da seguire fino in fondo.

Stiamo appena uscendo da una guerra civile e subito se ne paventa un’altra. 

Un popolo di poeti, scienziati, navigatori, ma anche artigiani, imprenditori, ingegneri, architetti, visionari, guerrieri, padri di famiglia ed in generale di brava gente, operosi e risparmiosi, tesi a produrre benessere per se, per la propria famiglia, per la propria azienda, per la propria città, per la propria nazione, e che per secoli hanno prodotto risultati strabilianti, fondatori di quella civiltà alla quale apparteniamo.

Poi arrivano i progressisti che spiegano che il profitto, il risultato positivo, il successo, il capitale sono nemici del popolo e i loro portatori devono essere fucilati sulla piazza rossa. Talmente illogico che all’inizio pare pittoresco.

Invece il tremendo reflusso procurato dall’invidia e dal dubbio di non potercela fare, trova sollievo in questa nuova idea, che corrode tutto ciò che incontra. 

Una guerra civile, combattuta città per città, strada per strada, famiglia per famiglia e nell’intimo di ciascuno, facendo analisi del proprio agire per conformarsi con il minor danno possibile al conflitto in atto. Ed invece il danno c’è stato, un danno prospettico, un danno futuro, un danno che ha disarticolato le prospettive delle generazioni successive. Che non capiscono perché ci siamo fatti così tanto male.

Alla fine, corroso tutto, l’idea ha corroso se stessa.

E siccome il bello ed il giusto sono le prime e più naturali ambizioni di ciascuno, oggi si abbandonano le piste culturali ormai logore e si va in cerca di altre che possano dare una naturale felicità o, almeno, un vivere dignitoso e fiero di sé.

Alessandro Pescini



Al Palazzo dei Priori Hotel ****

LA RESIDENZA DELLE BADESSE residence
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Caro Oscar
Che tristezza!
Quello che descrivi lo sento anche io
Sono anni che ho paura di una rivolta civile ! 
Certo che gli italiani sono intelligenti e con una storia lunga e anche difficile da seguirla nei secoli scorsi.
La mia impressione di questa possibile rivolta sociale (che ho immaginata nel mio primo anno di università di medicina) è basata sul dispiacete di vedere l’università incapace di insegnare la pratica e la  teoria della  vera conoscenza 
Non si può governare un governo ne’ una azienda se non si ha una profonda istruzione accompagnata da forti valori etici e morali. 
L’università e' per principio il luogo dove i futuri dirigenti si formano. 
Da qui è chiaro come sfornando ignoranti ( vedi i voti presi negli anni settanta come esempio) nel giro di qualche decennio il paese crolla.
In più coloro che usciti dall’Italia hanno acquistato una forte istruzione, se vogliono tornare in Italia trovano poca accoglienza, poco riconoscimento e poca possibilità di poter mettere in pratica quello che sanno.
Come sono addolorata di vedere avverarsi quello che ho pensato nel mio primo anno di università alla Sapienza,  a Roma.
Pare che ora il 52% dei laureati in medicina lascino l’Italia! 
Ti ammiro molto Oscar per questa tua apertura mentale!

Erminia 
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Grazie Oscar di proporre questo articolo a noi tuoi lettori, perché è un articolo ‘prezioso’.
Questa volta, oggi, con il leghismo, e con uno pseudo “uomo forte di turno” - ieri era Mussolini, poi c’è stata la marionetta Berlusconi  e la sua corte- riappare in Italia una forma mutante dell’eterno fascismo di cui non ci siamo mai liberati : che fa sempre breccia nei peggiori e più bassi istinti del buon popolo italiano: provincialismo, grettezza e angustia di vedute,populismo, voglia di autoritarismo e di delegare le proprie responsabilità.
Basteranno Mattarella e il PD con accanto un nuovo partito liberal democratico per sconfiggere questo nuovo buio dello stato di diritto o dovremo ricorrere, in casi estremi, se fosse a rischio la democrazia, forme di intervento di tipo partigiano?
Sandro
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Caro Oscar,



stai teorizzando di fermare qualcuno che potrebbe avere il consenso della maggioranza degli italiani in base alla Legge Costituzionale vigente. (????)

Questo è sovvertimento dell’ordine costituito nel nostro Paese. (!!!!!)

È la faziosità sempre alla base delle guerre civili, alla faccia della democrazia. Pare infatti che da tempo la faziosità sia una prerogativa dei sedicenti democratici. Come pare accada anche nel Paese di cui fai parte, dove pervicacemente non si vuole accettare il verdetto del popolo.

Che la democrazia sia a senso unico? Che la “democrazia” stia diventando paravento da parte di chi non vuole assolutamente perdere il potere? Mi pare che ormai si sia alla caricatura della democrazia.

La democrazia, è bene non dimenticarlo, si fonda sul rispetto del verdetto del popolo, anche quando questo non piace. Ricorda la famosa frase di Voltaire!

Ma del “popolo che sbaglia” abbiamo purtroppo ripetutamente sentito, ed ancora oggi, parlare da politici e intellettuali di sinistra, che da sempre ritengono indispensabile “educarlo questo popolo coglione”, ossia manipolarlo.

Chi si professa democratico dovrebbe rispettare i concetti fondamentali della democrazia!

Occorrerebbe rileggersi i classici, In primis un certo Platone, oggi divenuto uno sconosciuto al pari di Carneade.

Io ricorderei anche un certo Marcuse, filosofo tedesco vissuto in America in gran voga nei fatali anni sessanta, che con il suo famoso testo “Critica della tolleranza” tracciò un parodia della democrazia.

Un abbraccio,


Marco

Oscar risponde: Boh ?!
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Caro Oscar,



dopo aver letto il tuo “Boh?!”, credo sia opportuno che aggiunga alcune brevissime considerazioni al mio commento di ieri al fine di essere maggiormente comprensibile.

Come tu sai esistono persone favorevoli alla democrazia e persone che ad essa non sono favorevoli. Si tratta di una scelta dell’individuo e come tale va rispettata. Non essere favorevoli alla democrazia non è un reato, a meno che non si voglia ripristinare il reato di opinione. In effetti il “politicamente corretto” è il modo “democratico” con cui si distingue chi la pensa secondo il pensiero dominante e chi la pensa diversamente. La sostanza però è purtroppo sempre la medesima.

Ciò che però trovo paradossale è che la gran parte di coloro che nei comportamenti, contrariamente alle loro affermazioni, si palesano chiaramente contrari allo spirito della democrazia si professino invece “democratici”. Non è soltanto un paradosso questo, è un falso.

Oggi la democrazia è dopo tanti affanni a nostra disposizione e, come tu ben sai, la democrazia è un concetto sottile e la sua pratica richiede un grandissimo impegno intellettuale, che forse non è per tutti.

Mi viene a tal proposito in mente il famoso brocardo latino “noli ponere margaritas ante porcos”, e a proposito di maiali non posso non ricordare i maiali giunti al potere in nome del popolo nella “Fattoria degli animali” di Orwell.

Credo non sia possibile essere veri democratici se non si è al medesimo tempo uomini liberi, qualità che pare oggi pressoché introvabile anche in coloro, e sono in molti, che osano fregiarsi di questo appellativo. Chi sa perché?

Lasciamo quindi che la cosa pubblica segua il suo corso secondo le leggi che gli italiani – nazione giovane – si sono dati senza stracciarci le vesti!

Un abbraccio,



Marco