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Vittorio Feltri, un grande giornalista, forse perche' musicista, forse perche' ama gli animali...


Vittorio Feltri: «Se non vedo mia moglie Enoe in casa per un quarto d’ora urlo. I figli? Ho trovato lavoro a tutti»

di Candida Morvillo (Coriere della Sera)

Orfano di padre, ha smesso di andare a scuola alle Medie. Si è laureato lavorando, a 23 anni è rimasto vedovo con due bimbe neonate. E ora il tumore. Intervista a due voci (la seconda è della riservatissima moglie Enoe). Benvenuti in casa Feltri



Vittorio Feltri è nato a Bergamo il 25 giugno 1943, è direttore editoriale del quotidiano Libero. Qui è nel soggiorno della sua casa milanese

Vittorio Feltri mi accompagna nella visita guidata della sua casa con il cinismo che ci si aspetterebbe da lui, celebre per il sarcasmo e per i titoli strillati dei giornali che ha diretto. «Questa è mia la camera. Il segreto di un matrimonio riuscito sono le stanze separate». Guarda su, verso la scala. «Io ho separato anche i piani. Mia moglie Enoe dorme su». Quello che non ti aspetti è trovare appollaiati sulla testata del letto un gatto di peluche bianco e un porcellino di peluche rosa. Allineati sul camino: un gatto rosso, un pony bianco, un orso grigio, un gatto tigrato, un gufo, un leone e altre due bestiole non identificate. Chiedo: che ci fanno nella sua camera? Feltri fa spallucce, farfuglia che gli piacciono, che gli amici lo sanno e glieli regalano. Dirotta l’attenzione verso un plaid poggiato sul letto: «Qui dorme Ciccio, il mio gatto. La sera, mi segue. Si addormenta con me, si sveglia con me».

La cabina armadio è da rivista per gentleman ed è il suo orgoglio: «Compro tutto da solo, ho scarpe e abiti che hanno 30 o 40 anni, non ho mai cambiato taglia». Un avo di Ciccio compare nel ritratto di Feltri che campeggia in salotto, opera di Ulisse Sartini, artista del Papa. Sopra un divano, invece, c’è una scena di caccia inglese. I cavalli sono la passione di una vita: «Correvo al trotto, ho vinto delle gare e non ho mai usato il frustino. I cavalli, se li inciti con la voce, capiscono». Scuote la testa, intristito. «La gente non lo sa... Li frusta, li spaventa». Sospira. «Ne mantengo ancora due, vecchi. Sono diventati figli, non voglio sacrificarli». Casa Feltri rivela tenerezze e sentimentalismi inattesi: foto con Indro Montanelli al quale Feltri successe alla direzione del Giornale; foto di un’intervista giovanile a Giuseppe Prezzolini; foto di figli (quattro), nipoti (cinque), bisnipoti (due); Vittorio giovane che gioca a pallone, coi capelli al vento; una cartolina scritta nel 1943 dal papà per annunciare la sua nascita.

«È morto che avevo sei anni. Scriveva bene, vero? Era un impiegato, ma mi riconosco nel passo, nello stile». La moglie dirà: «Ultimamente, si commuove più facilmente». Lui: «Vero. Sì. Invecchiando». Si siede al piano, ricorda quando suonava nei pianobar («il pianista non era considerato come i cantanti, ma mi davano 50mila lire a sera, quando un bancario ne guadagnava centomila al mese»). Poi, suona Malafemmena: «Strimpello solo canzoni napoletane, la musica moderna non mi emoziona più».

Il tumore che ha scoperto di avere l’ha resa più sentimentale?
«Non è tutta ‘sta tragedia. Male che vada, crepo. Faccio ogni due anni una Tac e a me, che non ho niente di femminile, hanno trovato un cancro a una tetta. Mi è sembrata una presa in giro. Me l’hanno tolto, mi sono svegliato dall’anestesia, le due chirurghe mi hanno offerto champagne, mi sentivo bene e sono andato a lavorare senza tante storie».

L’ha rivelato per solidarietà a Fedez, malato anche lui, e l’ha fatto con spavalderia. Ha scritto su Libero : «Del mio tumore me ne sbatto». Poi, al Corriere , annunciando che lasciava il posto di consigliere comunale ottenuto con Fratelli d’Italia, sembrava più preoccupato. Ha detto: «Il cancro non è un foruncolo». Si aspettava che la lotta fosse meno dura?
«I primi quindici giorni sono stati difficili. Ho avuto qualche fastidio. Ora, devo fare la radioterapia, prendo pastiglie, ho sempre visite. Ma non sono un paziente, sono di più: pazientissimo. Faccio quello che devo, poi, vediamo».





Non è che ha usato la scusa del tumore per dimettersi perché in Consiglio si annoiava?
«Ho già la direzione editoriale di Libero, scrivo tutti i giorni e ora ho questo fastidio da curare, non ho tempo per un posto dove, peraltro, non ho trovato un ambiente accogliente: lì è tutta burocrazia, non c’è possibilità di confronti dialettici, è una noia terribile».

A Fedez, ha consigliato «affidati a tua moglie». È quello che ha fatto lei?
«Sì, perché, se non hai l’appoggio dalla moglie, ti senti solo, abbandonato, triste, non hai forza per reagire. Invece, il tumore va preso a pugni, aggredito. Io mi sono confidato, l’ho resa partecipe e lei ha reagito come una moglie e anche come una mamma. Mi è stata di grande aiuto. Il 15 giugno festeggiamo 55 anni di matrimonio». (Interviene Enoe, donna riservata, mai un’intervista, ma ora eccezionalmente presente, per lo più silenziosa. Dice: «Si affida troppo poco, non si confida, non vuole essere aiutato. Poi, qualche volta, lo fa e devo stare attenta a ciò che dico: può graffiare, come i gatti»).

