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Meloni porta l’Italia ad isolarsi. A Schlein serve un programma


Prodi: «Meloni porta all’isolamento, una tragedia per l’Italia»


Intervista di Marco Damilano ed Emiliano Fittipaldi a Romano Prodi su 29 del 29 giugno 2024

L’ex premier e presidente della Commissione commenta preoccupato l’esito del recente Consiglio europeo: «Il voto delle europee e delle città non è la rivoluzione, ma segna un cambiamento psicologico importante». Un suggerimento per Schlein? «È il momento di scrivere un programma di governo partendo dal paese»

“Occorre far vivere la politica sia in Italia che in Europa. Se non c’è una svolta politica si continua a vivacchiare. La politica estera e la difesa, le cooperazioni rafforzate, la fine dell’unanimità. Non ne ha parlato nessuno in queste giornate. In Italia dobbiamo fare la stessa cosa. Ricostruire dal basso la politica. Il voto delle elezioni europee e delle città aiuta perché la gente ora ci sta, è rincuorata dal risultato elettorale, ha desiderio di essere interrogata, mobilitata. Questo voto non è la rivoluzione, ma segna un cambiamento psicologico importante. È il momento di scrivere un programma di governo partendo dal Paese”.

All’indomani del vertice europeo sulle nomine dell’Unione, con il governo di Giorgia Meloni che si mette fuori dall’accordo, insieme soltanto all’Ungheria di Viktor Orban, Romano Prodi parla a tutto campo di Europa e di elezioni americane, ma anche di autonomia differenziata e di premierato. Con un’alternativa di governo ancora tutta da costruire.

Partiamo da un giudizio di merito. Von der Leyen, Costa, Kallas. Al di là dei nomi, il pacchetto dei top jobs uscito dal vertice di Bruxelles rappresenta la guida forte che serve all’Europa?

“Sulla carta sta uscendo un’Europa più debole. Non mi riferisco alle nomine, ma ai punti interrogativi che nascono rispetto alla leadership franco tedesca che ha sempre guidato l’Europa e allo sbandamento italiano che di fronte alle nuove incertezze sta dimostrando di non sapere dove andare. Una politica di inserimento preventivo poteva far giocare al nostro Paese un ruolo forte come in passato, ma questa politica non c’è stata perché Meloni non aveva deciso da che parte stare: se essere Presidente del Consiglio italiano o leader dell’estrema destra“.

La premier Meloni ha votato contro due nomine su tre, astenendosi sulla presidente della Commissione, denunciando una conventio ad excludendum nei confronti dell’Italia

“C’è stata una excludendum senza conventio. Una auto-excludendum. Quando la tradizionale maggioranza si scolla, o ti inserisci per creare un nuovo equilibrio oppure, se ti escludi da sola, devi rassegnarti che qualche collante si ristabilisca”.

In realtà Meloni ha provato per più di un anno a costruire l’asse anche personale con Ursula von der Leyen.

“Si, ma l’asse si è spezzato a Madrid, quando Meloni ha partecipato al raduno di Vox. Mi ha sorpreso, ma evidentemente la premier contava su una vittoria massiccia della destra estrema. Questo non è avvenuto. La verità è che nel Parlamento europeo l’aumento del numero dei parlamentari delle destre è stato minimo, inferiore a ogni previsione. Esaminando il voto si vede che addirittura i paesi di più recente adesione hanno votato per stare in Europa. Sono stati i vecchi membri, i paesi fondatori, Francia, Germania e Italia, che hanno manifestato debolezza. Pur con tutti i loro problemi, i nuovi hanno ancora fresco il valore dell’Europa. La stanchezza è nei paesi fondatori che hanno perso la memoria storica che faceva dire a Helmut Kohl: “io voglio l’euro perché mio fratello è morto in guerra“. In Polonia Donald Tusk ha vinto con l’europeismo che sembrava un punto debole. Per me è una soddisfazione anche personale. La tragedia dell’Ucraina ha dimostrato quanto fosse importante l’allargamento a Est dell’Unione che ho fortemente voluto da presidente della Commissione, bombardato dalle critiche. Ora anche il voto europeo conferma che quella intuizione era giusta”.

