Il mondo di prima non esiste più: ora aprire un confronto con tutto il Paese
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 23 agosto 2020
Da quando il Covid19 ha cominciato ad imperversare si va ripetendo, come in un ritornello, che tutto sarebbe cambiato per effetto della pandemia. Sarebbe cambiato il rapporto fra i diversi paesi, si sarebbe indebolito il ruolo delle democrazie, si sarebbe rivoluzionato il mondo del capitalismo con una moltiplicata importanza del terzo settore e del non profit, si sarebbero creati nuovi confini fra il pubblico e il privato e sarebbe giunto un modo nuovo di lavorare e di imparare.
In effetti una buona parte di queste profezie si sta avverando, ma per forza propria e non per un disegno politico. Nulla di strano perché questi sono spesso i percorsi dei grandi cambiamenti storici. Non dovremo però stupirci se la mancanza di un disegno politico producesse in futuro maggiori ingiustizie e maggiori tensioni. I potenziali cambiamenti devono essere quindi oggetto di riflessione e, per quanto possibile, guidati.
Assistiamo invece ad un dibattito sminuzzato e disperso in mille direzioni. Un dibattito che si esprime attraverso tante voci fra loro in contrasto e che non prepara gli strumenti per costruire una sintesi.
Si può giustamente obiettare che questa è una debolezza condivisa da tutti i sistemi democratici, purtroppo sempre meno in grado di guidare la Storia.
Tutto ciò non ci può tuttavia esimere dal giocare il nostro ruolo di pur modesto contributore al nuovo mondo che, volenti o nolenti, sta arrivando.
È quindi urgente ripensare agli strumenti necessari per raggiungere quest’obiettivo. Questi strumenti, in democrazia, sono fino ad ora solo i partiti: altri infatti non ne sono ancora stati inventati.
Ancora maggiore è tuttavia la responsabilità di chi già opera all’interno di una struttura di partito ma che, guardando più al passato che al futuro, fatica a proporre ai cittadini le dolorose ma necessarie misure per affrontare il nuovo.
Eppure la democrazia si salva solo se è capace di mobilitare i cittadini verso questo obiettivo. Nessuno sembra invece avere il coraggio di farlo: nemmeno il Partito Democratico che, per il suo passato e per il ruolo chiamato a svolgere nella presente fase politica, ha la maggiore responsabilità nel guidare i cambiamenti indotti dalla pandemia e dalla nuova politica europea.
In democrazia le grandi svolte si compiono solo sottoponendo le proposte di cambiamento al giudizio degli elettori.
Sono perfettamente consapevole che queste considerazioni, troppo semplici e quasi utopistiche, possano essere accusate di ingenuità e siano quindi messe in un angolo come proposte ingombranti e comunque irrealistiche.
Tuttavia, come solo la speranza del vaccino è in grado di cancellare per ciascuno di noi la paura del morbo, così solo un progetto chiaro e comprensivo sulle grandi necessarie riforme può cancellare la paura nei confronti del nostro futuro collettivo.
Sono evidentemente cosciente che questo passaggio mette a rischio gli esistenti equilibri tra i partiti e gli ancora più delicati equilibri all’interno dei singoli partiti, ma solo l’attuale crisi ci può offrire lo stimolo per produrre le innovazioni necessarie per la nostra scuola, la nostra sanità, la nostra distribuzione del reddito, il nostro sistema fiscale e le nostre strutture produttive.
Nei sistemi democratici questo è il compito storico dei partiti politici.
Un compito che essi possono svolgere solo se saranno capaci di aprire a tutto il paese un confronto che ora si svolge unicamente tra un numero ristretto di persone che cercano di mantenere gli equilibri esistenti in un mondo che non esiste più.