Come dura così a lungo un matrimonio?
«Dura quando si riesce a trasformare il trasporto dell’inizio in una sorta di mutuo soccorso, aiutandosi a vicenda, e ad avere un affetto che vada al di là del sesso».



Lei non ha mai nascosto d’aver tradito.
«Non ho tradito, ho diversificato». (Enoe, in salopette da giardinaggio, non dismette il sorriso serafico).

Qual è la differenza?
«Che non ho mai odiato mia moglie e con le altre non ho mai parlato male di lei né ho pensato di lasciarla. E che, credo di averla sempre fatta stare bene, di averle dato autonomia finanziaria. Poi, se avesse diversificato anche lei, non vorrei saperlo, ma capirei».

Confessando la malattia, ha scritto che in sala operatoria, pensava a quanto era «bona» la chirurga. La dottoressa non si è offesa?
«Doveva offendersi se le davo della poco di buono. Siamo amici e sono felice di essere stato operato da due donne, mi fido di più delle donne in tutto».

Da qui a dirsi femminista quanto ce ne corre?
«Costituiscono una categoria che non mi piace, mi sembrano eccessivamente conformiste. Ciò non toglie che trovi le donne mediamente più brave di noi in ogni campo. Hanno avuto accesso al lavoro e all’università tardi e ora ci tengono a dimostrare a sé stesse e agli altri che si impegnano».


Feltri nella sua cabina armadio di cui va fiero come un gentlemen inglese

Con la parità come è messo? In casa, quanto ha aiutato?
Enoe: «Apparecchia, sparecchia. Adesso, molto di più. Prepara i sughi per la pasta. Ha un suo tocco speciale. Sa fare bene quelli napoletani. Aiutava anche quando i bambini sono un po’ cresciuti e sono tornata a lavorare».
Lui: «È stata vent’anni a Mediaset con un ruolo di responsabilità e nessuno ha mai saputo che era mia moglie».
Enoe: «Poi, un giorno, è passato Silvio Berlusconi, ha chiesto dov’era la moglie di Feltri e tutti mi hanno scoperta».

Feltri, l’anno prossimo, compie 80 anni. Che effetto fa?
«Brutto. Sono tanti. Però meglio invecchiare che morire giovani».

Di che cosa ha più paura ora: dell’età, della morte, della malattia?
«La morte non mi rallegra e soprattutto mi spaventa la modalità con cui arriva: la malattia, la sofferenza il letto, il confessore che viene a rompere. Però, più di tutto, mi fa paura la salute di mia moglie: se in casa non la vedo per un quarto d’ora, mi preoccupo».
Enoe: «Vero: non mi vede e urla come un matto».
Lui: «Temo che si sia sentita male. Fino al 2019, stava a Bergamo e io la raggiungevo il fine settimana, poi, da casa, erano usciti i figli, ci stavamo facendo anziani, ho voluto che venisse a Milano, ho comprato una casa col giardino anche qui».

I figli sono quattro: due vostri e due gemelle nate dal primo matrimonio, con sua moglie morta di parto.
«Avevo 23 anni e non sapevo dove sbattere la testa. Ho cercato di individuare una nuova moglie. Lavoravo al brefotrofio di Bergamo, portavo le gemelle con me, Enoe faceva la maestra lì. L’ho studiata, mi sembrava adatta, ci ho messo sei o sette mesi a convincerla a sposarmi. Ho fatto la scelta giusta».

Lei quanto si è occupato dei figli?
«Ho trovato lavoro a tutti e a tutti ho regalato un appartamento».

Intendevo da piccoli.
«Non ho mai dato uno schiaffo, mai fatto una predica, ho cercato di dare il buon esempio. Con loro è cresciuto anche il figlio della sorella di mia moglie, ragazza madre. Gli ho voluto bene come un figlio mio».

Il terzogenito Mattia, direttore dell’ HuffPost , si rifiutò di ospitare un intervento di Laura Boldrini critico nei suoi confronti. Ha apprezzato?
«L’intenzione sì, ma ho pensato che avesse sbagliato. Gli ho detto: dovevi pubblicare e chiedermi la replica. Faccio il giornalista: ero in grado di rispondere».

Sua nuora Annalena Benini, anche lei giornalista, attaccò un pezzo di Libero e lei, rispondendole a mezzo stampa, non fu tenero. Avete fatto pace?
«L’ho mandata a quel paese e, da allora, non l’ho più vista».
(Enoe: «Non dire così: ogni tanto, viene. Non di frequente, anche perché tu non hai un bellissimo carattere»).

Da dove le arriva questo carattere «non bellissimo»?
«Ho avuto una vita che mi ha messo il lubrificante addosso. Orfano di padre, ho smesso di andare a scuola dopo le medie. Ho fatto il vetrinista, l’impiegato, il pianobar, ho preso il diploma e la laurea studiando da solo e lavorando. Sono rimasto vedovo, come dicevo. Quando hai tante sfighe, ti abitui a reagire con forza e con violenza».

Si è sempre professato ateo, la malattia l’ha riconciliata con la fede?
«No, non sono anticlericale, ho amici preti, devolvo l’8 per mille alla Chiesa Cattolica, ma non credo nell’esistenza di Dio. Però, quando guardo Ciccio, il gatto, a volte, penso: solo Dio poteva farlo così bello».

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