Cosa rischia ora l’Italia con questo isolamento?

“Di essere isolata: una tragedia per chiunque faccia politica”.

Per mesi si è detto che Meloni puntava a essere la nuova Angela Merkel. Cosa resta di questo progetto?

“Abbiamo visto, anche nell’inchiesta di Fanpage, che Fratelli d’Italia vive nella memoria storica del partito e non può perciò perdere l’ala furiosa. Si presumeva che i Fratelli diventassero democristiani, ma le ultime elezioni hanno dimostrato che il partito popolare ha eretto, almeno per ora, una barriera al suo lato destro”.

Siamo alla vigilia del primo turno delle elezioni legislative francesi. L’azzardo del presidente Emmanuel Macron sta riuscendo?

“Vedremo se vince o se perde. Ma in ogni caso è stato un “errore di sbaglio”. È stato il gesto di chi dice: “dopo di me il diluvio”. Con l’Assemblea precedente c’erano maggiori possibilità di riaggiustare, di riarmonizzare il tandem franco-tedesco. Se poi vincerà Marine Le Pen, ça va sans dire…”.

C’è chi dice che Macron voglia veder fallire il Rassemblement nella prova del governo, per poi vincere le presidenziali del 2027.

“Alcuni politologi francesi la pensano così, ma non considerano che quando poi si arriva al potere, molti sono i meccanismi utilizzabili per vincere anche le elezioni presidenziali, con le robuste leve che consente il sistema istituzionale francese. È pur vero che da qui al 2027 le cose possono cambiare anche tra chi intende costruire un’alternativa alle destre, così in Francia come in Italia”.

Sull’Italia pesa una procedura europea di infrazione per il debito pubblico. Fanno 32 miliardi di risorse aggiuntive da trovare nella prossima legge di bilancio. Nessuno ne parla in questi giorni. Che cosa rischiamo?

“Il rischio è altissimo. Se leggiamo le proposte di politica economica il disastro diventa una certezza: si va dritti verso l’infrazione. L’attuale ministro dell’Economia poi si adatta alle circostanze: Giorgetti è leghista a Roma e legittimista a Bruxelles, ma ha la fortuna di abitare a metà strada, davanti al bellissimo lago di Varese. E se il problema è che il governo rischia una brutta figura, mi viene in mente che quando ero giovanissimo ministro dell’Industria avevo un sottosegretario democristiano di provincia che mi diceva: “se c’è da fare una brutta figura mandi me, a me basta che nella mia città vedano sui giornali che sto facendo qualcosa di importante””.

Che ruolo sta giocando il presidente della Repubblica sulla partita europea?

“Sta difendendo la Patria, con grande saggezza”.

Com’è lo stato di salute del governo Meloni?

“È sempre stato cattivo, ma finora l’antibiotico Meloni ha sempre funzionato. È una coalizione con un comando accentrato, qualsiasi rottura porterebbe i due alleati al disastro, quindi la maggioranza è forte e al contempo debole, com’era all’inizio”.

Però alle elezioni europee il partito di Meloni è arrivato quasi al trenta per cento.

“Gli italiani hanno semplificato i due schieramenti. Le coalizioni di oggi sostituiscono la sfida tra i partiti che c’era all’inizio della storia repubblicana, tra democristiani e comunisti, come in Germania quello tra democristiani e socialisti”.

Il bipolarismo Meloni-Schlein è paragonabile a quello Berlusconi-Prodi?

“Oggi il ruolo delle due contendenti in maggioranza e all’opposizione è semplificato. Meloni e Schlein hanno vinto bene e non hanno distrutto le alleanze. Questo è un vantaggio, ma si deve fare attenzione. Bisogna vedere se la semplificazione induce qualcuno alla disperazione. Quando si vede il proprio partito diminuire, si possono trovare ovunque ragioni per la rottura: nell’Antico e nel Nuovo Testamento, in Machiavelli, ovunque. Non penso solo al campo largo. La terminologia del campo largo è stato utilizzata solo per la coalizione di centro sinistra, ma sono tutti e due campi larghi, o stretti. I due campi sono comunque simmetrici, e le mie osservazioni riguardano entrambe le coalizioni, di maggioranza e di opposizione”.

