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Si rinforza la cortina di ferro tra Cina e Occidente


La cortina di ferro tra Cina e Occidente


Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 27 luglio 2024

Sono molte le tensioni e le divisioni esistenti all’interno degli Stati Uniti, ma tutta la politica americana trova un unico punto di convergenza: l’ostilità nei confronti della Cina.

Lo stesso atteggiamento di estraneità e ostentata diversità di prospettive, naturalmente in direzione opposta, emerge inequivocabilmente nelle conclusioni del recente terzo plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, anche se esse non sono esplicitamente riferite agli Stati Uniti, ma al cammino che la Cina dovrà percorrere nel futuro.

Sul plenum si erano concentrate notevoli aspettative. E’ infatti tradizione cinese che questo avvenimento, con scadenza annuale, assuma una particolare importanza nel secondo anno successivo al congresso nazionale del Partito (il più recente si è svolto nel 2022). In questo caso l’attesa era ancora maggiore in quanto la data canonica in cui avrebbe dovuto svolgersi il plenum cadeva nel novembre dello scorso anno e mai sono state rese pubbliche le ragioni di questo lungo rinvio.

Il lunghissimo comunicato non presenta novità sostanziali riguardo alle concrete decisioni di politica economica che pensavamo essere all’ordine del giorno, ma rende ancora più evidente la distanza e che si sta producendo nel mondo, facendo soprattutto emergere un’ancora più forte divaricazione fra Cina e Stati Uniti.

Date le difficoltà nella crescita cinese (che pure naviga ancora ufficialmente fra il 4% e il 5%) e le progressive chiusure del commercio internazionale, si attendevano decisioni volte ad accrescere i consumi interni, ma nessun sostanzioso passo in avanti è stato compiuto. Sono stati elencati tutti gli strumenti dedicati a rafforzare il livello di una “economia socialista di mercato” e i grandi obiettivi da raggiungere per rinvigorirla.

Si è discusso quindi del miglioramento del funzionamento del mercato, dei servizi pubblici, del welfare, delle infrastrutture, dell’economia digitale, della distribuzione del reddito, ma non si è affrontato il problema, diventato prioritario nella Cina degli ultimi tempi, del ruolo delle imprese private, negli ultimi tempi meno importanti, anche se la loro centralità era stata il punto fondamentale del discorso di insediamento del Presidente Xi Jinping del 2013.

Questo obiettivo, messo progressivamente in secondo piano, sembrava invece diventare di nuovo prioritario, anche in conseguenza delle diffuse preoccupazioni esistenti nel mondo degli affari e dell’aumento della disoccupazione giovanile, fenomeno assolutamente sconosciuto nell’economia cinese degli ultimi decenni.

Il vero punto centrale delle decisioni economiche ha riguardato invece l’obiettivo di concentrare ogni futura energia nel raggiungimento, ad ogni costo, del primato cinese nei campi della scienza e della tecnologia. Questo obiettivo è dominante in ogni pagina del rapporto, sia che riguardi le innovazioni del sistema scolastico, le riforme della pubblica amministrazione o qualsiasi decisione da intraprendere.

Scienza e tecnologia riempiono ogni pagina e indicano il sentiero di marcia in ogni campo, da quello agricolo a quello spaziale. Sul contendere il primato tecnologico e scientifico agli Stati Uniti (che pure non vengono mai menzionati) si gioca il futuro della Cina.

La parte più inattesa delle conclusioni del summit riguarda però alcune priorità politiche da adottare per raggiungere quest’obiettivo.
Non desta certamente sorpresa l’importanza attribuita al rafforzamento della leadership del Partito comunista, ritenuto il motore fondamentale della modernizzazione del paese. Una modernizzazione che deve naturalmente essere attuata “con caratteristiche cinesi”.

Mi ha invece molto colpito che l’elenco di queste caratteristiche venga esteso in campi che, pur facendo parte di una prassi politica consolidata, non sono in genere trattati in modo esplicito in un summit che solitamente si concentra su temi di interesse strettamente politico o economico.

Mi riferisco particolarmente alle affermazioni riguardo alla politica da adottare nei confronti delle confessioni religiose e del mondo culturale.

Nel sottolineare la necessità di rafforzare il senso di comunità e di coesione della nazione cinese, viene esplicitamente sottolineato l’obiettivo di “promuovere sistematicamente la ‘sinificazione’ della religione in Cina e il rafforzamento dello stato di diritto socialista nel governo degli affari religiosi”. Riguardo al rapporto con la cultura viene espresso l’obiettivo di “intensificare il meccanismo di leadership politica nei confronti degli intellettuali non appartenenti al Partito e dei nuovi strati sociali”. Accanto a queste così esplicite affermazioni di un crescente controllo sulla società, viene auspicata una “stretta e limpida relazione fra il governo e il mondo degli affari, in modo da promuovere un sano sviluppo della parte di economia che agisce al di fuori del sistema pubblico e delle persone che in esso operano.”

Non si tratta certo di posizioni nuove, ma ripetute in quest’occasione e in questa forma sottolineano come stiamo ormai pienamente vivendo in una fase storica in cui le divergenze fra Cina e Occidente crescono in ogni campo. Agli scontri militari, politici, economici e commerciali, si sommano, in modo quasi ovvio e naturale, crescenti tensioni nel campo scientifico e maggiori chiusure nel campo religioso e culturale.

E’ difficile che si possa porre fine a questa sfida globale in un prevedibile periodo di tempo. Ci si augura almeno che i massimi responsabili della politica delle due grandi potenze possano dialogare per evitare lo scontro diretto, come fecero John Kennedy e Nikita Krusciov negli anni più bui della guerra fredda fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

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