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L’inflazione e gli aumenti dei prezzi difficili da spiegare​



Prezzi al consumo / L’inflazione e gli aumenti difficili da spiegare​

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero 

Le banche centrali continuano ad alzare i tassi di interesse. L’obiettivo è sempre quello di frenare un processo inflazionistico ormai diffuso a livello planetario. La Riserva Federale Americana ha già portato il tasso di riferimento al 4.75%, mentre la Banca Centrale Europea, con l’ultimo aumento dello 0.50%, è arrivata al 3%. Ulteriori aumenti sono inoltre previsti per i prossimi mesi.

Nonostante queste misure, il rallentamento del processo inflazionistico procede con un ritmo molto minore del previsto. Nel caso americano si parla soprattutto di un’inflazione da domanda mentre, riguardo all’Europa, la responsabilità dei rincari viene attribuita all’aumento dei costi dell’energia, delle materie prime e dei trasporti.

Due tipologie di inflazione alle quali si è reagito con l’identica politica dell’aumento dei tassi di interesse, da sempre lo strumento universalmente utilizzato per rallentare l’inflazione.


Uno strumento solitamente efficace, ma che, nello stesso tempo, frena anche lo sviluppo dell’economia. Allo stato dei fatti, anche se non si è verificato il crollo della produzione come alcuni temevano, il freno si sta dimostrando più efficace nel colpire lo sviluppo che non nel domare l’inflazione.

Nel caso europeo, in particolare, l’inflazione rimane pesante anche dopo il significativo calo dei prezzi dell’energia, dei trasporti e delle materie prime rispetto alle punte raggiunte nel corso del 2022.

Secondo gli ultimi dati disponibili, riguardanti il mese di febbraio di quest’anno, l’aumento dei prezzi nei paesi della zona Euro è infatti superiore ad ogni aspettativa, collocandosi intorno all’8,5% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Non è quindi sorprendente la preoccupazione per una possibile spirale di aumenti salariali tale da generare, per lungo tempo, un elevato livello di inflazione.

Questa preoccupazione viene aggravata da una caratteristica che distingue l’attuale processo inflazionistico da quelli precedenti: un aumento dei prezzi dei beni alimentari molto superiore a quello degli altri beni e servizi.

I dati in materia sono significativi e sorprendenti.


In Germania, mentre l’indice generale dell’aumento dei prezzi è poco superiore al 9%, i prezzi dei beni alimentari sono cresciuti più del doppio. In Francia gli alimentari hanno visto le quotazioni raddoppiate e in Spagna quasi triplicate rispetto alla media dell’inflazione.

Minore, ma ugualmente significativa, è la differenza degli aumenti in Italia, dove la crescita dei prezzi dei beni alimentari supera di oltre due punti la media dell’inflazione, ma con un differenziale molto più elevato per quanto riguarda i beni alimentari di prima necessità che, ovviamente, pesano per una percentuale maggiore nel paniere delle famiglie più povere.

Nessuno dei paesi elencati è fino ad ora stato capace di preparare le misure di politica economica in grado di far fronte a questa anomalia. In Francia, dove il problema ha raggiunto il livello di tensione politica più elevato, si assiste ad uno scarico di responsabilità fra i grandi produttori e i grandi distributori, mentre il governo si limita, anche se fino ad ora con scarsi risultati, a invitare le catene distributive a fare uno sforzo per mettere in vendita un paniere di beni essenziali a prezzo calmierato.


Questa misura, pur essendo solo un invito ad una diminuzione volontaria dei prezzi, trova contraria non solo la grande distribuzione, ma anche tutto il mondo agricolo che teme di non potere recuperare pienamente i costi passati e i presumibili aumenti futuri.

Come si vede si tratta di un processo inflazionistico difficile da controllare, dato che risulta del tutto improponibile, anche per l’attuale apertura dei mercati, una qualsiasi politica di controllo forzato dei prezzi.

Il problema del deterioramento del tenore di vita delle classi più deboli diventerà ancora più caldo nel prossimo futuro proprio perché, mentre si è verificato un immediato aumento dei prezzi al consumo come risposta all’aumento dei costi, non si ha ancora un segnale di un andamento in senso opposto nei casi di ritorno alla normalizzazione dei mercati internazionali.


Per dare un esempio concreto, anche se evidentemente parziale, dobbiamo constatare che, negli ultimi sei mesi, il prezzo all’ingrosso del grano è diminuito da 430 a 280 Euro alla tonnellata ( il che significa 28 centesimi al chilo) ma, almeno in Italia, il prezzo del pane non dimostra alcun segno di discesa rispetto ai precedenti aumenti, che pure sono stati molto superiori rispetto a quanto sarebbe dovuto accadere in conseguenza dell’aumento dei costi.

Con questo semplice esempio ci rendiamo conto di quanto sia difficile governare un’economia di mercato che risponde solo agli aumenti dei costi e non alla loro diminuzione, ma credo che sia almeno utile aprire un approfondimento e un confronto con le categorie interessate e rendere i consumatori consapevoli di quanto sta avvenendo.

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