Le opposizioni si sono riunite per la prima volta in piazza Santi Apostoli, dove si festeggiarono le vittorie dell’Ulivo e dell’Unione…

“Sono luoghi che mi ricordano l’ansia di quelle notti davanti ai risultati che arrivavano. Poi però si scendeva giù perché si era vinto. Mi auguro che in futuro avvenga altrettanto”.

La prima battaglia è quella sull’autonomia differenziata. Meloni dice: è stato il centrosinistra ad aver aperto la strada con il cambio del titolo V della Costituzione.

È una riforma su cui ho sempre avuto riserve, non ha aiutato il bilanciamento territoriale. Ma certo non ha instaurato l’anarchia che questa legge provocherebbe. Abbiamo già uno Stato con poteri regionali sbilanciati, servirebbe ridiscuterli con proposte serie. Invece rischiamo di avere regioni che si mettono singolarmente d’accordo con il governo e fanno la diversità regionale a seconda delle convenienze di partito e della ricchezza della regione. Come dimostra la reazione del Mezzogiorno, che va ben oltre i singoli partiti. Così come il favore del Settentrione”.

Il referendum abrogativo è una sfida con possibilità di vittoria, con il quorum del 50 per cento dei votanti da superare?

“È una sfida rischiosa, ma ci sono sfide che devono essere fatte perché giuste. Sul quorum mancato ho una certa esperienza, quando per pochi voti non scattò il referendum sulla legge elettorale che avrebbe cambiato molte cose. Portare a votare una maggioranza oggi è ancora più difficile e Meloni punterà su questo. Ma è un gioco democratico puntare sull’astensionismo? Non lo è. E dovrebbe essere attenta al suo elettorato meridionale, potrebbe essere una vittoria di Pirro”.

Il premierato: la destra afferma che era il primo punto del programma dell’Ulivo nel 1995.

“È una gran balla. Nel nostro programma c’era il rafforzamento della presidenza del Consiglio, indispensabile, con il potere di revoca dei ministri per fare una squadra efficiente. Ma non venivano assolutamente toccati il Parlamento e i poteri del Presidente della Repubblica. Ho sempre voluto una legge elettorale maggioritaria a doppio turno, la volevo allora, la vorrei oggi. Bisogna fare una legge elettorale alla francese, ma con il bilanciamento dei poteri all’italiana”.

Fratelli d’Italia vorrebbe eliminare il doppio turno anche dalla legge elettorale dei Comuni.

“Se c’è una cosa in cui il Paese è cambiato in meglio è il governo delle città. Prima dell’elezione dei sindaci avevamo una crisi nei comuni ogni sei mesi. Ma come? Prima ci lamentiamo dell’astensionismo e poi vogliamo comprimere il voto? Così trasformiamo l’Italia in una democrazia della minoranza”.

Dopo il voto europeo e i ballottaggi vittoriosi il Pd di Elly Schlein appare più forte. Vuol dire che l’alternativa alle destre è più vicina?

“Il voto delle elezioni europee e delle città aiuta perché la gente è rincuorata dal risultato elettorale. Il voto non è la rivoluzione, ma è un cambiamento psicologico importante. È il momento di scrivere un serio programma di governo, discusso nel Paese. Ricostruire la base. L’area democratica si fa moltiplicando la base per l’altezza, non solo con l’altezza, con i rapporti di vertice. Serve un pullman dell’Ulivo moderno, contemporaneo”.

Andiamo con i suggerimenti. Per la segretaria del Pd Schlein?

“Costruire il programma. Prendere le parole di cui discutono gli italiani nelle loro case, il lavoro, la sanità, la casa, la scuola… metterle a discussione con esperti, operatori, cittadini che discutono. Alla fine del dibattito su ogni singolo tema, la Segretaria ne discute in presenza nelle diverse città italiane. Giusto parlare di salario minimo e di sanità, bisogna farlo con migliaia e migliaia di persone. C’è bisogno di rianimare il dibattito politico. Così si vincono le elezioni”.

