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L’Europa perdente sui vaccini e il nodo dei trattati
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 04 aprile 2021
Governare a Bruxelles è persino più difficile che governare a Roma. Pochi mesi fa la Commissione Europea, dopo un lungo periodo di impopolarità, aveva riacquistato una generale immagine positiva con il varo del NextGenerationUE che, finalmente, dava inizio a un grande progetto per fare uscire l’Europa dalla lunga crisi. La luna di miele è durata lo spazio di un mattino. Da quando il vaccino è chiaramente emerso come l’unico strumento per uscire dalla pandemia, la Commissione è divenuta oggetto di un crescente discredito per non essere stata in grado di garantire un numero di dosi paragonabile a quelle disponibili negli Stati Uniti.
Una critica giustificata, ma che trova solo parzialmente la spiegazione negli errori compiuti dalla Commissione durante le trattative con le grandi imprese farmaceutiche e negli inadempimenti contrattuali da parte delle imprese stesse. Errori e inadempimenti non sono mancati tanto nei tempi dei negoziati, quanto nelle quantità e nei prezzi dei contratti conclusi. Ma la debolezza europea ha radici più profonde.
La differenza sostanziale è che il governo americano ha potuto prendere l’immediata decisione di fornire, alle proprie imprese farmaceutiche, enormi quantità di denaro dedicate ad accelerare la ricerca e la produzione del vaccino. Ha preso una decisione che ha mobilitato in un brevissimo spazio di tempo grandi capacità scientifiche che, in pochi mesi, hanno prodotto vaccini di riconosciuta efficacia.
La stessa cosa è avvenuta solo in grado minimo in Europa, dove i poteri decisionali che, nel caso della sanità sono a mio parere correttamente nelle mani degli Stati membri per l’ordinaria gestione, non possono essere esercitati a livello comunitario nemmeno in situazioni assolutamente straordinarie nelle quali la dimensione nazionale si dimostra palesemente inadeguata.
Eppure la sanità è un settore nel quale l’Europa ha tradizioni e capacità scientifiche non certo inferiori a quelle americane. Non ha invece il potere di decidere con la necessaria rapidità in un caso di emergenza come quello che si è presentato. Bruxelles non ha potuto fare quello che Washington ha fatto, in parte perché mancava dell’esperienza necessaria per trattative commerciali con queste caratteristiche ma, soprattutto, perché non aveva il potere di preparare la politica industriale capace di mobilitare i produttori europei. È già un miracolo constatare che i vaccini siano stati assegnati agli Stati membri in proporzione al numero dei loro abitanti. Immaginate cosa sarebbe successo se questo non fosse avvenuto!
Le aziende americane sono arrivate prima e le conseguenze sono state ovvie. Data l’importanza umana ed economica di uscire il più rapidamente possibile dalla pandemia, la risposta è stata una sola: America First.
A questo punto è giusto che noi reagiamo, se ci sono stati degli inadempimenti, ma bisogna ammettere che se fossimo arrivati prima noi, ci saremmo comportati allo stesso modo: nessun governo europeo avrebbe mai permesso di sacrificare la salute dei propri cittadini a un qualsiasi obiettivo di solidarietà atlantica.
Nel caso del Covid, questa differenza abissale nella capacità decisionale è emersa con una drammatica evidenza proprio in un settore, come quello della sanità, nel quale l’attenzione dei paesi europei è sempre stata superiore a quella degli Stati Uniti: chissà che cosa potrebbe accadere in caso si presentassero emergenze in settori nei quali siamo più deboli.
D’altra parte il problema di fare fronte alle grandi sfide della storia si è già verificato, e ancora si manifesterà, in tanti campi nei quali occorre essere in grado di agire con la necessaria rapidità e la mobilitazione di enormi risorse. È accaduto nelle conquiste dello spazio e nello sviluppo di Internet e sta accadendo nel settore dei big data, un’innovazione che condizionerà ogni aspetto della nostra vita futura.
In Europa abbiamo le risorse e le capacità per vincere le sfide che la storia ci propone, ma non accettiamo di condividere le politiche per metterle in atto: il caso dei vaccini non può che ripetersi in futuro.
Pensiamo solo a cosa sta avvenendo proprio in questi giorni. Molti di noi si ricorderanno che, nello scorso anno, è stata solennemente lanciata una grande Conferenza sul futuro dell’Europa, con l’obiettivo di coinvolgere, in mesi di discussioni, i cittadini di tutti i paesi europei, perché diano il loro contributo alla costruzione del nostro comune futuro. Il dramma provocato dal Covid avrebbe dovuto trasformare questo nobile obiettivo in una necessità.
La Conferenza non è nemmeno cominciata ma, da quanto emerge dallo svolgimento delle discussioni preparatorie, le forze che ne vogliono diminuire la portata diventano sempre più visibili.
Si continua a parlare di grandi innovazioni ma, data l’opposizione di otto Stati membri, è ormai da molti previsto che, nella Conferenza che deve trasformare l’Europa, prevarranno le forze che si oppongono, contro la volontà del Parlamento e della Commissione, a mettere all’ordine del giorno la possibilità di revisione dei trattati esistenti.
Gli ostacoli che hanno impedito di produrre in tempo i vaccini, potranno quindi paralizzare ogni futura decisione europea.
Non riformare i trattati significherebbe, tra l’altro, rimanere ancora governati dalla regola dell’unanimità, con la quale tutti sappiamo che non si può gestire nemmeno un condominio.
E ci sono invece degli Stati membri che la ritengono ancora adatta per governare un intero continente.
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