di Alberto Pasolini Zanelli
Una lieve e scherzosa, una planetaria, una
angosciata. Un piccolo corteo di turisti si avvia verso uno degli storici
monumenti di Washington, quello ad Abraham Lincoln; che come gli altri è chiuso
a causa dell’“autosciopero” del governo e delle istituzioni. L’approccio è
“sballato” dalla catenella alta poco più di venti centimetri da terra. I
visitatori la scavalcano facilmente sotto l’occhio indifferente-benevolo di una
poliziotta. Finita la breve visita, essi escono allo stesso modo e ringraziano
la signora agente per averli “facilitati”. Lei risponde: “Io sono qui per
impedirvi di entrare”. In un altro “paradiso” turistico, Bali, si riuniscono i
capi di Stato e di governo per il “vertice Asia-Pacifico”. Ne manca uno, il
presidente degli Stati Uniti, che è rimasto a casa per reggere – ovvero
condurre – la carica decisiva contro l’ostruzionismo dei repubblicani che ha
provocato la voluta paralisi di tutti i ministeri e le attività governative,
dagli stipendi agli stanziamenti militari. Da casa lo criticano. A difendere
Obama si erge il meno scontato dei suoi “colleghi”. “Al suo posto – dice
Vladimir Putin – farei come lui”. A New York, Wall Street ostenta, contro le
previsioni dei più, una benevola indifferenza. I corsi che dovrebbero crollare
rimangono stabili o stazionari. E intanto a Washington continua la prova di
forza fra la Casa Bianca e il Congresso, che dal dialogo è andata da settimane
degenerando progressivamente in reciproco boicottaggio. I repubblicani portano
avanti una strategia che ai sostenitori di Obama è facile definire “ricatto”: o
il presidente ritira una legge, quella che istituisce un sistema sanitario
analogo a quello di tutti gli altri Paesi sviluppati del pianeta, già approvata
dal Congresso e in cui centinaia di migliaia di cittadini Usa si sono già
“arruolati”, o la Camera, dominata dal partito di opposizione, rifiuterà il
permesso, di routine, ad alzare la soglia della spesa pubblica e dunque del
deficit. Non ci sarà più, non c’è già più, il permesso di spendere un solo
dollaro. Una situazione di ultimatum che potrebbe diventare definitiva a metà
della prossima settimana.
Una situazione che
può sembrare surreale ma che lo è meno del solito, purtroppo, alle orecchie e
agli occhi degli spettatori italiani. L’Atlantico è diventato davvero,
stavolta, “più stretto”. L’America ci assomiglia. Soprattutto psicologicamente:
è di moda una equazione che si riduce a slogan: quando una ditta non ha più
soldi chiude. La sua più comune forma di finanziamento, i debiti chiamati
deficit, sembra improvvisamente cosa dell’altro mondo, come se la Terra fosse
tornata ai tempi in cui si contavano i dobloni sonanti. Chi ha ragione? I
sereni ottimisti o gli apocalittici? I rumori a tratti si confondono. Il leader
della Camera, il repubblicano John Boehner, scopre che “è necessaria una
conversazione seria con Obama”. Altrimenti salterà tutto per aria. “Sono i
repubblicani che ci ricattano”, è la risposta dei democratici e di molti
economisti. Thomas Mann e Norman Ornstein l’hanno sintetizzata così in un libro
dal titolo: È ancora peggio di quel che
sembra: “Il Partito Repubblicano è diventato una forza estremista che non
ha rispetto per nulla e per nessuno”. Frase estrema che risponde a una formulazione
altrettanto radicale da parte di esponenti del Tea Party, che oggi nominano il
Gop: l’insolvenza del Tesoro “sarebbe un buon modo di obbligare i democratici a
ridurre la spesa pubblica”, cominciando naturalmente dalla riforma sanitaria.
Più che sapere chi
abbia ragione è interessante conoscere cosa ne pensa, fino a questo momento,
l’“americano della strada”, naturalmente attraverso i sondaggi: il 45 per cento
dei futuri elettori dà la colpa ai repubblicani, il 35 per cento a Obama. Cinquanta
su cento considerano “estremista” il Tea Party, ma il 46 per cento pensa la
stessa cosa dei democratici. Le opposte strategie sono entrambe in bilico. E si
qualificano entrambe come gioco d’azzardo. Non si sa ancora, dunque, chi
abbasserà per primo gli occhi. O rinfodererà la colt. Sembra improbabile, per
ora, che sia Obama. Che ha appena nominato a capo della Federal Reserve Janet
Yellen, considerata la più keynesiana e “liberale” fra i candidati presi in
considerazione.
pasolini.zanelli@gmail.com