Per Giuseppe Conte? Nel 2022 il Pd sembrava destinato a morire, superato dal Movimento 5 Stelle.

“Ho detto a Conte, anche direttamente, che il Movimento 5 Stelle è nato da un’emozione, c’era allora il senso di una piramide che opprimeva e che andava rovesciata. Oggi c’è la guerra, la paura delle nuove generazioni, la gente non vuole più l’emozione, vuole essere rassicurata. L’Italia è il paese con le minori proteste di piazza. Il vaffa è finito, è durato anche troppo. I 5 Stelle hanno ancora un patrimonio, o fanno il loro programma oppure, adagio adagio, spariscono”.

Per Renzi e Calenda: possono ancora rappresentare qualcosa?

“Renzi si sente rappresentato solo da se stesso, il problema quindi non si pone. Calenda ha esercitato un ruolo interessante quando è stato ministro dello Sviluppo economico, questo è il posizionamento adatto lui, deve ritornare a fare quel Calenda, portare quella sensibilità e quella consapevolezza nel centrosinistra che ne ha bisogno. In una famiglia ci sono i fratelli maggiori e i fratelli minori. Io sono l’ottavo di nove fratelli, ho imparato a comportarmi da fratello minore. Poi sono cresciuto, ma ho capito la bellezza del gioco di famiglia, di squadra. Il realismo di un uomo intelligente come Calenda deve spingerlo a capire che quella è la strada in cui può trovare uno spazio ampio”.

La segretaria del Pd ha le carte in regola per candidarsi quando sarà il momento alla guida di una coalizione di governo?

“Schlein può vincere le elezioni, ma solo se rappresenta tutte le sensibilità. Non si vince senza interagire con tutti i pezzi del Paese. Così come è importante tener conto della presenza di una grande area cattolica riformista. Un paese complesso come l’Italia esige una flessibilità del comando. Il pluralismo è fatto di convivenza mediata, ragionata, discussa. La composizione della diversità è la caratteristica di una democrazia matura”.

Un punto dove finora è stata impossibile trovare una sintesi è il sì o il no al sostegno militare all’Ucraina.

“Non è una questione che riguarda solo la sinistra. La questione si sta aprendo ancor più a destra. Dopo l’aggressione russa, pesa la fatica della guerra. Sta cominciando la stanchezza. Le divisioni dell’Europa hanno impedito che l’unico protagonista che poteva fare la pace si mettesse al tavolo. Ci hanno provato la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar, il Vaticano, nessuno ha ottenuto nulla. Si fa una conferenza di pace con la presenza di una sola parte. In queste circostanze, se fosse stata unita, l’unica che poteva ottenere qualcosa era l’Europa. Fino alle elezioni americane non si muoverà nulla. Il presidente Biden ha ora la priorità della pace in Israele. Blinken e Sullivan fanno la spola tra Washington e Tel Aviv, vanno a Kiev quando si sbagliano. Senza le costituency dei giovani universitari e della comunità ebraica, infatti, i democratici perderanno i sei stati in bilico”.

Se vince Trump sull’Ucraina cambia qualcosa?



“Sì, perché ha le mani libere. Biden non ha potuto farlo. Trump può fare qualsiasi cosa, è del tutto imprevedibile, ma comincia un capitolo da zero che avvantaggia sia lui che Putin, con l’Europa in mezzo che continuerà a non contare nulla. Ma arriverà il giorno in cui la Francia sarà costretta a fare il grande passo per costruire finalmente l’esercito europeo, portando a livello dell’Unione il suo diritto di veto al Consiglio di Sicurezza e l’arma nucleare!”.

Dopo il faccia a faccia televisivo con Trump, Biden dovrebbe ritirarsi?

“La sua debolezza è apparsa evidente. E quattro anni sono obiettivamente lunghi. La decisione è solo sua”.

Cosa pensa della notizia che Tony Blair sarà il primo autore pubblicato dalla nuova casa editrice intitolata a Silvio Berlusconi?

“Mi ha incuriosito che Marina Berlusconi abbia dato l’annuncio lo stesso giorno in cui Renzi è entrato nel board dell’istituto di Blair. Una bella cooperativa!”.

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