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Made in Italy? E chi se ne importa??

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Negli Stati Uniti, quest’ultimo anno, ho visto sempre più pubblicità di diversi prodotti e brand italiani all’insegna della campagna del “Made in Italy”. Ma da dove viene questo concetto di comunicazione? E perché sempre più marchi italiani la usano? Esiste qualche ricerca che mostra la sua efficacia nel vendere i prodotti italiani? O semplicemente nessuno alla Camera di Commercio italiana ha avuto idee migliori?
Forse il “Made in Italy” è nato per opera di quegli illuminati, lungimiranti fari del marketing italiano che hanno scelto il “nuovo”, e già distrutto, logo dell’Italia. Oppure di quei burocrati che hanno speso 60 milioni di euro su un sito per la promozione turistica del paese che non è mai stato lanciato.
Ho iniziato a chiedere di questa campagna del “Made in Italy” ad amici e conoscenti, qui a New York. Molti non l’avevano mai vista o notata, il che non dovrebbe sorprendere dato che la maggior parte dei brand italiani che fanno promozione negli Stati Uniti pensano di poter raggiungere l’intera popolazione americana spendendo non più di 500.000 dollari.
E ancora, ho avuto a che fare con brand italiani, qui negli Stati Uniti, fermamente convinti di non avere davvero bisogno di pubblicità perché tanto TUTTI li conoscono! “Dopotutto, il nostro è il brand più famoso in Italia”! E credo che questo egocentrismo aziendale italiano possa stare alla base della campagna del “Made in Italy”. Voglio dire, uno deve avere proprio una grande opinione di sé per pensare che tutto il mondo comprerà i suoi prodotti solo perché sono fatti nel suo Paese.
Questa modo di ragionare può anche funzionare, talvolta, DENTRO il proprio Paese, dove la gente è orgogliosa di quello che produce e cerca di salvare i posti di lavoro all’interno dei propri confini. In questo senso gli americani sono notoriamente sciovinisti. Fino a quando non confrontano i prezzi, ovviamente. In quel momento scegliamo tutti di comprare “Made in China”.
Poiché ho capito che in Italia è molto più importante “chi conosci” di “cosa conosci”, ho smesso di cercare di capire da dove viene questa campagna. Ho invece cercato di prevedere dove sta andando.

È evidente che c’è qualcuno che ha interesse a convincere i marketer italiani che la campagna “Made in Italy” ha un senso e un’efficacia. Non si spiega altrimenti il fatto che sempre più brand e prodotti ne fanno uso. Certo è che alcune istituzioni, come la Trade Commission, non lasciano scelta ai marketer italiani: prendere o lasciare. O così, o Pomì.
L’ultimo brand a utilizzare in modo massiccio lo slogan del “Made in Italy” negli Stati Uniti è stato Alitalia. Se c’è mai stato un marchio italiano che doveva essere aiutato, era proprio quello della compagnia di bandiera del Paese. Per me “Made in Italy” significa essenzialmente “prodotto o fabbricato” in Italia. E allora com’è che Alitalia è “fatta in Italia”? E se una campagna come quella del “Made in Italy” voleva acquistare peso e credibilità, perché lasciare usare lo slogan ad uno dei brand più in difficoltà di tutto il Paese?
Questo per me non ha nessun senso. E non sono l’unico a pensarla così.
Per provare a me stesso che questa convinzione non fosse il frutto della mia immaginazione, ho deciso di fare una piccola – e apertamente non scientifica – indagine. Usando le mail e uno strumento di indagine online (SurveyMonkey.com), ho rivolto alcune domande sulla campagna del “Made in Italy” a quasi 200 consumatori (uomini e donne) di Stati Uniti, Canada, Romania e persino Italia.
Alcuni dei risultati sono stati sorprendenti. Il 95% dei consumatori ha affermato di apprezzare i prodotti italiani. Non ci sono molti brand sull’intero pianeta che possono vantare un livello di “apprezzamento” così alto. Gli italiani devono esserne davvero orgogliosi. E anche la domanda successiva ha dato risultati molto positivi: “Quali sono i tuoi prodotti italiani preferiti (per categoria)?”. Il cibo italiano è stato scelto da uno sbalorditivo 88%. Il 52% ha scelto il vino italiano, e il 45% la moda. Nessuno ha scelto le macchine italiane.
La domanda successiva era: “Compreresti un prodotto soltanto perché è fatto in Italia?”. Ebbene, la risposta, che non ha sorpreso me ma forse ha sorpreso i marketer italiani, è stata NO per oltre il 66% dei partecipanti all’indagine. Contro il 34% di SI. Sono spiacente, ma questi numeri non sembrano descrivere un messaggio pubblicitario di successo. Forse se la campagna fosse usata solo per gli alimentari avrebbe un grande successo, ma non è così per qualsiasi prodotto, indiscriminatamente. Il “Made in Italy” di per sé NON dà ai consumatori una ragione valida per “comprare italiano”.
Un altro dato sorprendente è che molti italiani che hanno risposto al mio questionario hanno dichiarato il loro scetticismo sul “Made in Italy” quando si trattava di prodotti diversi da cibo o vino. La maggior parte ha affermato di non credere più che gli articoli di abbigliamento siano davvero prodotti nel loro paese. E credo ne sia prova la cifra notevole dei posti di lavoro persi e delle fabbriche fallite in Italia. Quando i tuoi amici e familiari perdono il posto perché la produzione viene spostata in altri Paesi, il grido del “Made in Italy” non appare più credibile.
Nell’ultima domanda ho chiesto ai partecipanti se avessero visto qualche pubblicità firmata “Made in Italy”. Quasi i 2/3 hanno risposto no (65%).
Insomma, mi sembra che siamo di fronte ad un’altra campagna pubblicitaria italiana che non ha avuto abbastanza muscoli mediatici per raggiungere il suo target. E neanche il messaggio giusto per convincerlo.
L’Italia ha così tanto da offrire al mondo ma deve trovare le persone giuste per farlo.

Paul Cappelli

presidente di AD Store

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